La Repubblica apre la caccia al prete
“Il prete pedofilo al convegno anti-gay”. Bel titolo quello di Repubblica, che dopo una settimana di attacchi e menzogne, ha trovato modo di gettare altro fango sul convegno organizzato dalla Regione Lombardia sulla famiglia. Con un articolo odioso, teso a colpire e screditare il movimento pro family.
Umberto Eco, celebrato semiologo-narratore e quasi nobel, spiega come funziona la “macchina del fango” in certi quotidiani. Dice che «non è necessario dare notizie false, basta impaginare quelle vere in un certo modo…». Sulla tesi, il professore ha scritto un fanta thriller ambientandolo in una redazione «pronta a tutto, tra macchine del fango, ricatti, falsità e misteri di un paese dalla fragile democrazia». Un giornale che vede complotti ovunque, che sa costruirli ad arte quando non ci sono, che insegue con perseveranza e cinica perfidia la demolizione di chi non sta simpatico all’editore. Con la menzogna, il gossip e la realtà filtrata dal buco della serratura. Quel giornale sembra Repubblica e lo è, anche se Eco non si è accorto.
Ieri la “fangosa” Repubblica ne ha dato ulteriore prova. Per un’intera settimana, il quotidiano della sinistra chic e gay friendly, ha fatto fuoco contro il convegno sulla famiglia organizzato dalla Regione Lombardia. In un escalation di panzane e falsità, l’appuntamento è stata presentato come una convention di “omofobi” scatenati e cattolici oscurantisti con in testa l’idea fissa di “curare i gay”. E fa niente se al convegno lombardo pro family, di omofobi non c’era neppure l’ombra. Soltanto tremila e più pacifici cittadini che hanno fatto la coda per entrare. Mentre qualche metro più in là, abbaiavano i cani da guardia dell’arcobaleno gay. Ne erano attesi a migliaia, alla fine erano solo quattro gatti (“quattro pirla” secondo il tweet di Maroni) spelacchiati che non hanno trovato trippa per le loro curatissime unghiette.
Partita persa per Arcigay e repubblichini d’assalto, ma la cosa non poteva finire lì. Dal fango di Repubblica, ecco spuntare la notizia “vera”, ma servita in “un certo modo”. In prima pagina e sotto il titolo: “Il prete pedofilo al convegno anti-gay”. Una bomba a scoppio telecomandato, come i baby kamikaze dell’Isis. Sentite cosa scrive: «È seduto in seconda fila, sorridente. Dietro al presidente Roberto Maroni e al suo predecessore Roberto Formigoni, di cui per lungo tempo è stato confessore. Al discusso convegno di sabato in difesa della famiglia “tradizionale” c’era anche don Mauro Inzoli, il prete pedofilo costretto dallo stesso Vaticano a ritirarsi a vita privata». Morale, non detta ma indotta: vogliono curare i gay, parlano di famiglia tradizionale in pubblico e poi amoreggiano con gente di quella risma. Una foto, con tanto di cerchio rosso, inchioda il sacerdote, trasformato in target umano.
Va bene la ripetizione delle falsità a scopo di bottega, le ossessioni ideologiche di un giornale partito, ma in questo caso Repubblica è andata oltre la sua abituale coazione a mentire. Per trasformarsi in gazzetta di un’inquisizione laico-fascista. Un prete pedofilo in mezzo a un’adunata di cattolici è come una balenottera spiaggiata: quanto di meglio poteva capitare per i giornalisti avvoltoi. E allora, sbatti il “mostro” in prima pagina e avanti con il processo al malvagio. Certo, Inzoli al convegno c’era, ma non è un latitante, non inseguito da alcun mandato di cattura e neppure è costretto agli arresti domiciliari. Per la legge può andarsene dove vuole, perfino partecipare ai convegni se la cosa gli interessa. Se ha peccato, dovrà semmai vedersela con il giudizio divino perché quello della magistratura non è ancora arrivato.
Insomma, un sacerdote con qualche libertà di meno, ma in posizione (giudiziaria) decisamente migliore di quella in cui si trova l’ingegnere Carlo De Benedetti. L’editore di Repubblica, si sa, è un imprenditore pluri-inquisito: per frode allo Stato, bancarotta fraudolenta, coinvolto nella vicenda della centrale elettrica a carbone di Vado Ligure (400 operai morti per malattie respiratorie), accusato di omicidio colposo e lesioni colpose plurime nel processo sull’amianto alla Olivetti (21 operai morti di cancro). Nonostante ciò, frequenta convegni, presiede consigli di amministrazione, pontifica di etica nei salotti e qualche volta è pure intervistato dai giornali.
Con un padrone dalla simile fedina penale, gli imam repubblichini dovrebbero essere un tantino più prudenti prima di giustiziare un prete laqualunque. Ma tant’è: non bisogna essere ricchi come Berlusconi o avere cause milionarie pendenti con l’ingegnere per finire nella fabbrica del guano del suo quotidiano. Qui lo sputtanamento è a 360 gradi: è sufficiente non possedere la tessera del club per venire eliminati. Il massacro repubblichino dei reprobi precede a ranghi serrati e a compartimenti stagni. Il che a volte procura effetti davvero comici. Nel giorno del linciaggio del prete in prima pagina, ecco la sezione Cultura interamente dedicata al celebre Trattato sulla Tolleranza di Voltaire. Perché, scrive Repubblica, «dopo la strage di Parigi si sente il bisogno di ripartire dai classici dell’Illuminismo». Gran pippone di due pagine per ricordare ai lettori che: «La tolleranza è una conseguenza necessaria della nostra condizione umana. Siamo tutti figli della fragilità, fallibili e inclini all’errore. Non resta dunque che perdonarci le nostre follie». Più ipocriti (o imbecilli) di così.