La presentazione di Gesù al tempio
Nell'affresco di Giotto dedicato alla Presentazione di Gesù al tempio colpisce la tenerezza con cui Simeone afferra il Bambino, usando i lembi della sua veste, in segno di rispetto. I suoi occhi, dirà poi, hanno visto la Salvezza. Ora può, finalmente, andare in pace.
Giotto di Bondone
Padova, Cappella degli Scrovegni
Presentazione di Gesù al Tempio
C’erano una volta i Lupercalia, ovvero le festività in onore del dio Luperco cui era stato affidato il compito di proteggere le greggi pagane dall’assalto di lupi altrettanto miscredenti. Dobbiamo a Papa Gelasio I, nel V secolo, l’aver convinto il Senato romano a sostituire questa ricorrenza con la festa delle candele, correlata alla purificazione di Maria.
Così è scritto nel Levitico:
Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; … Poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione.
Le candele, naturalmente, alludono a Cristo, «luce per illuminare le genti»: è con queste parole, infatti, che il piccolo Gesù viene accolto dal sacerdote Simeone nel momento del Suo arrivo al Tempio, secondo il rituale che la legge ebraica imponeva a tutti i primogeniti maschi. 7 + 33: il 2 febbraio cade proprio quaranta giorni dopo il Santo Natale. Così nasce la festa cristiana popolarmente nota come Candelora.
Padova, primo lustro del 1300. Giotto di Bondone è già l’artista più affermato del suo tempo quando il ricco banchiere Enrico Scrovegni lo chiama ad affrescare la cappella di famiglia. Sarà perché si sentiva in dovere di espiare le colpe del padre usuraio, di dantesca memoria, ma sta di fatto che, senza badare a spese, Enrico commissiona a Giotto uno dei cicli pittorici tra i più famosi al mondo.
Sulle pareti padovane si dipanano scene mariane e cristologiche che seguono un programma decorativo preciso e unitario, di probabile matrice agostiniana. La Purificazione di Gesù al Tempio si ammira nel registro centrale superiore della parete settentrionale, che è, per intenderci, quella a destra guardando l’altare.
Sullo sfondo di un prezioso pigmento blu oltremare, purtroppo oggi piuttosto danneggiato, si staglia il profilo di un ciborio scorciato, dalle colonne tortili, che intende rimandare al Tempio di Gerusalemme. Simeone è, qui, figura austera, dall’espressione intensa, e accoglie, dalle braccia tese di una giovanissima Maria, il Bambino che Lei, piena di fiducia, oltre che di grazia, gli affida.
L’anonima donna raffigurata accanto a Giuseppe, che porta in dono due colombe, si contrappone ad Anna, la profetessa: il cartiglio nelle mani di quest’ultima dichiara esplicitamente che è Gesù il “Redentore di Gerusalemme”. E l’apparizione dell’angelo recante in mano il trifoglio, simbolo della Trinità, lo conferma.
In altre occasioni fu dato a Giotto di immortalare il medesimo episodio: lo ritroviamo nel transetto destro della basilica inferiore di Assisi e in una piccola tavola conservata nella sala di un museo di Boston, nel Massachusetts. Nell’affresco di Assisi l’atmosfera del riquadro, decisamente più popolato, è festosa. Nella versione americana, se possibile, invece, ancora più essenziale dell’omologa padovana, la sacralità della scena è accentuata dal prezioso fondo oro in cui è completamente immersa.
In tutti i casi colpisce la tenerezza con cui Simeone afferra il Bambino, usando i lembi della sua veste, in segno di rispetto. I suoi occhi, dirà poi, hanno visto la Salvezza. Ora può, finalmente, andare in pace.
E’ proprio questa la pace che Giotto ha saputo rappresentare: quella che nasce dall’incontro tra l’attesa di Israele, che è la stessa del cuore di ogni uomo, e il suo compimento.