LAVORO
La posizione della CGIL nega un futuro ai giovani
Lo scontro sull'articolo 8 della recente manovra del Governo evidenzia l'approccio ideologico laddove si tenta di modernizzare il mercato del lavoro.
Attualità
13_09_2011
Fanno discutere le misure sul lavoro contenute nella recente manovra del Governo, in particolare per quanto riguarda l’articolo 8.
Nel metodo si critica l’utilizzo della decretazione d’urgenza. I nodi strutturali del processo di modernizzazione del nostro diritto del lavoro andrebbero affrontati in Parlamento, nell’ambito di un disegno organico di riforme e con un adeguato confronto con le forze sociali. Il tutto come se l’emergenza occupazionale ed il drastico deteriorarsi dei fondamentali economici di un Paese sull’orlo del fallimento non richiedano una svolta radicale. E, comunque, il confronto con le forze sociali c’è stato, almeno con quelle che il confronto lo intendono in modo costruttivo.
Quanto al merito si critica il rinvio alla contrattazione collettiva per l’introduzione di nuove e diverse regole nell’ambito della gestione dei rapporti di lavoro. La manovra non introduce alcune modifiche dirette al quadro legale vigente. Il decreto si limita ad offrire alle parti sociali la possibilità di intese modificative a livello aziendale o territoriale in materia di gestione del rapporto di lavoro.
Nulla di nuovo e nulla di così radicale da far temere, addirittura, attacchi ai diritti costituzionali del lavoro: la tecnica della delega legislativa alla contrattazione collettiva è da tempo collaudata ed era stata utilizzata anche, a suo tempo, dal ministro Treu.
Il duro confronto sull’articolo 8, enfatizzato dallo sciopero della CGIL del 6 settembre, ripropone l’estrema difficoltà di avviare un confronto pacato e costruttivo sulle riforme in materia di lavoro. La sola evocazione delle riforme del lavoro genera, a sinistra, una aprioristica chiusura a riccio in quella immediata criminalizzazione della flessibilità e anche nella criminalizzazione di chi queste riforme le sostiene.
La nuova normativa stabilisce che i contratti collettivi nazionali possano essere derogati, testualmente, da “contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011”.
Difendere e rimanere ancorati sempre al passato significa una sola cosa: condannare il futuro dei nostri giovani, che sono sempre più penalizzati da un sistema ingessato. E’ fondamentale sostenere e incentivare la contrattazione collettiva di prossimità.
Per replicare a chi denuncia una destrutturazione del mercato del lavoro italiano e la brutale cancellazione dei diritti costituzionali, basta leggere proprio le poche righe contenute nel famigerato articolo 8 della manovra dove è scritto, in modo chiaro e inequivocabile, che i contratti collettivi non potranno mai cancellare una sola norma della Costituzione. Ma viene affidata ai sindacati più rappresentativi la possibilità di valutare, caso per caso, dove introdurre modifiche alle attuali normative se ciò è utile, o indispensabile, per creare maggiore occupazione, evitare il fallimento di un’azienda, incentivare nuovi investimenti stranieri, contrastare il lavoro nero; non è messo in discussione il sacrosanto principio di illegittimità di un licenziamento privo di giustificazioni, ed è coerente con l’intesa del 28 giugno firmata anche dalla CGIL.
La verità è che sono profondamente diverse le filosofie che si fronteggiano sui temi del lavoro ormai da un decennio: fra chi, conservatore nei fatti, alimenta il conflitto e chi, invece, lavora per relazioni industriali riformiste e partecipative, anche creando una rete di alleanze.
*Presidente Movimento Cristiano Lavoratori