La preghiera di Francesco e Bartolomeo
Al centro del pellegrinaggio di papa Bergoglio in Terra Santa c'è la commemorazione del 50esimo anniversario dello storico incontro tra Paolo VI e il patriarca di Costantinopoli Atenagora, che aprì la strada alla ricomposizione dell'unità dei cristiani.
La commemorazione degli eventi del 1964 in Terra Santa, protagonisti papa Paolo VI e il patriarca di Costantinopoli Atenagora, sono giustamente al centro del pellegrinaggio che sta per intraprendervi papa Francesco, avendo essi aperto la strada per la ricomposizione dell’unità dei cristiani lacerata dal grande scisma del 1054.
E non poteva non avvenire a Gerusalemme, perché all’abbraccio di cinquant’anni fa dei due, sul Monte degli Ulivi – emblematico luogo, da dove con l’ascensione di Gesù al cielo ebbe inizio l’evangelizzazione del mondo – seguì subito la riconciliazione “ufficiale” dei successori di Pietro e di Andrea con la revoca delle reciproche scomuniche. E cominciò tra cattolici e ortodossi quel cammino ecumenico che in mezzo secolo ha compiuto passi tanto importanti da non poter far sorgere dubbi, per celebrare l’anniversario, su un nuovo incontro “al vertice”, che avviene a Gerusalemme, proprio nella basilica del Santo Sepolcro, deposito e testimone della Resurrezione di Gesù. Di più - addirittura senza obiezione alcuna - con un incontro allargato a tutti i capi delle confessioni cristiane, segnato dalla recita, tutti assieme, del Padre Nostro, nella comune esaltazione della Santissima Trinità.
Si realizzerà così, nel pomeriggio di domenica 25 maggio 2014 quel che aveva in cuore Atenagora per i primi di gennaio del 1964 in occasione della celebrazione del Natale ortodosso. Racconta la storia dell’Istituto Ecumenico di Tantur - il primo frutto dell’incontro tra Paolo VI e Atenagora (sorge in un luogo emblematico di Terra Santa, sulla collina a metà strada tra Gerusalemme e Betlemme) - che il Patriarca ortodosso, appena appreso che il Papa sarebbe arrivato pellegrino in Terra Santa proprio per Natale, pensò subito che sarebbe stato «un grande atto della Divina Provvidenza se i capi delle Chiese cristiane avessero potuto riunirsi a Gerusalemme per pregare insieme nei Luoghi Santi». Questo allora non avvenne. Il 5 gennaio egli potè soltanto abbracciare papa Montini; ma nel disegno della Divina Provvidenza quell’atto di riconciliazione fraterna fu lo stesso “grande” e così ricco di Spirito Santo da aver suscitato e realizzato tanti eventi straordinari - oltre a quelli che ci sembrano divenuti “ordinari” - dei quali è ricca la storia di questi cinquant’anni delle relazioni ecumeniche.
E non soltanto in Terra Santa per i quali, nei trent’anni in cui ci ho vissuto, sono stato testimone. Penso naturalmente ai pellegrinaggi compiuti dai successori di Paolo VI, i pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; e quello di papa Wojtyla proprio in occasione del Gran Giubileo dell’Anno Duemila. Essi sono stati certo protagonisti di eventi ecumenici lontani dalla Chiesa Madre gerosolimitana ma che hanno inciso in profondità in essa, nei rapporti interconfessionali cristiani, quali - per citarne alcuni - gli incontri di preghiera ad Assisi, la celebrazione congiunta dell’Anno Paolino, la partecipazione e il discorso del patriarca Bartolomeo nella Cappella Sistina all’ultimo Sinodo dei Vescovi cattolici.
È venuto stabilendosi così, anzi crescendo, il clima di fraternità e di testimonianza che si coglie ogni anno nella celebrazione dell’Ottavario per l’unità dei cristiani, una settimana di preghiere che coinvolge tutte le comunità cattoliche, ortodosse e protestanti, suggestiva perché impregna i partecipanti della ricchezza, nella diversità, dei loro riti.
La testimonianza di fede è poi sfociata quest’anno nella celebrazione della Pasqua nella stessa data, avendo i vescovi cattolici dei diversi riti condiviso quella del calendario giuliano seguita dagli ortodossi; così come il Natale viene celebrato dai fedeli ortodossi il giorno 25 dicembre, quello dei cattolici. Restano invariate, per ragioni connesse allo statu quo, le date di celebrazioni differenti nelle basiliche del Santo Sepolcro e della Natività; ma per tutti i cristiani di Terra Santa si è realizzato il grande sogno di vivere insieme, e di rappresentarlo ai seguaci dell’ebraismo e dell’islam, le loro due maggiori festività.
Il frutto più impressionante della riconciliazione tra Paolo VI e Atenagora si è manifestato il 4 dicembre 1999 in occasione del Gran Giubileo, quando la sua apertura è stata proclamata a Betlemme, nella piazza antistante la Basilica della Natività (la stessa in cui papa Francesco celebrerà l’Eucaristia la mattina di domenica 26 maggio), dai capi delle dodici comunità cristiane di Terra Santa. Non era mai accaduto che si presentassero insieme sullo stesso palco (il patriarca greco-ortodosso Diodoros I, ammalato e impossibilitato a muoversi era su una sedia a rotelle) e che per tre ore, dal pomeriggio a sera, animassero una funzione religiosa comunitaria senza precedenti: confessarono le colpe di secolari divisioni, fino alle aperte rivalità, e soprattutto la disubbidienza al comando di Gesù di restare uniti; promisero che, senza più recriminazioni sul passato, adorando il Verbo di Dio fatto uomo proprio a Betlemme, si sarebbero dati “più amore e più pace” fino alla desidera ricomposizione dell’unità ecclesiale; sigillarono questo impegno con la recita del Padre Nostro che vollero ripetere alla fine della cerimonia prima di impartire la benedizione ai fedeli. In quel momento trovavano riscontro i voti contenuti nel messaggio che da Roma aveva inviato Giovanni Paolo II (Ut unum sint) ed era stato appena letto.
C’era stato un precedente, il 27 ottobre 1989, del quale come giornalista fui solo testimone. La recita del Padre Nostro sempre a Betlemme, ma all’interno della Basilica della Natività - in assoluto per la prima volta insieme - da parte dei patriarchi greco-ortodosso Diodoros I, armeno-ortodosso Eghische II Derderian, latino Michel Sabbah , presenti il Custode francescano di Terra Santa padre Carlo Cicchitelli e l’ esarca greco-cattolico melchita Lutfi Laham (oggi il patriarca Gregorios III).
Fu per una circostanza obbligata, ovvero l’impossibilità per il coprifuoco che proseguissero per la cittadina di Beit Sahour, la località del Campo dei Pastori, e testimoniassero solidarietà ai suoi abitanti, tutti cristiani, da venti giorni sotto assedio militare israeliano. Costretti a sostare, all’imprevisto suono delle campane in festa, fecero l’ingresso solenne nella Basilica, adorarono Gesù dinanzi alla Grotta della Natività e ritornati nella navata centrale, Diodoros chiese a Michel Sabbah di avviare la recita del Padre Nostro. Che essi e tutti i pochissimi presenti - alcuni frati, monaci e fedeli di Betlemme e qualche turista statunitense - recitammo ciascuno nella propria lingua.
Domenica prossima, stavolta nella Basilica dell’Anastasi, i capi delle dodici comunità cristiane della Chiesa Madre saranno accanto a papa Francesco e al patriarca Bartolomeo per recitare, ancora una volta insieme, il Padre Nostro; e pregare perché presto si adempia la preghiera di Gesù tramandata dall’evangelista Giovanni (nel capitolo 17): «Padre santo custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato perché siano una cosa sola come noi».