La regalità di Cristo è il trionfo dell'uomo
Anche nelle nostre vicende terrene - spiega Benedetto XVI - dobbiamo «guardare a Cristo per comprendere il senso della vera regalità».
Con l'udienza del 16 novembre Benedetto XVI ha concluso la sua «scuola della preghiera» dedicata ai Salmi, proponendo una meditazione su quello che ha definito «uno dei più famosi "Salmi regali", un Salmo che Gesù stesso ha citato e che gli autori del Nuovo Testamento hanno ampiamente ripreso e letto in riferimento al Messia, a Cristo»: il Salmo 110 secondo la tradizione ebraica, 109 secondo quella greco-latina.
Questa preghiera, ha spiegato il Papa, poteva essere «inizialmente collegata all’intronizzazione di un re davidico; tuttavia il suo senso va oltre la specifica contingenza del fatto storico aprendosi a dimensioni più ampie e diventando così celebrazione del Messia vittorioso, glorificato alla destra di Dio». Tutta la catechesi del Papa procede secondo due linee interpretative, che non sono alternative ma complementari. Non va abbandonato il significato originario del Salmo, riferito ai re terreni, perché ci fornisce indicazioni preziose sulla natura della regalità giusta, cioè dell'autorità politica legittima e bene esercitata. Nello stesso tempo, seguendo san Paolo e i Padri della Chiesa, è del tutto appropriato considerare i riferimenti al re del Salmo come riferiti al Re del cosmo e della storia, Gesù Cristo.
Così inizia il Salmo:
«Oracolo del Signore al mio signore: "Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi" (v. 1)».
Questa affermazione, apparentemente solo bellicosa, va intesa in un contesto che Benedetto XVI ha messo al centro del suo libro «Gesù di Nazaret - Seconda parte», quello della regalità come attributo di Gesù Cristo, cui non si può rinunciare per il suo forte radicamento biblico, e che è pure la spiegazione del fondamento delle regalità umane e storiche e la radice profonda della dottrina sociale della Chiesa.
Nel nostro Salmo «Dio stesso intronizza il re nella gloria, facendolo sedere alla sua destra, un segno di grandissimo onore e di assoluto privilegio. Il re è ammesso in tal modo a partecipare alla signoria divina, di cui è mediatore presso il popolo. Tale signoria del re si concretizza anche nella vittoria sugli avversari, che vengono posti ai suoi piedi da Dio stesso; la vittoria sui nemici è del Signore, ma il re ne è fatto partecipe e il suo trionfo diventa testimonianza e segno del potere divino».
«La glorificazione regale espressa in questo inizio del Salmo è stata assunta dal Nuovo Testamento come profezia messianica; perciò il versetto è tra i più usati dagli autori neotestamentari, o come citazione esplicita o come allusione. Gesù stesso ha menzionato questo versetto a proposito del Messia per mostrare che il Messia è più che Davide, è il Signore di Davide». E «Pietro lo riprende nel suo discorso a Pentecoste, annunciando che nella risurrezione di Cristo si realizza questa intronizzazione del re e che da adesso Cristo sta alla destra del Padre e partecipa alla Signoria di Dio sul mondo. Questo autentico re della gloria esercita una regalità «su» questo mondo, che dunque si estende anche alla società, ma che non è «di» o «da» questo mondo, non ha un fondamento mondano com'era ancora la regalità dei monarchi ebrei successori di Davide. Per questo «si capisce subito che questo re che è alla destra di Dio e partecipa della sua Signoria», nel suo significato ultimo e più profondo «non è uno di questi uomini successori di Davide, ma solo il nuovo Davide, il Figlio di Dio che ha vinto la morte e partecipa realmente alla gloria di Dio. È il nostro re, che ci dà anche la vita eterna».
Il Salmo conferma proprio che la regalità di Dio - dunque di Gesù Cristo - si estende alla storia e alla società, e che i re terreni che operano secondo giustizia operano in qualche modo per conto di Dio. «Tra il re celebrato dal nostro Salmo e Dio esiste quindi una relazione inscindibile; i due governano insieme un unico governo, al punto che il Salmista può affermare che è Dio stesso a stendere lo scettro del sovrano dandogli il compito di dominare sui suoi avversari, come recita il versetto 2:
"Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!".
L’esercizio del potere è un incarico che il re riceve direttamente dal Signore, una responsabilità che deve vivere nella dipendenza e nell’obbedienza, diventando così segno, all’interno del popolo, della presenza potente e provvidente di Dio. Il dominio sui nemici, la gloria e la vittoria sono doni ricevuti, che fanno del sovrano un mediatore del trionfo divino sul male».
Qui il lettore normalmente distratto che tutti siamo rispetto al Magistero pontificio dovrebbe fermarsi un attimo, perché il Papa ci mette di fronte a uno straordinario fondamento della funzione del re terreno, cioè della funzione e vocazione politica che oggi in un mutato contesto storico è vocazione di tutti i laici, cui pure aveva già fatto cenno nella seconda parte del suo libro su Gesù. Dio sconfigge costantemente la presenza del male nella storia e il re giusto - la buona politica - è addirittura «mediatore del trionfo divino sul male».
Anche «nel versetto seguente, si celebra la grandezza del re. Il versetto 3, in realtà, presenta alcune difficoltà di interpretazione. Nel testo originale ebraico si fa riferimento alla convocazione dell’esercito, a cui il popolo risponde generosamente stringendosi attorno al suo sovrano nel giorno della sua incoronazione. La traduzione greca dei LXX, che risale al III-II secolo prima di Cristo, fa riferimento invece alla filiazione divina del re, alla sua nascita o generazione da parte del Signore, ed è questa la scelta interpretativa di tutta la tradizione della Chiesa, per cui il versetto suona nel modo seguente:
"A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato"».
La versione ebraica parla ancora della grande missione dei re di questa terra. Nella versione greca «questo oracolo divino sul re affermerebbe dunque una generazione divina soffusa di splendore e di mistero, un’origine segreta e imperscrutabile, legata alla bellezza arcana dell’aurora e alla meraviglia della rugiada che nella luce del primo mattino brilla sui campi e li rende fecondi». Ma questa versione può essere applicata ai re terreni solo per analogia. L'immagine infatti appare «indissolubilmente legata alla realtà celeste, la figura del re che viene realmente da Dio, del Messia che porta al popolo la vita divina ed è mediatore di santità e di salvezza». E dunque «vediamo che tutto questo non è realizzato dalla figura di un re davidico, ma dal Signore Gesù Cristo, che realmente viene da Dio; Egli è la luce che porta la vita divina al mondo».
Il Salmo continua con «un altro oracolo, che apre una nuova prospettiva, nella linea di una dimensione sacerdotale connessa alla regalità». Leggiamo nel versetto 4:
«Il Signore ha giurato e non si pente:
"Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek”».
Qui occorre richiamare, per capire il Salmo, chi era Melchìsedek. Questo personaggio, molto conosciuto e popolare nel mondo ebraico, «era il sacerdote re di Salem che aveva benedetto Abramo e offerto pane e vino dopo la vittoriosa campagna militare condotta dal patriarca per salvare il nipote Lot dalle mani dei nemici che lo avevano catturato (cfr Gen 14). Nella figura di Melchìsedek, potere regale e sacerdotale convergono e ora vengono proclamati dal Signore in una dichiarazione che promette eternità: il re celebrato dal Salmo sarà sacerdote per sempre, mediatore della presenza divina in mezzo al suo popolo, tramite della benedizione che viene da Dio e che nell’azione liturgica si incontra con la risposta benedicente dell’uomo».
Anche qui dobbiamo soffermarci su due livelli d'interpretazione. Uno è quello, ribadito di nuovo da una prospettiva diversa, del ruolo altissimo dell'autorità politica. Dio è Signore del mondo e della storia e la buona autorità politica è a suo modo «sacerdotale» in quanto media questa presenza divina nella storia. Il secondo livello d'interpretazione consiste nel comprendere il Salmo come profezia della venuta del Re dei Re, il Re per eccellenza, il Signore Gesù.
La Lettera agli Ebrei farà esplicito riferimento a questo Salmo per affermare che «Gesù è il vero e definitivo sacerdote, che porta a compimento i tratti del sacerdozio di Melchìsedek rendendoli perfetti». Melchìsedek, come ricorda la stessa Lettera agli Ebrei, è una figura misteriosa, «senza padre, senza madre, senza genealogia» (7,3a), «sacerdote dunque non secondo le regole dinastiche del sacerdozio levitico». Egli perciò «rimane sacerdote per sempre» (7,3c), e in questo senso è considerato nel Nuovo Testamento prefigurazione di Gesù Cristo. «Nel Signore Gesù risorto e asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre, si attua la profezia del nostro Salmo e il sacerdozio di Melchìsedek è portato a compimento, perché reso assoluto ed eterno, divenuto una realtà che non conosce tramonto (cfr 7,24). E l’offerta del pane e del vino, compiuta da Melchìsedek ai tempi di Abramo, trova il suo adempimento nel gesto eucaristico di Gesù, che nel pane e nel vino offre se stesso e, vinta la morte, porta alla vita tutti i credenti».
Nel successivo versetto 5 «la scena del Salmo cambia e il poeta, rivolgendosi direttamente al re, proclama: "Il Signore è alla tua destra!" (v. 5a). Se nel versetto 1 era il re a sedersi alla destra di Dio in segno di sommo prestigio e di onore, ora è il Signore a collocarsi alla destra del sovrano per proteggerlo con lo scudo nella battaglia e salvarlo da ogni pericolo. Il re è al sicuro, Dio è il suo difensore e insieme combattono e vincono ogni male». Ancora una volta, è possibile una doppia lettura, una riferita all'autorità politica giusta e una al Messia, Gesù Cristo.
Arriviamo così ai «versetti finali del Salmo con la visione del sovrano trionfante che, appoggiato dal Signore, avendo ricevuto da Lui potere e gloria (cfr v. 2), si oppone ai nemici sbaragliando gli avversari e giudicando le nazioni. La scena è dipinta con tinte forti, a significare la drammaticità del combattimento e la pienezza della vittoria regale. Il sovrano, protetto dal Signore, abbatte ogni ostacolo e procede sicuro verso la vittoria». Qui in qualche modo, leggendo il Salmo da cristiani, ci rendiamo conto che le due interpretazioni convergono. La buona autorità politica può veramente contribuire a sconfiggere il male che è presente nel mondo solo accettando la signoria divina. La regalità umana «vince» quando si pone, per così dire, sulla stessa lunghezza d'onda della regalità sociale di Gesù Cristo. Il Salmo qui «ci dice: sì, nel mondo c'è tanto male, c'è una battaglia permanente tra il bene e il male, e sembra che il male sia più forte. No, più forte è il Signore, il nostro vero re e sacerdote Cristo, perché combatte con tutta la forza di Dio e, nonostante tutte le cose che ci fanno dubitare sull'esito positivo della storia, vince Cristo e vince il bene, vince l'amore e non l'odio».
Qui, anche «si inserisce la suggestiva immagine con cui si conclude il nostro Salmo, che è anche una parola enigmatica: "lungo il cammino si disseta al torrente, perciò solleva alta la testa" (v. 7)». Queste parole, ancora una volta, sono anzitutto riferite al re terreno. «Nel mezzo della descrizione della battaglia, si staglia la figura del re che, in un momento di tregua e di riposo, si disseta ad un torrente d’acqua, trovando in esso ristoro e nuovo vigore, così da poter riprendere il suo cammino trionfante, a testa alta, in segno di definitiva vittoria».
Ma, nota il Papa, «è ovvio che questa parola molto enigmatica era una sfida per i Padri della Chiesa per le diverse interpretazioni che si potevano dare. Così, per esempio, sant'Agostino [354-430] dice: questo torrente è l'essere umano, l'umanità, e Cristo ha bevuto da questo torrente facendosi uomo, e così, entrando nell'umanità dell'essere umano, ha sollevato il suo capo e adesso è il capo del Corpo mistico, è il nostro capo, è il vincitore definitivo (cfr Enarratio in Psalmum CIX, 20: PL 36, 1462)».
Per i Padri, che non lavoravano di fantasia ma si appoggiavano al Nuovo Testamento, l'essenziale in questo salmo era il riferimento profetico a Gesù Cristo, di cui i re terreni sono figura. E tuttavia il Papa nota che le due interpretazioni non si escludono: anche nelle nostre vicende terrene, comprese quelle sociali e politiche, possiamo e dobbiamo «guardare a Cristo per comprendere il senso della vera regalità, da vivere nel servizio e nel dono di sé, in un cammino di obbedienza e di amore portato "fino alla fine"«.