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L’insegnamento

La presenza di Dio nella creazione: né panteismo né deismo

San Tommaso insegna che non c’è solo una certa presenza della creazione in Dio, ma anche un’«esistenza di Dio nelle cose». L’Aquinate, a differenza di panteisti e deisti, conserva sia l’immanenza di Dio alla Sua creazione sia la Sua trascendenza.

Catechismo 20_08_2023

Proponiamo per questa terza domenica di agosto un testo tratto da Tommaso d’Aquino. Maestro spirituale (Città Nuova, Roma, 1998, pp. 81-84) di Jean-Pierre Torrell, ormai novantaseienne professore emerito della facoltà teologica dell’Università di Friburgo e riconosciuto come uno dei più grandi esperti dell’opera di san Tommaso d’Aquino. Si tratta di un breve estratto che riprende le tematiche dell’atto creativo e della conservazione della creazione e aiuta ad avvicinarsi al mistero della presenza di Dio nella sua creazione, senza cadere negli errori opposti del panteismo da una parte, e di una sorta di estraneità di Dio alla creazione, tipica delle correnti deiste, dall’altra.

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Questo insegnamento sulla Trinità tutta impegnata nell’opera creatrice e restauratrice ci situa ancora alla radice di una dottrina della presenza di Dio nel mondo, che Tommaso condivide con i più grandi mistici, ma che egli esprime con una forza insospettabile e di cui dà le ragioni con la sua abituale giustezza e precisione. Riferendosi direttamente ad un versetto del Prologo di Giovanni (1, 3), di cui conosce non meno di sei differenti esegesi, e che seguendo sant’Agostino legge nel seguente modo: «Ciò che fu fatto era vita in lui», vede preesistere in Dio non soltanto le creature spirituali ma tutta la creazione: «Se si considerano le cose in quanto sono nel Verbo, esse non sono solamente viventi, ma sono la Vita. Infatti le loro “idee”, che esistono spiritualmente nella sapienza di Dio e mediante le quali le cose sono state fatte dal Verbo, sono vita» (In Ioannem 1, lect. 2, n. 91).

La creazione artistica permette qui un nuovo paragone: prima della sua esecuzione, l’opera propriamente parlando non è inesistente perché esiste già nel pensiero dell’artista, tuttavia essa non è puramente e semplicemente la vita, poiché l’intelligenza dell’artista non si identifica con il suo essere. Al contrario, in Dio non vi è niente che non sia Dio e la sua intelligenza si identifica con la sua vita e con la sua essenza. «Perciò tutto ciò che è in Dio non solo vive ma è la vita stessa… ed è per questo che la creatura in Dio si identifica all’essenza creatrice (creatura in Deo est creatrix essentia). Così, in quanto sono nel Verbo, le cose sono vita». Questa è una dottrina costante che Tommaso sostiene sempre con lo stesso riferimento al Prologo giovanneo: «Le cose preesistono in Dio secondo il modo del Verbo stesso. Esso consiste nell’essere uno, semplice, immateriale, nel non essere soltanto vivente ma la Vita stessa, giacché il Verbo è il suo essere» (Summa Contra Gentiles, IV, 13).

È dunque in questo modo che vi è presenza della creazione in Dio, ma il contrario non è meno vero: c’è un’«esistenza di Dio nelle cose» (Summa Theologiæ I, q. 8). Questo è un luogo privilegiato per comprendere come una presa di posizione in apparenza semplicemente filosofica esige immediatamente la sua traduzione teologica e il suo prolungamento mistico. Tommaso trae il suo punto di partenza da una delle sue posizioni più nette: Dio solo è l’essere per essenza e la sua essenza è il suo essere stesso (Ipsum esse subsistens); ne segue quindi che, in ogni altro esistente, l’essere non può che essere creato e ricevuto da Dio, il quale lo produce come suo proprio effetto. Secondo un’immagine fisica prediletta: «essendo Dio l’essere stesso per essenza, è necessario che l’essere creato sia il suo proprio effetto, come bruciare è l’effetto proprio del fuoco». Questa dipendenza nell’essere di tutte le cose nei confronti di Dio non si verifica soltanto nella loro creazione, nel momento in cui cominciano ad esistere, ma dura per tutto il tempo che esse sussistono. Un paragone molto eloquente permette di capire ciò molto facilmente: non fa giorno se non quando il sole diffonde nell’aria la sua luce; se il sole scompare, non si ha più luce né giorno. Il parallelo con Dio che dà l’essere impone la conclusione:

«Fintantoché dunque una cosa ha l’essere, è necessario che Dio le sia presente, e ciò conformemente al modo in cui essa possiede l’essere. L’essere poi è in ogni essere ciò che vi è di più intimo e di più profondamente radicato, poiché gioca nei confronti di tutto ciò che è in esso il ruolo di forma, di principio determinatore… Occorre dunque concludere necessariamente che Dio è in tutte le cose e nel modo più intimo» (Summa Theologiæ I, q. 8, a. 1).

Tommaso insiste su questo punto con una forza un po’ sorprendente, ma ci troviamo in un luogo di affermazioni paradossali. Contrariamente a quanto succederebbe per una realtà materiale, questa presenza di Dio nelle cose non equivale a un imprigionamento: le cose non contengono Dio; è il contrario che è vero: «le cose spirituali contengono ciò in cui esse sono, così l’anima contiene il corpo. Quindi anche Dio è nelle cose come contenente le cose» (Summa Theologiæ I, q. 8, a. 1, ad. 2). Avendo precisato ciò, Tommaso non teme di aggiungere: «Dio è in tutti gli esseri e interamente in ciascuno, così come l’anima è tutt’intera in ciascuna parte del corpo» (Summa Theologiæ I, q. 8, a. 1, ad. 3). L’affermazione di partenza è dunque arricchita e precisata: dato che il conosciuto si trova nel conoscente e l’amato nell’amante, «le cose sono in Dio molto più che Dio nelle cose» (Ibi).

Non è quindi se non per analogia con il mondo materiale che si dice che Dio si trova in tutte le cose. Questi paragoni sono tuttavia delicati da maneggiare; Tommaso non lo ignora e, dal momento in cui incontra il panteismo (Summa Theologiæ I, q. 3, a. 8), rigetta l’eredità dello stoicismo antico che considerava Dio come l’anima del mondo. Questo antropomorfismo relativamente grossolano non solo non è sufficiente a rendere conto in modo soddisfacente dell’immanenza di Dio alla sua creazione, ma fallisce anche completamente nel preservare la sua trascendenza. Ora, Tommaso conserva simultaneamente l’una e l’altra e, ancora meglio, si impegna a valorizzare il modo profondamente differenziato in cui Dio è presente nella sua creazione, aprendo così alla contemplazione prospettive inesauribili.