Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
America

La rivista dei gesuiti e l’assurdo paragone Biden-Benedetto XVI

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Il gesuita Michael O’Loughlin, in un articolo su America, azzarda un paragone tra la rinuncia di Biden a ricandidarsi alla Casa Bianca e la rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino. Un parallelo che non sta in piedi per diversità di situazioni e persone. Un’offesa a papa Ratzinger.

Attualità 26_07_2024

Paragonare il presidente degli Stati Uniti d'America Joe Biden a Benedetto XVI può certo sembrare esagerato. In realtà è un’offesa e un insulto alla memoria del papa tedesco. Ma è anche sintomo di non aver capito fino in fondo di chi si sta parlando: chi è Joe Biden e chi fu Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger. Un brutto segno per sacerdoti che vantano studi di teologia, che esercitano la professione di giornalisti, contribuendo a formare l'opinione pubblica dei cattolici, e che ricoprono ruoli pastorali d'avanguardia.

Parliamo dei gesuiti statunitensi dell’ala più progressista e radicale che fa capo alla rivista America. Tra questi il nome di spicco è quello del reverendo James Martin, noto ormai in tutto il mondo per le sue battaglie a favore delle pretese della comunità Lgbt. Meno noto è il suo confratello Michael O’Loughlin, direttore di Outreach, una rivista dedicata al “cattolicesimo LGBT” e legata ad America Media. O’Loughlin ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti tra cui quello di un’associazione di giornalisti Lgbt (NLGJA: The Association of LGBTQ+ Journalists) per il suo impegno di sensibilizzazione sui temi arcobaleno.

In seguito alla dichiarazione con la quale l’attuale presidente americano ha rinunciato a ricandidarsi per la corsa alla Casa Bianca, il gesuita si è lasciato andare a una commossa riflessione sulla grandezza di Joe Biden e su quello che lui definisce «un gesto di eroica umiltà». Un articolo ricco di sentimentalismo in cui si incensa l’uomo Biden come un unicum nella storia degli Stati Uniti, un presidente come non ce ne saranno altri, un «politico cattolico cresciuto in una chiesa rinvigorita dalle riforme del Concilio Vaticano II e che ha visto il Partito Democratico come il miglior mezzo per servire i poveri». Ora, tralasciando il modo in cui il Concilio avrebbe rinvigorito la Chiesa cattolica, il fatto di «servire i poveri» attraverso il Partito Democratico getta, a dire il vero, un’inquietante ombra sull’operato del presidente Biden.

Ma andiamo al sorprendente paragone tra Biden e Ratzinger. Dopo aver lodato l’eroica umiltà di Biden che rinuncia al potere per il bene del Paese, O’Loughlin si riferisce a Benedetto XVI come «un altro leader cattolico» che «aveva trascorso la sua vita vicino al potere e che alla fine lo aveva ottenuto». Anche Benedetto ha dovuto riconoscere la propria incapacità e rinunciare al potere per il bene della Chiesa.

Sì, la rinuncia di Benedetto ha sorpreso il mondo intero, ma le circostanze sono del tutto diverse e non giustificano un paragone col gesto disperato di Biden, perché Ratzinger: a) non ha rinunciato a ricandidarsi bensì all’esercizio del suo mandato; b) non lo ha fatto per conclamata incapacità, come dimostrato dalla lucidità conservata negli anni successivi al suo ritiro e fino ai suoi ultimi giorni terreni; c) non ha subìto la pressione mediatica di un intero Paese e di grandi sostenitori e finanziatori.

Paragonare un Sommo Pontefice a un politico è di certo un azzardo ma affermare che Benedetto avrebbe cercato il potere fino ad ottenerlo è, difatti, una gratuita offesa a colui che fu prima di tutto un servitore della verità contro le derive di una società e di una Chiesa insidiate dalla “dittatura del relativismo”.

Il cardinale Ratzinger non fece per sé una campagna elettorale. Non affrontò delle primarie per sconfiggere altri candidati, né usufruì di ingenti donazioni per sostenere la sua candidatura; peraltro, non ci furono ombre sulla sua elezione, né ostentò alcun tipo di superiorità dopo essere stato eletto, anzi si definì «un umile lavoratore nella vigna del Signore». Non ha lasciato la Chiesa incendiata da guerre, ma, al contrario, ha lavorato per la pace e l’unità, per ricucire e limare (basti pensare al motu proprio Summorum Pontificum e alla porta aperta agli anglicani con la costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus). Ma il suo ritratto è noto.

È forse meno nota la battaglia che Biden ha affrontato durante la sua presidenza a favore dell’aborto definendolo un «diritto costituzionale» e promettendo iniziative volte a contenere le politiche restrittive dei singoli Stati. Biden è stato accusato di blasfemia dagli evangelici americani per aver festeggiato la “giornata della visibilità transgender” in coincidenza con il giorno di Pasqua, la festa più sacra per i cristiani. Oltre a inserire diverse festività Lgbt nel calendario, Biden – sulla scia di Clinton e Obama – ha definito giugno come il “mese dell’orgoglio” gay, il mese che per tutti i cattolici è dedicato al Sacro Cuore di Gesù.

Insomma, le differenze tra Biden e Ratzinger sono tali che a nessuno verrebbe in mente di paragonarli per un solo evento, peraltro avvenuto in circostanze e situazioni del tutto diverse. È vero che l’ideologia acceca, come acceca il potere. Ed è la ragione la prima a venire accecata. È vero infatti che il sentimentalismo è uno dei frutti dell’ideologia che impedisce di ragionare e sposta il discorso sui sentimenti. Dalla testa alla pancia: commozione, ricordi, esaltazione esasperata di personaggi e situazioni iconiche, speranze riposte in politiche inclusive, i poveri… sul mondo una pioggia diffusa di bene e di bontà. Ma per favore, lasciate in pace papa Benedetto XVI.