ANTICIPAZIONE
La primavera araba, sfida ai cristiani
Se l’idea di uomo determinerà la forma che la domanda di pluralismo assumerà in Medio Oriente, fino alla possibilità di un suo tragico capovolgimento, che proposta è in grado di avanzare la fede cristiana?
Cultura
10_12_2011
Pubblichiamo un estratto dell'editoriale del numero di gennaio 2012 della rivista Oasis firmato dal cardinale Angelo Scola. Per leggere la versione integrale cliccare qui.
Mentre cresce la distanza temporale che ci separa dai primi disordini tunisini, non diminuisce la sensazione di sorpresa nei confronti di quello che abbiamo chiamato l’ “imprevisto nordafricano”. Imprevisto non solo per la maggior parte degli studiosi, ma anche, se non ci inganniamo, per le stesse popolazioni protagoniste delle rivolte e certamente per le società europee, non di rado rattrappite in visioni di corto respiro. Come ogni imprevisto, esso contiene numerosi elementi di inquietudine, che è necessario evidenziare con sano realismo, ma rappresenta prima di tutto un appello che il Signore rivolge alla nostra libertà.
Nei sollevamenti nordafricani grande rilevanza ha assunto fin da subito il tema economico e dei diritti sociali. Le rivolte sono scoppiate in contesti di deprivazione, in ambito giovanile, e una delle richieste ricorrenti è stata quella del lavoro. Il riflesso sulle società europee, travagliate anch’esse dalla crisi, è risultato quasi immediato, con un riacutizzarsi dei flussi migratori, accompagnati da tensioni. Molti analisti sono però dell’opinione che l’onda d’urto debba ancora venire: dietro il Maghreb infatti premono le popolazioni dell’Africa sub-sahariana, che non di rado versano in condizioni di vita insopportabili. Un giro d’orizzonte minimamente onesto e realistico esclude così l’idea che si possa continuare con l’attuale sistema economico. Non è soltanto una questione etica, come spesso si sente ripetere in alcuni ambienti, soprattutto se per etica s’intende un’operazione superficiale di cosmesi post eventum; si tratta realmente di un’impossibilità pratica. E non sarà un caso se il Santo Padre ha creduto necessario dedicare un’enciclica all’elaborazione di una nuova ragione economica.
Non va neppure sottovalutato come lo spostamento fisico dei migranti renderà sempre più inevitabile parlare in Europa di un vero e proprio meticciato. La categoria che – oggi dobbiamo riconoscerlo – aveva una certa carica provocatoria e profetica, anche perché lasciava intuire l’esistenza di una crescente varietà all’interno del mondo islamico, è nata, come si sa, nella forma di una metafora precisata dal riferimento primario a “cultura e civiltà”, ma la demografia suggerisce che il fenomeno potrebbe assumere anche tratti molto concreti e, come la storia ci ricorda, non poco dolorosi.
Insieme alla nuova rilevanza del tema economico si è manifestata una forte richiesta di maggiori libertà individuali e di un controllo più efficace sugli apparati dello Stato. Questo nucleo di rivendicazioni ha fatto spesso riferimento al concetto di “dignità umana”. È stata avanzata da alcuni settori della società una domanda di riorganizzazione dello spazio pubblico in senso maggiormente pluralista e liberale, capace di tollerare un più alto grado di differenziazione interna. Alcune rivendicazioni sembrano ricordare il percorso storico europeo della laicità, ma vi sono anche notevoli differenze: la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa si pone ad esempio in modi del tutto nuovi (da qui tra l’altro l’idea che “chiericalizzare” l’Islam, come diversi Stati europei stanno cercando di fare, potrebbe rivelarsi anacronistica). L’accento sembra essere posto prima di tutto sullo spazio pubblico come luogo di un confronto maggiormente libero tra diverse posizioni, anche all’interno del campo religioso musulmano, mentre la critica delle concezioni religiose in sé che, com’è noto, è all’origine di non poca confusione intorno alla laicità, non sembra trovare grande eco. Se con “nuova laicità” intendiamo, come abbiamo specificato in passato , la ricerca di un criterio per regolare lo spazio della convivenza possibile, allora la tematica è presente e rilevante anche nelle rivolte nordafricane, al di là poi del nome che si vorrà utilizzare.
Mentre cresce la distanza temporale che ci separa dai primi disordini tunisini, non diminuisce la sensazione di sorpresa nei confronti di quello che abbiamo chiamato l’ “imprevisto nordafricano”. Imprevisto non solo per la maggior parte degli studiosi, ma anche, se non ci inganniamo, per le stesse popolazioni protagoniste delle rivolte e certamente per le società europee, non di rado rattrappite in visioni di corto respiro. Come ogni imprevisto, esso contiene numerosi elementi di inquietudine, che è necessario evidenziare con sano realismo, ma rappresenta prima di tutto un appello che il Signore rivolge alla nostra libertà.
Nei sollevamenti nordafricani grande rilevanza ha assunto fin da subito il tema economico e dei diritti sociali. Le rivolte sono scoppiate in contesti di deprivazione, in ambito giovanile, e una delle richieste ricorrenti è stata quella del lavoro. Il riflesso sulle società europee, travagliate anch’esse dalla crisi, è risultato quasi immediato, con un riacutizzarsi dei flussi migratori, accompagnati da tensioni. Molti analisti sono però dell’opinione che l’onda d’urto debba ancora venire: dietro il Maghreb infatti premono le popolazioni dell’Africa sub-sahariana, che non di rado versano in condizioni di vita insopportabili. Un giro d’orizzonte minimamente onesto e realistico esclude così l’idea che si possa continuare con l’attuale sistema economico. Non è soltanto una questione etica, come spesso si sente ripetere in alcuni ambienti, soprattutto se per etica s’intende un’operazione superficiale di cosmesi post eventum; si tratta realmente di un’impossibilità pratica. E non sarà un caso se il Santo Padre ha creduto necessario dedicare un’enciclica all’elaborazione di una nuova ragione economica.
Non va neppure sottovalutato come lo spostamento fisico dei migranti renderà sempre più inevitabile parlare in Europa di un vero e proprio meticciato. La categoria che – oggi dobbiamo riconoscerlo – aveva una certa carica provocatoria e profetica, anche perché lasciava intuire l’esistenza di una crescente varietà all’interno del mondo islamico, è nata, come si sa, nella forma di una metafora precisata dal riferimento primario a “cultura e civiltà”, ma la demografia suggerisce che il fenomeno potrebbe assumere anche tratti molto concreti e, come la storia ci ricorda, non poco dolorosi.
Insieme alla nuova rilevanza del tema economico si è manifestata una forte richiesta di maggiori libertà individuali e di un controllo più efficace sugli apparati dello Stato. Questo nucleo di rivendicazioni ha fatto spesso riferimento al concetto di “dignità umana”. È stata avanzata da alcuni settori della società una domanda di riorganizzazione dello spazio pubblico in senso maggiormente pluralista e liberale, capace di tollerare un più alto grado di differenziazione interna. Alcune rivendicazioni sembrano ricordare il percorso storico europeo della laicità, ma vi sono anche notevoli differenze: la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa si pone ad esempio in modi del tutto nuovi (da qui tra l’altro l’idea che “chiericalizzare” l’Islam, come diversi Stati europei stanno cercando di fare, potrebbe rivelarsi anacronistica). L’accento sembra essere posto prima di tutto sullo spazio pubblico come luogo di un confronto maggiormente libero tra diverse posizioni, anche all’interno del campo religioso musulmano, mentre la critica delle concezioni religiose in sé che, com’è noto, è all’origine di non poca confusione intorno alla laicità, non sembra trovare grande eco. Se con “nuova laicità” intendiamo, come abbiamo specificato in passato , la ricerca di un criterio per regolare lo spazio della convivenza possibile, allora la tematica è presente e rilevante anche nelle rivolte nordafricane, al di là poi del nome che si vorrà utilizzare.
I due ingredienti che abbiamo ricordato, rivendicazioni economiche e richiesta di maggiori diritti individuali, hanno condotto alla concatenazione di rivolte che ancora non si può dire conclusa.
In Medio Oriente è risuonata forte la domanda su che tipo di uomo vuol essere l’uomo del terzo millennio, quella stessa domanda che in forme diverse scuote sempre più potentemente anche le società occidentali. In realtà però, se la domanda è chiara, non ancora ben definita è la risposta.
I movimenti di protesta non vanno esenti dal rischio di strumentalizzazioni fondamentaliste o demagogiche e probabilmente non tutto nasce così innocentemente come alcuni media vorrebbero farci credere.
Malgrado tutto, i fenomeni insurrezionali rappresentano un punto di non-ritorno, uno spartiacque certamente più demarcato rispetto all’89 europeo e ai recenti movimenti degli “indignati”. Nel cambiamento hanno avuto un loro ruolo, benché sovente esagerato, i new media, mentre generalmente sottovalutato appare il peso della finanza e dell’esercito. Tuttavia l’aspetto centrale rimane la pluralizzazione delle società indotta dalle insurrezioni; che questo fenomeno debba essere affrontato rispettando il cammino di ciascuno è molto importante, ma il fenomeno c’è. In un contesto di maggiore differenziazione occorrerà trovare le ragioni adeguate per una più sicura fondazione della libertà personale, di cui la libertà religiosa appare come il test di verifica, dal momento che l’invocata dignità della persona trova in essa il suo fondamento ultimo, correndo altrimenti il rischio di ridursi a un flatus vocis, una pura espressione verbale. Non necessariamente contraddittoria rispetto a tale esigenza e anzi comprensibile nelle sue motivazioni è l’insistenza sui diritti dell’individuo. Tuttavia l’esperienza occidentale mostra che per questa via si può anche arrivare alla tragedia. Crisi di educazione e di generazione, un’identità che non vuole avere nessi: questa è la malattia mortale della nostra società. Ecco la messa in guardia che deve venire dall’Occidente.
Se l’idea di uomo determinerà la forma che la domanda di pluralismo assumerà in Medio Oriente, fino alla possibilità di un suo tragico capovolgimento, che proposta è in grado di avanzare la fede cristiana? Ha qualcosa di specifico da dire? Nel tentare di rispondere a questa domanda, sposto inevitabilmente il centro d’attenzione dalla realtà mediorientale al contesto delle società plurali europee che mi è proprio. Se queste mie riflessioni possano valere anche altrove (in una certa misura io credo di sì) è una delle questioni appassionanti per cui esiste Oasis.
Benedetto XVI, durante la visita ad Aquileia e Venezia del maggio scorso, ha avuto ad affermare, riecheggiando le parole dell’antica Lettera a Diogneto: «Non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete, ma state in mezzo agli altri uomini con simpatia, comunicando nel vostro stesso stile di vita quell’umanesimo che affonda le sue radici nel Cristianesimo, tesi a costruire insieme a tutti gli uomini di buona volontà una “città” più umana, più giusta e solidale» . Dopo il dramma dell’umanesimo ateo (De Lubac), il Santo Padre esorta così a riscoprire un umanesimo cristiano, nel quale trovi spazio, come sua dimensione intrinseca e non stagionale (parole ancora di Benedetto XVI), l’apertura alle altre religioni e agli uomini di buona volontà. È una grande sfida che attende ancora di essere adeguatamente assunta e che abbraccia diverse dimensioni, da quelle teologica, antropologica e culturale a quella più strettamente politica.
* Cardinale, arcivescovo di Milano
In Medio Oriente è risuonata forte la domanda su che tipo di uomo vuol essere l’uomo del terzo millennio, quella stessa domanda che in forme diverse scuote sempre più potentemente anche le società occidentali. In realtà però, se la domanda è chiara, non ancora ben definita è la risposta.
I movimenti di protesta non vanno esenti dal rischio di strumentalizzazioni fondamentaliste o demagogiche e probabilmente non tutto nasce così innocentemente come alcuni media vorrebbero farci credere.
Malgrado tutto, i fenomeni insurrezionali rappresentano un punto di non-ritorno, uno spartiacque certamente più demarcato rispetto all’89 europeo e ai recenti movimenti degli “indignati”. Nel cambiamento hanno avuto un loro ruolo, benché sovente esagerato, i new media, mentre generalmente sottovalutato appare il peso della finanza e dell’esercito. Tuttavia l’aspetto centrale rimane la pluralizzazione delle società indotta dalle insurrezioni; che questo fenomeno debba essere affrontato rispettando il cammino di ciascuno è molto importante, ma il fenomeno c’è. In un contesto di maggiore differenziazione occorrerà trovare le ragioni adeguate per una più sicura fondazione della libertà personale, di cui la libertà religiosa appare come il test di verifica, dal momento che l’invocata dignità della persona trova in essa il suo fondamento ultimo, correndo altrimenti il rischio di ridursi a un flatus vocis, una pura espressione verbale. Non necessariamente contraddittoria rispetto a tale esigenza e anzi comprensibile nelle sue motivazioni è l’insistenza sui diritti dell’individuo. Tuttavia l’esperienza occidentale mostra che per questa via si può anche arrivare alla tragedia. Crisi di educazione e di generazione, un’identità che non vuole avere nessi: questa è la malattia mortale della nostra società. Ecco la messa in guardia che deve venire dall’Occidente.
Se l’idea di uomo determinerà la forma che la domanda di pluralismo assumerà in Medio Oriente, fino alla possibilità di un suo tragico capovolgimento, che proposta è in grado di avanzare la fede cristiana? Ha qualcosa di specifico da dire? Nel tentare di rispondere a questa domanda, sposto inevitabilmente il centro d’attenzione dalla realtà mediorientale al contesto delle società plurali europee che mi è proprio. Se queste mie riflessioni possano valere anche altrove (in una certa misura io credo di sì) è una delle questioni appassionanti per cui esiste Oasis.
Benedetto XVI, durante la visita ad Aquileia e Venezia del maggio scorso, ha avuto ad affermare, riecheggiando le parole dell’antica Lettera a Diogneto: «Non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete, ma state in mezzo agli altri uomini con simpatia, comunicando nel vostro stesso stile di vita quell’umanesimo che affonda le sue radici nel Cristianesimo, tesi a costruire insieme a tutti gli uomini di buona volontà una “città” più umana, più giusta e solidale» . Dopo il dramma dell’umanesimo ateo (De Lubac), il Santo Padre esorta così a riscoprire un umanesimo cristiano, nel quale trovi spazio, come sua dimensione intrinseca e non stagionale (parole ancora di Benedetto XVI), l’apertura alle altre religioni e agli uomini di buona volontà. È una grande sfida che attende ancora di essere adeguatamente assunta e che abbraccia diverse dimensioni, da quelle teologica, antropologica e culturale a quella più strettamente politica.
* Cardinale, arcivescovo di Milano