La peste e Rosalia, come la Santuzza divenne patrona di Palermo
Maggio 1624, a Palermo arriva la peste. Due mesi dopo vengono trovate miracolosamente le reliquie di santa Rosalia, il cui culto si era raffreddato nei secoli. La Santuzza appare quindi a un saponaro e gli rivela una promessa celeste: il contagio cesserà con la processione delle sue ossa per le vie di Palermo, precisamente durante il canto del Te Deum. Così avvenne.
Non pochi fedeli palermitani stanno chiedendo in questi giorni l’intercessione della loro patrona, santa Rosalia († 4 settembre 1170), per essere liberati dal coronavirus. La notizia ha ricevuto in Italia l’attenzione del quotidiano La Stampa ed è stata ripresa oltremanica dal Guardian. Al di là dell’aspetto e dei commenti giornalistici odierni, quello che fu il più noto miracolo per intercessione della Santuzza - la fine della peste che colpì Palermo tra il 1624 e il 1625 - ci ricorda che la storia della Chiesa è una miniera enorme di esempi di fede e carità che possono tornare utili anche per affrontare l’emergenza in corso.
A differenza di alcuni esempi che abbiamo già richiamato su questo quotidiano, da san Gregorio Magno a san Giovanni Bosco, passando in particolare per l’opera di san Carlo Borromeo, santa Rosalia si trovava già in Paradiso da un bel pezzo - oltre quattro secoli e mezzo - quando la città beneficiò del suo aiuto più famoso. Un altro particolare: in quell’epoca il culto della santa, di cui vi sono attestazioni risalenti a pochi anni dopo la sua morte, si era molto affievolito. E saranno proprio i fatti legati alla peste del 1624-1625 a farla assurgere a patrona di Palermo, “scalzando” - per così dire - le gloriose compatrone sant’Agata, santa Cristina, santa Ninfa e sant’Oliva. Testimone d’eccezione di quel periodo fu, tra gli altri, il grande pittore fiammingo Antoon van Dyck, che allora soggiornava a Palermo e che si vide commissionare alcuni dipinti sulla ‘riscoperta’ Rosalia.
La peste era giunta in città il 7 maggio 1624 attraverso un vascello proveniente da Tunisi. In quello stesso mese una donna ammalatasi di febbre malarica, Girolama La Gattuta, salì sul Monte Pellegrino (il promontorio simbolo di Palermo) per adempiere un voto a santa Rosalia. Una volta bevuta l’acqua che sgorgava dalla grotta dove la Santuzza aveva vissuto da eremita gli ultimi anni terreni, Girolama si sentì sanata, venendo invasa da un senso di benessere e addormentandosi. Ebbe allora, in sogno, prima una visione della Vergine Maria, che le confermava la guarigione, e poi di una giovane in preghiera, Rosalia, che le indicava un punto preciso della grotta dove sarebbe stato trovato «un tesoro». Si trattava delle spoglie mortali della santa che furono finalmente ritrovate, a seguito degli scavi eseguiti su insistenza di Girolama, il 15 luglio. Da tale ritrovamento storico discende l’usanza del Festino in questo giorno.
Le ossa di Rosalia, emananti un intenso profumo di fiori, vennero quindi portate al cardinale e arcivescovo Giannettino Doria, che ordinò l’esame delle reliquie. Una prima commissione di medici e teologi espresse scetticismo. Nel frattempo la situazione a Palermo era già grave. L’8 luglio del 1624 le autorità avevano infatti disposto di sbarrare le case degli appestati per limitare i contagi.
L’epidemia continuò a mietere vittime nei mesi successivi. Tra i morti per peste vi fu anche la giovane moglie di un saponaro di nome Vincenzo Bonelli, che il 13 febbraio 1625, disperato per il lutto, decise di salire sul Monte Pellegrino con l’intento di suicidarsi. In quei momenti drammatici, già in cima, Bonelli vide apparire santa Rosalia, che lo esortò a pentirsi del suo proposito suicida e gli diede la missione di dire all’arcivescovo Doria che non vi fossero più «dispute e dubbi» sull’autenticità delle sue ossa. Rosalia aggiunse che le sue reliquie dovevano essere portate in processione per le vie di Palermo: la Madonna le aveva infatti assicurato che l’epidemia sarebbe cessata al passaggio della processione, precisamente durante il canto del Te Deum. «E per segno della verità, tu - disse Rosalia al saponaro - in arrivare a Palermo, cascherai ammalato di questa infermità e ne morrai, dopo aver riferito tutto ciò al Cardinale: da ciò egli trarrà fede a quanto gli riferirai».
Allo stesso tempo la santa assicurò a Bonelli la salvezza dell’anima. L’uomo rivelò tutto al suo confessore, che lo indirizzò subito dall’arcivescovo Doria. Il quale gli credette, constatando che quanto era stato predetto a Bonelli - la sua malattia improvvisa e quindi la morte - si era verificato. Il cardinale convocò una nuova commissione di esperti, che stavolta avallò l’autenticità delle reliquie; da parte sua, il Senato cittadino autorizzò la spesa per la costruzione dell’urna d’argento che avrebbe dovuto custodire i resti di santa Rosalia. Così, il 9 giugno 1625 si svolse la processione solenne con una grande partecipazione di popolo: al momento del Te Deum, diversi ammalati guarirono visibilmente e il contagio, come aveva promesso la Madre celeste, ebbe fine. «Gli scrivani del re - si legge sul sito del Santuario di Santa Rosalia - annotano nei registri comunali i nomi, l’età, il luogo della guarigione ed ogni dato di tutte le persone guarite».
L’ultimo atto si compì il 3 settembre quando, constatata la completa liberazione dalla peste, si consentì la libera circolazione di «uomini, animali e merci», ritornando alla vita normale.