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IL CASO

La pistola, il carabiniere e la Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione cancella, le sentenze viziate da falli procedurali, senza però mettere bocca riguardo al contenuto delle stesse. Ma ormai, questa Corte è diventata di fatto il terzo grado di giudizio. Cioè: il condannato in primo grado ricorre in appello e, se ricondannato, ri-ricorre in Cassazione. 

Cronaca 11_09_2016
Giudice della Corte di Cassazione

All’università, nelle lezioni di Diritto Pubblico & Costituzionale, ci insegnavano che la Corte di Cassazione si chiama così perché “cassa”, cioè depenna, annulla, cancella, le sentenze viziate da falli procedurali, senza però mettere bocca riguardo al contenuto delle stesse. 

In soldoni: cari i miei ricorrenti, a me non interessa –dice la Corte- se la sentenza che vi ha condannati o assolti sia giusta o meno, ma solo se è stata pronunciata correttamente nel pieno rispetto di ogni cavillo. È quel che si intende quando si dice che la Cassazione giudica sulla “legittimità” non sul “merito”. O, almeno, questo è quel che avevo capito io quand’ero studente. Epperò, sempre più spesso vedo, dai titoli dei giornali, che gli “ermellini” (così detti, i giudici cassazionisti, dalla bordatura delle toghe) nel merito ci entrano eccome. Così che, per gli italiani, la Corte di Cassazione è diventata di fatto il terzo grado di giudizio. Cioè: il condannato in primo grado ricorre in appello e, se ricondannato, ri-ricorre in Cassazione. 

Ormai lo fanno tutti, e forse va bene così. Che continui a sembrarmi un terzo grado di giudizio -forse sbagliando: da troppi anni manco dalle aule universitarie- è confermato dalla recente “sentenza” di detta Corte, che ha fatto il punto sulla pacca sul sedere (fine agosto 2016), decretando entro quali limiti essa può considerarsi violenza sessuale, almeno tentata. Il che sarebbe reato. Il “merito” è questo: una signorina è entrata in una caserma di carabinieri mentre il fidanzato la aspettava fuori. Il motivo per cui c’era entrata non interessa in questa sede, forse per qualche adempimento burocratico. Il fatto è che, dentro, un milite, pare, le ha tastato il deretano. 

Lei, uscita, lo ha detto al fidanzato, il quale, giustamente, si è risentito. I tempi che corrono – relativisti, femministi e lgbt- sono duri da far ingoiare al popolo, il quale si ostina a dividersi in maschi e femmine, coi maschi che si sentono in dovere di difendere le loro femmine dagli oltraggi degli altri maschi. Compagni, ancora uno sforzo (citazione togliattiana), ché prima o poi il sol dell’avvenire gender si deciderà a sorgere. Nel frattempo, tuttavia, c’è ancora qualche attardato che si indigna e “fa il cavaliere” (medievale, pensa un po’) intervenendo contro il villanzone che ha osato fare una cosa che è permessa solo a lui (il fidanzato, cioè). 

Nella vecchia Sicilia presessantottesca un proverbio diceva che chi dà un calcio a un cane è come se lo desse al padrone (del cane). Nella stessa isola, di quei tempi, un affronto del genere alla fidanzata sarebbe stato occasione di coltello. Oggi, grazie a Dio, siamo civili e le divergenze si risolvono a parole (educate) e, ove queste non bastano, col ricorso alla legge. Alle rimostranze dell’offeso, nel nostro caso, il presunto offensore si è giustificato così: la signorina ha equivocato, ha sentito la pressione della fondina della mia pistola, che come tutti sanno si porta all’altezza del bacino, e ha pensato alla mia mano; per la particolare fattispecie del misfatto, la signorina in questione era di spalle, perciò non era in grado di distinguere un tocco da un altro. 

Ma i due fidanzati non hanno voluto sentir ragioni e la cosa è finita in tribunale. Saltando i passaggi, la questione è: una mano estranea sul culo si configura come molestia sessuale o no? Dopo i vari gradi di giudizio, la Cassazione ha detto che dipende. Dipende, cioè, dalla durata della permanenza della mano anzidetta sul didietro altrui. Par di capire, dal combinato disposto, che una-botta-e-via non costituisca reato, l’appoggio persistente sì. Ma quanto dovrebbe durare, quest’ultimo? 

Bella domanda, a cui verrà probabilmente risposto la prossima volta che si verifichi (giudizialmente)  un caso analogo. Sempre dalla Cassazione, ovviamente. Resta, tuttavia, il quesito: ma quell’ufficio dei Cc era così angusto che uno rischiava di trovarsi con una pistola infondata (i.e. nella fondina) nelle chiappe?