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TERREMOTO

La politica non deve strumentalizzare la catastrofe

La tragedia del terremoto nel Centro Italia ha prodotto vari effetti, fra cui un forte spirito collaborativo bipartisan. Ma il governo deve stare attento a non strumentalizzare la catastrofe naturale a fini politici, chiedendo all'opposizione di collaborare anche su altre questioni. Come il referendum.

Politica 30_08_2016
Renzi ai funerali delle vittime

La tragedia del terremoto nel Centro Italia ha prodotto vari effetti, tutti assai prevedibili, ma che ora vanno gestiti, al fine di assicurare i tempi più rapidi per la ricostruzione, per l’assistenza alle popolazioni coinvolte e per la messa in sicurezza degli edifici compromessi dalle innumerevoli scosse dei giorni scorsi. Sul piano della coscienza collettiva, catastrofi come quella del 24 agosto stimolano un profondo sentimento di pietas nei riguardi delle famiglie colpite e generano una provvidenziale catena di solidarietà destinata a non interrompersi per mesi, proprio perché, una volta esauriti gli scavi tra le macerie e il recupero delle ultime salme, bisognerà quantificare con minore approssimazione di quanto non sia stato fatto finora l’entità dei danni e le esigenze materiali e finanziarie da soddisfare.

Sul piano politico, invece, è comprensibile che chi sta al governo ed è atteso da una difficile prova rispetto alla gestione di tale emergenza cerchi il massimo appoggio possibile da parte degli avversari. Ed è altrettanto lodevole che questi avversari, mettendo da parte per un attimo animosità, incomprensioni e strumentalizzazioni, alimentino quell’umano sentimento di condivisione del dolore e anche delle responsabilità. In fondo un terremoto, al di là della prevalente componente di fatalità, ha anche una dimensione di responsabilità che non può non ricadere in egual misura su quanti hanno amministrato l’Italia e le zone colpite negli ultimi decenni. Evidentemente, non è colpa del governo Renzi se c’è stata questa immane tragedia, così come non era colpa del governo Berlusconi se nel 2009 ci fu il terremoto dell’Aquila.

Detto questo, però, un rischio s’intravvede nel dibattito politico di questi giorni ed è proprio quello di approfittare della tragedia del terremoto per annacquare le identità delle singole forze politiche, attraverso una subdola generalizzazione dello spirito collaborativo generato da un tragico evento nazionale come quello del 24 agosto. Un conto è condividere, solidarizzare, aiutare la ricostruzione mettendo da parte le contrapposizioni politiche, altra cosa è strumentalizzare per altre finalità questo clima di condivisione.

Nel 2009, quando ci fu il terremoto all’Aquila, l’allora governo Berlusconi non approfittò di quell’emergenza per invocare una pacificazione a 360 gradi su ogni tema. Peraltro, la astiosa sinistra pre-renziana e pregiudizialmente antiberlusconiana non l’avrebbe comunque concessa, anzi avrebbe denunciato tale eventuale subdolo tentativo del centrodestra. Oggi, invece, sorprendono e insieme inquietano le dichiarazioni di alcuni esponenti del governo Renzi o del Pd a guida renziana che auspicano sul referendum costituzionale “lo stesso sforzo collaborativo tra tutte le forze politiche”. Ma cosa c’entra il terremoto con il referendum? Perché le forze politiche che da mesi si battono per il “no” in quanto considerano sbagliata la riforma Boschi e ritengono utile per il Paese far cadere l’attuale governo dovrebbero cambiare linea e astenersi dalla propaganda per il “no”, anzi convertirsi alle ragioni del “si”? C’è stato addirittura chi, nel tentativo di togliere le castagne dal fuoco a Palazzo Chigi, visti i sondaggi abbastanza favorevoli al “no”, ha proposto il rinvio del referendum a seguito del terremoto. E’ vero, l’idea del rinvio l’ha lanciata per primo il premio Nobel Stiglitz, ma qualcuno nella sinistra non vedeva l’ora che lo facesse.

Un conto è se questo auspicio venisse formulato dal Quirinale, cioè da una figura super partes come Mattarella, altra cosa è se tali dichiarazioni arrivano da chi ha legato il suo futuro politico all’esito di un voto popolare che deve mantenere intatta la sua carica di democraticità, nel libero confronto tra tesi contrapposte.

Ben venga, quindi, lo spirito bipartisan nell’affrontare l’immane tragedia del terremoto. Stucchevoli e imbarazzanti, invece, quei tentativi di azzerare ogni dialettica politica in nome del totem della stabilità governativa. Il governo, al contrario, dovrà dimostrare di sapercela fare da solo nelle sfide della legge di stabilità e anche in quella referendaria, convincendo il maggior numero di italiani della bontà delle sue scelte. Peraltro, se il centrodestra accettasse supinamente una “renzizzazione” generalizzata della politica, lascerebbe al Movimento Cinque Stelle il monopolio dell’opposizione all’attuale esecutivo e, in vista delle elezioni politiche del 2018 (o 2017), perderebbe ogni credibilità agli occhi dell’opinione pubblica.

Quanto alla ricostruzione nel Centro Italia, l’augurio è che non finisca come all’Aquila, dove più della metà dei miliardi stanziati per i soccorsi non sono ancora stati spesi. Ciò anche a causa di una burocrazia paralizzante, che diventa in questi casi uno degli ostacoli più fastidiosi. L’Europa si è commossa di fronte alla nostra ultima tragedia nazionale e il governo deve utilizzare questa generosa disponibilità del Vecchio Continente, non tanto per far dimenticare agli italiani la preoccupante crescita zero o per ottenere, a fini elettoralistici, briglie sciolte sul rapporto deficit-Pil, bensì per intervenire in maniera energica, anche sul piano fiscale, in difesa delle popolazioni colpite. Renzi stia attento: anziché sul referendum potrebbe cadere sul post-terremoto. Nonostante l’abbraccio solidale e convinto di tutte le forze politiche.