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Il discorso

La preside di Bari, i genitori e i valori da cui ripartire

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La preside di un liceo di Bari esorta i genitori a prendersi le proprie responsabilità senza inculcare ai figli «solo il mito del successo». Un sasso nello stagno di una società in decadenza, che paga l’attacco alla famiglia naturale e in cui la scuola è insieme carnefice e vittima del mainstream.

Editoriali 22_11_2024

Le difficoltà di rapporto tra famiglie e scuola sono ormai un dato di fatto con cui, chi opera nel settore, deve fare i conti quotidianamente. Ogni giorno – basta scorrere un po’ di stampa specializzata – si viene a conoscenza di nuovi episodi di violenza (fisica e/o psicologica) tra alunni e nei confronti di docenti, e a poco o nulla sono valsi finora i richiami e i provvedimenti messi in campo dal Ministero.

Forse esasperata da questa situazione che si trascina ormai da anni e che sta assumendo dimensioni eclatanti, Tina Gesmundo, dirigente del Liceo Salvemini di Bari, ha voluto gettare un sasso nello stagno e, in occasione del recente Open Day della sua scuola, ha fatto un lungo discorso che ha acceso la discussione a livello nazionale. «Non sono qui per convincere a iscrivere i ragazzi al mio istituto, io non vendo detersivo», ha affermato, puntando il dito contro l’eccessiva delega educativa da parte delle famiglie e i comportamenti scorretti di alcuni studenti. «Nelle prime classi abbiamo dei segnali di disfunzioni, ragazzi che prendono in giro i più fragili o fotografano le targhe delle auto dei docenti». La cosa a suo parere più grave, però, è che questi comportamenti vengono minimizzati da alcuni genitori, per i quali non vi è nulla di irregolare, e a riguardo di ciò ha aggiunto: «Non c’entrano i social, c’entrate voi che sovrapponete i vostri desiderata alle vite dei vostri figli, educate a coltivare solo il mito del successo e del denaro, e quando sarete vecchi vi abbandoneranno in una casa di cura!». E ancora: «Non c’è bisogno che Crepet o Galimberti ci dicano che i genitori stiano troppo affidando alla scuola una loro incapacità educativa, lo si vede dai fatti di violenza di tutti i giorni…».

A riguardo di questa difficile situazione, persino papa Francesco, durante un’udienza con la casa editrice La Scuola, ha raccontato un episodio che risale alla sua infanzia. Dopo aver detto una parolaccia alla maestra, la madre lo invitò a scusarsi, ricevendo poi una seconda “lezione” a casa: «Ricordo che al nostro tempo c’era una grande unità e anche collaborazione. Una volta ho detto una parolaccia, avevo 9 anni, alla maestra che chiamò mamma: mi chiamarono dopo avere parlato e la mamma mi disse: “chiedi scusa alla maestra” e io me ne andai felice perché pensai che era stato facile. Ma non era vero. Quando sono arrivato a casa ho avuto il secondo atto…. Oggi è a rovescio, sono i genitori che vanno a lamentarsi, è terribile!».

Non bisogna generalizzare troppo, ma la situazione è oggettivamente complessa e drammatica, perché stiamo assistendo, in sostanza, allo sfascio educativo che contraddistingue ogni società in piena decadenza. Se i giovani sono violenti, o apparentemente interessati solo a frivolezze, o addirittura chiusi in un rifiuto totale di ogni contatto sociale (come documenta il drammatico e crescente fenomeno degli hikikomori), la responsabilità è innanzitutto degli adulti e del mondo che non per loro, bensì per soddisfare le proprie ambizioni e pulsioni, hanno costruito. Adulti che, come ha affermato la dirigente del liceo di Bari, coltivando solo il mito del successo e del denaro, hanno anche acconsentito e alimentato la distruzione della famiglia naturale (cioè l’unico tipo di famiglia che abbia titolo per essere definita tale), erigendo a pretesa e diritto ogni tipo di desiderio e pulsione perversa. Le radici culturali e religiose su cui la nostra società si è fondata e sviluppata, insomma, sono ormai recise, e la pianta si sta seccando…

La scuola, che è espressione e specchio della società, da parte sua è vittima e carnefice: vittima perché ne subisce le conseguenze a livello di comportamento e partecipazione degli studenti nonché di invadente pretesa da parte delle famiglie; carnefice perché dovendo ottemperare alle direttive del potere di turno, fa (volente o nolente) da cassa di risonanza del mainstream. Le teste e i cuori dei giovani devono essere riempite di parole d’ordine come “inclusione”, “sostenibilità”, “discriminazione di genere”, “digitalizzazione” e via discorrendo (l’elenco sarebbe lungo), e le loro giornate di lavoro scolastico riempite di progetti e attività funzionali all’indottrinamento.

Non pochi insegnanti e anche dirigenti si lamentano di questa situazione e tornerebbero volentieri ad un modello di scuola più sobrio e dedito all’insegnamento delle pure discipline, ma ormai è una utopia. È prevedibile, dunque, che non serviranno e non basteranno le dure parole della dirigente di Bari: la parabola del declino dovrà giungere al suo drammatico compimento e solo allora si potrà (anzi si dovrà) rifondare e ricostruire ciò che si sta distruggendo.

A quanti sono consapevoli di ciò che sta accadendo, resta la responsabilità di tenere (sia pur faticosamente) in vita luoghi e opportunità, come fiaccole nella notte, affinché il patrimonio di significato e di valori che ha sostenuto il nostro popolo per secoli non vada totalmente perduto, e da lì si possa poi ripartire.