Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

La ricchezza nasce dall'Europa cristiana. Non dall'illuminismo

Il saggio dello storico dell’economia Joel Mokir Una cultura della crescita e soprattutto la recensione che ne ha fatto Repubblica confermano la solita tesi superficiale: poiché la rivoluzione industriale inizia in Europa nel XVIII Secolo, l'origine della ricchezza è l'illuminismo. Giusto? No, sbagliato. Vediamo perché

Cultura 25_06_2018
Uno dei primi poli industriali inglesi

Lunedi scorso, 18 giugno, su Repubblica (A&F), Marco Panara ha scritto la recensione (Perché la ricchezza è figlia dell’Europa) del libro dello storico dell’economia Joel Mokir Una cultura della crescita (ed. il Mulino), mirante a indagare perché la rivoluzione industriale avviene proprio in Europa a metà XVIII secolo. Lo spiega con una ragione condivisibile (le divisioni europee e la frammentazione di poteri) e con un’altra ragione meno condivisibile (l’Illuminismo e l’affermazione dei suoi rivoluzionari concetti). Prendo occasione da questa recensione per proporre una riflessione.

C’è ancora, o sempre più, una cultura dominante che vuole imporre che la civiltà europea si afferma grazie alla riforma protestante (nascita del capitalismo) e poi grazie all’illuminismo (la rivoluzione industriale e il progresso). Questa tesi merita commenti per le contraddizioni implicite, normalmente ignorate pur di negare che la cultura cattolica avrebbe potuto generare un progresso ben più sostenibile per l’uomo. E’ certo vero che in Europa la presenza di tanti Stati con culture diverse e identità diverse, ha permesso di far crescere idee diverse per realizzare modelli di progresso diversi ed in competizione fra loro. Ciò diversamente da quello che successe nei grandi imperi unitari (come Cina e India). Proprio per questa ragione, i primi ideatori dell’Europa di cultura cattolica, come il beato Rosmini, avevano progettato una Europa federalista, non realizzata invece dai neo padri della attuale Europa unificata, a guida verticistica, che è infatti instabile e conflittuale. Ciò che invece mi pare dubbio è che sia stato il processo che portò all’illuminismo a creare le grandi conquiste della “conoscenza utile” che produce beni e ricchezza grazie alla illuministica cultura libera, che è però in implicita opposizione alla cultura cattolica, quindi non libera per definizione.

Il sociologo delle religioni Rodney Stark ha ampliamente confutato la tesi che sia stato l’illuminismo a realizzare detto progresso, in contrasto con il ruolo oscurantista della Chiesa cattolica abituata ad assoggettare la libertà e ostacolare scienza e tecnica. In realtà la rivoluzione industriale vera non nasce genericamente in Europa, bensì nel Regno Unito e ciò avviene per ragioni oggettive che non mi pare siano “illuministiche”. A meno che sia dovuto all’illuminismo aver disponibili materie prime energetiche come il carbone. Neppure è dovuta all’illuminismo la Magna Carta (anno 1215) che garantiva il diritto di proprietà a tutti (inglesi o stranieri) difendendo così tutti dai soprusi dello Stato e da vizi di concorrenza sleale. Non essendoci conseguentemente monopoli (come invece erano presso le monarchie spagnole e francesi che li imponevano per frenare la competizione della borghesia) fu più facile sviluppare le libertà di commercio. Essendoci poi anche protezione di brevetti, fu incoraggiato l’investimento in ricerca e invenzioni scientifiche (per esempio la macchina a vapore di Watt), che permisero di crescere la produttività e ridurre i costi (il costo della mano d’opera inglese era fin a 4 volte superiore a quella degli altri paesi europei).

Forse potrebbe esser considerata prodotto dell’illuminismo la nascita della borghesia quale classe capitalistica ansiosa di prendere il potere (della nobiltà) grazie a merito e non ereditarietà (come la definì Karl Marx). Ma lo stesso grande economista Adam Smith definì, per questo, il Regno Unito una “nazione di bottegai” stimolata da ambizione di potere e soldi. Se ciò fosse, potremmo sospettare quale sottoprodotto dell’illuminismo l’ambizione di potere e soldi e pertanto avanzare sospetti che la “dea ragione” abbia concorso a corrompere la libertà della creatura umana indirizzandola a scegliere modelli materialistici.

Le diseconomie del progresso illuministico andrebbero capite meglio, approfondendo per esempio l’impatto delle teorie di Malthus e Darwin. Questi, entrambi inglesi, quasi fondarono una religione pagana, persino disumana: l’ambientalismo malthusiano. Questo, implicitamente, permise o incoraggiò lo sfruttamento minorile (Charles Dickens, che lo descrisse nei suoi romanzi, andò a lavorare in fabbrica a 12 anni) e della donna, che fece grande il regno della regina Vittoria. Grazie agli squilibri demografici provocati dalle teorie malthusiane, a metà Ottocento nel Regno Unito c’erano più donne che uomini (nel 1851, su 16 milioni di abitanti, c’era eccesso di 750mila donne senza marito, che esasperarono l’offerta di domestiche e prostitute), forse perciò le rivendicazioni femministe nascono nel Regno Unito. Si direbbe che questo progresso illuminista abbia generato eccessi e concorso a ostacolare il progresso integrale dell’uomo. Se una cultura dominante un sistema di potere riesce a promuovere forme di ateismo o agnosticismo illuminista, rischia fortemente di sottrarre ai cittadini la forza morale e spirituale necessaria a realizzarsi e a fare vero bene comune sostenibile. Come Benedetto XVI ha insegnato (in Caritas in Veritate).