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LA MOSTRA

La Repubblica amputata firmata Violante

È la mostra più importante del Meeting, quella su cui maggiormente puntano gli organizzatori. Ma la rilettura dei 70 anni della Repubblica italiana, supervisionata dall'ex presidente della Camera, lascia interdetti molti visitatori per il suo taglio "buonista" e di sinistra. E dalle personalità che hanno dato lustro spariscono i cattolici.

Cultura 21_08_2016
Luciano Violante

«Mi dispiace che finisca con Gramsci, i modelli sono altri»: è la protesta di una visitatrice, scritta nel libro degli ospiti in fondo alla mostra numero uno del Meeting 2016, quella più pubblicizzata dagli organizzatori. Ed in effetti l’ultima parola dell’esposizione «L’incontro con l’altro. Genio della Repubblica. 1946-2016» (padiglione C1) è lasciata proprio al fondatore del Partito Comunista Italiano, con una frase tratta dai Quaderni dal carcere sulla necessità di legame fra le generazioni. Del resto – dice Giorgio Vittadini nell’audio-guida - «l’idea è nata da un incontro con Luciano Violante l’anno scorso» e così l’ex presidente della Camera, deputato del PCI dal 1979 per otto legislature, ha dato la “supervisione” alla mostra, “vidimata” (sono parole di Vittadini) dal professore della Cattolica Agostino Giovagnoli, attivo fra l’altro anche per il Centro studi PD.

I video delle Teche Rai (coordinamento Massimo Bernardini), le fotografie delle elezioni dei presidenti della Repubblica, le slides della crescita economica e del boom anni ’60, i testi dei vari pannelli vogliono dimostrare la seguente tesi: «È il compromesso virtuoso che permette il superamento delle crisi che l’Italia ha avuto» (Vittadini), «un compromesso che nella Costituzione si è tradotto in un equilibrio tra doveri civici e diritti individuali» (Violante). Dopo la guerra «si arriva a compromessi importanti, con rinunce ma motivate pensando a cosa sia il bene comune, condiviso su cui costruire l’Italia». Esempi: «l’amnistia del ministro Togliatti. senza purghe», e De Gasperi con «la decisione sofferta di firmare il trattato di pace che ci fa perdere l’Istria», nelle parole di Vittadini per il quale sembra non ci fosse differenza apprezzabile tra «il PCI che si appoggia all’Unione Sovietica e la DC all’Occidente». Perché l’importante è «riportare al centro questo messaggio comune fatto di dialogo». Franza o Spagna... . 

Il dirigente del Meeting si impressiona per i «manifesti truci, violenti» delle elezioni del 1948, ma quelli messi in mostra sono della Democrazia Cristiana: il più “truce” raffigura una spada con la scritta “voto cristiano” che taglia la testa a due serpenti chiamati “divorzio” e “libero amore”. Sarà un caso ma pare proprio che gli estensori della mostra hanno un debole per il divorzio, tanto da riprodurre ingigantita la prima pagina de “l’Unità” (fondata da Antonio Gramsci) del 14 maggio 1974: titolo a 9 colonne su 2 righe, «Grande vittoria della libertà», il segretario del PCI Berlinguer arride al trionfo del 59% dei no all’abrogazione della legge sul divorzio in nome di «ragione, diritto e civiltà». Sul tema famiglia, la mostra offre poi l’audio di un discorso di Nilde Jotti, compagna di Togliatti, cui è dedicato un altro mega pannello de “l’Unità” quando viene eletta presidente della Camera.

Sarà per questo inedito strabismo, inaspettato al Meeting, che non pochi visitatori sono rimasti interdetti, esprimendolo nel libro degli ospiti. Qualcuno fa notare anche qualche vuoto interessato: «Credo che in 70 anni il presidente Silvio Berlusconi abbia avuto un ruolo fondamentale, nel bene o nel male, non giudico». In effetti nella mostra il Cavaliere di Arcore è quasi totalmente ignorato. Salvo un piccolo pannello fotografico della sua propaganda elettorale del 1994, sorriso a 32 denti, bandiera di FI sullo sfondo: accanto, la terribile foto della strage di Capaci. 

Ma torniamo al tema centrale. Per spiegare il boom un pannello parla di «grande concordia e collaborazione nel mondo sociale e del lavoro», «si crea un imponente accumulo di capacità personali, tecniche e produttive fondamentali per la ricostruzione italiana». Eppure il ruolo giocato nella società italiana dalla fede cattolica e dalle opere da essa generate sembra non esistere.

Certo, nei video non potevano mancare – e non mancano – il “discorso della luna” di papa Giovanni; qualche immagine di don Gnocchi e del Cardinal Martini evocati da Giovanni Testori; don Puglisi che parla contro la mafia e chiede alla gente il coraggio di reagire; un minuto nel video finale è dedicato a don Luigi Giussani che parla della romanza “Spirto gentil”. Ma per il resto, nell’ultima sala con il «grande Pantheon di 150-200 personaggi» simboli dell’Italia, «geni del popolo, capaci di reggere in qualunque punto la scena mondiale»(Vittadini), beh, le foto le abbiamo guardate tutte ma non c’è «neanche un prete per chiacchierar», eccetto le foto sul set di don Camillo con Peppone, e di Fabrizi in talare in “Roma città aperta”.

Immortalati nella grande parete fotografica sono in molti, dalla maggiorata Lollobrigida a Gigi Buffon passando per Napolitano accanto a Gianfranco Fini. Nel video del “Pantheon” ci sono grandi personaggi quali Roberto Bolle e Fabiola Gianotti, ma rimarrebbe deluso chi cercasse i giganti testimoni della originalità della cultura cattolica, tradotti e amati in tutto il mondo, quali per esempio Eugenio Corti, Mario Luzi, Vittorio Messori. Non fanno parte del panorama nemmeno Franco Zeffirelli, Augusto Del Noce, Diego Fabbri, Cornelio Fabro, Mario Pomilio, Nicola Abbagnano.