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FOCUS

La Pentecoste di rom e sinti

Il Papa a migliaia di "zingari" arrivati in San Pietro per ricordare il loro martire Zefirino: tutti ricordino la vostra tragedia, aiutate voi stessi a integrarvi nei Paesi europei.

Attualità 13_06_2011
papa rom

Sabato 11 giugno, vigilia di Pentecoste, Roma è stata teatro di una grande manifestazione di persone di ogni parte d’Europa convenute nella Città Eterna per ascoltare una parola di speranza. I lettori di altri quotidiani potrebbero pensare all’ennesimo pezzo sul raduno omosessuale Europride, di cui davvero si è parlato fin troppo. Ma per i cattolici che leggono La Bussola Quotidiana la manifestazione davvero importante dell’11 giugno a Roma è stata il pellegrinaggio di migliaia di rom e sinti convenuti con il Papa a Roma per celebrare il centocinquantesimo anniversario della nascita e il settantacinquesimo del martirio del «loro» beato, Zefirino (Ceferino) Giménez Malla (1861-1936).

Il pellegrinaggio è stata una vera, storica Pentecoste dei rom e sinti, una manifestazione di quella universalità della Chiesa che il Pontefice ha ricordato domenica 12 giugno nella sua omelia di Pentecoste: un’universalità che «non è il frutto dell’inclusione successiva di diverse comunità. Fin dal primo istante, infatti, lo Spirito Santo l’ha creata come la Chiesa di tutti i popoli; essa abbraccia il mondo intero, supera tutte le frontiere di razza, classe, nazione; abbatte tutte le barriere e unisce gli uomini nella professione del Dio uno e trino. Fin dall’inizio la Chiesa è una, cattolica e apostolica: questa è la sua vera natura e come tale deve essere riconosciuta. Essa è santa, non grazie alla capacità dei suoi membri, ma perché Dio stesso, con il suo Spirito, la crea, la purifica e la santifica sempre».

Molto attese erano però le parole che il Papa avrebbe rivolto ai rom e sinti: anche – lo confesso – da me, che come Rappresentante dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la lotta al razzismo e alla discriminazione religiosa, ho nel mio mandato la problematica relativa all’integrazione dei sinti e rom nei cinquantasei Paesi che partecipano a questa organizzazione internazionale. In un articolo sulla Bussola Quotidiana avevo ricordato che l’OSCE ha un suo «Piano d’azione per i Rom», e che nel corso del mio mandato da questo piano ho scelto due priorità: un dialogo con gli Stati perché l’integrazione abitativa e scolastica superi la nozione di «nomadi» – dal momento che molti rom hanno abbandonato il nomadismo e vivono da decenni nella stessa località –, e uno sforzo perché quando si ricorda l’Olocausto si spieghi sempre, soprattutto nelle scuole, che accanto alla Shoah ebraica ci fu anche il Porrájmos, lo sterminio dei rom che fece almeno trecentomila morti.

Ricordare il fatto che molti progetti di sterminio nazisti parlano insieme di «ebrei e zingari» contribuisce anche a far comprendere meglio le radici razziste dell’infame logica hitleriana. E aiuta a distinguere l’antisemitismo razziale nazista dal tradizionale antigiudaismo europeo fondato sulla religione, senza escludere le responsabilità del secondo nel creare in alcuni Paesi un clima che favorì il successo d’ideologie razziste, che erano però intrinsecamente diverse da ogni ostilità all’ebraismo di matrice religiosa, come dimostra proprio l’inclusione nei progetti di «soluzione finale» di rom e sinti che erano in buona parte cristiani.

Le mie scelte di priorità non hanno nulla di particolarmente originale. Molte voci nella Chiesa Cattolica e nelle organizzazioni internazionali hanno da anni offerto raccomandazioni analoghe. Anche il Papa l’11 giugno ha ripreso le stesse due priorità, aggiungendone però una terza, non meno importante delle prime due.

Benedetto XVI ha anzitutto invitato tutti a ricordare la tragedia che ha colpito i rom e i sinti «nella II Guerra Mondiale: migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi nei campi di sterminio. È stato – come voi dite – il Porrájmos, il “Grande Divoramento”, un dramma ancora poco riconosciuto e di cui si misurano a fatica le proporzioni, ma che le vostre famiglie portano impresso nel cuore». «Durante la mia visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, il 28 maggio 2006 – ha ricordato il Pontefice – ho pregato per le vittime della persecuzione e mi sono inchinato di fronte alla lapide in lingua romanes, che ricorda i vostri caduti. La coscienza europea non può dimenticare tanto dolore! Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo!».

Rom e sinti sono stati peraltro oggetto di discriminazioni e persecuzioni – certo, meno letali del Porrájmos – anche da parte di regimi comunisti. Si situa in questo contesto l’occasione del pellegrinaggio a Roma: il ricordo del beato Zefirino, un rom terziario francescano e infaticabile catechista del suo popolo che morì fucilato dai repubblicani durante la guerra di Spagna, con il Rosario in mano e gridando «Viva Cristo Re!». «L’amicizia con il Signore – ha detto Benedetto XVI – ha reso questo Martire testimone autentico della fede e della carità. Con l’intensità con cui egli adorava Dio e scopriva la sua presenza in ogni persona e in ogni avvenimento, il beato Zefirino amava la Chiesa e i suoi Pastori. Terziario francescano, rimase fedele al suo essere zingaro, alla storia e all’identità della propria etnia. Sposato secondo la tradizione dei gitani, assieme alla consorte decise di convalidare il legame nella Chiesa con il sacramento del Matrimonio. La sua profonda religiosità trovava espressione nella partecipazione quotidiana alla Santa Messa e nella recita del Rosario. Proprio la corona, che teneva sempre in tasca, divenne causa del suo arresto e fece del beato Zefirino un autentico “martire del Rosario”, poiché non lasciò che gliela togliessero di mano nemmeno in punto di morte».

Dal ricordo del beato Zefirino il Pontefice è passato al secondo punto: l’integrazione, la quale deve tenere conto che oggi «molte etnie non sono più nomadi, ma cercano stabilità con nuove aspettative di fronte alla vita». «La ricerca di alloggi e lavoro dignitosi e di istruzione per i figli sono le basi – ha affermato il Papa – su cui costruire quell’integrazione da cui trarrete beneficio voi e l’intera società», un’integrazione che le istituzioni possono e devono sostenere. Il Pontefice si è però tenuto lontano da ogni retorica del vittimismo, che in questo campo fa spesso gravi danni, ricordando a rom e sinti che l’integrazione non può venire soltanto dall’esterno ma richiede un reale sforzo da parte loro. Il ricollocamento in unità abitative che superino la logica dei «nomadi» e quindi dei campi e la piena scolarizzazione delle nuove generazioni sono processi che incontrano difficoltà che derivano dai governi, ma spesso anche dagli stessi rom.

«Date anche voi – ha detto il Papa – la vostra fattiva e leale collaborazione, affinché le vostre famiglie si collochino degnamente nel tessuto civile europeo! Numerosi tra voi sono i bambini e i giovani che desiderano istruirsi e vivere con gli altri e come gli altri. A loro guardo con particolare affetto, convinto che i vostri figli hanno diritto a una vita migliore. Sia il loro bene la vostra più grande aspirazione!». Il beato Zefirino, ha aggiunto il Papa, «indica la via», che comprende «l’osservanza dei comandamenti, l’onestà, la carità e la generosità verso il prossimo». Se all’Europa chiede una riflessione perché non si ripetano mai più le pagine oscure dei campi di sterminio, il Pontefice rivolge un appello anche agli stessi rom e sinti: «Da parte vostra, ricercate sempre la giustizia, la legalità, la riconciliazione e sforzatevi di non essere mai causa della sofferenza altrui!».

C’è un terzo punto, tutt’altro che secondario, che non rientra nel mandato delle organizzazioni internazionali ma che è al cuore della missione della Chiesa. La più potente forza d’integrazione è la religione. Parlando con rom, come ultimamente mi capita più spesso di fare, si scopre che molti di loro hanno l’impressione – in parte ingiusta ma diffusa – che i cattolici impegnati nelle loro comunità si occupino essenzialmente di promozione umana, mentre chi parla di Gesù Cristo e propone il Vangelo ai non cristiani viene più spesso dalle comunità protestanti pentecostali – molto presenti fra i rom, soprattutto in Francia – o da nuovi movimenti religiosi. Paradossalmente, molti rom nati cattolici continuano a rivolgersi a organizzazioni ecclesiali per la tutela dei loro diritti ma frequentano poi il culto pentecostale o i Testimoni di Geova per quanto riguarda la religione. Il Papa ha invitato i rom e sinti cattolici a rafforzare, ancora prendendo esempio dal beato Zefirino, «la dedizione alla preghiera e in particolare al Rosario, l’amore per l’Eucaristia e per gli altri Sacramenti», assicurando che questo «vi renderà forti di fronte al rischio che le sette o altri gruppi mettano in pericolo la vostra comunione con la Chiesa».

Benedetto XVI ha voluto rivolgere un forte appello ai rom cattolici e alle organizzazioni ecclesiali che operano al loro servizio perché, senza trascurare affatto la promozione umana, non dimentichino la priorità dell’annuncio e dell’evangelizzazione. Ha ricordato che «il Servo di Dio Paolo VI (1897-1978) rivolse agli Zingari, nel 1965, queste indimenticabili parole: “Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore. Voi siete nel cuore della Chiesa”. Anch’io ripeto oggi con affetto: voi siete nella Chiesa!». «La Chiesa cammina con voi e vi invita a vivere secondo le impegnative esigenze del Vangelo», secondo «l’amore per la Chiesa e per il Papa»: «anche voi siete chiamati a partecipare attivamente alla missione evangelizzatrice della Chiesa, promuovendo l’attività pastorale nelle vostre comunità».

«Siamo – ha concluso il Papa – alla Vigilia di Pentecoste, quando il Signore effuse il suo Spirito sugli Apostoli che cominciarono ad annunciare il Vangelo nelle lingue di tutti i popoli. Lo Spirito Santo elargisca i suoi doni in abbondanza su tutti voi, sulle vostre famiglie e comunità sparse nel mondo e vi renda testimoni generosi di Cristo Risorto. Maria Santissima, tanto cara al vostro popolo e che voi invocate come “Amari Devleskeridej”, “Nostra Madre di Dio”, vi accompagni per le vie del mondo e il beato Zefirino vi sostenga con la sua intercessione». Può sembrare che il Rosario, l’amore alla Madonna, all’eucarestia, al Papa siano temi lontani dalle dure necessità quotidiane dei rom e dei sinti. Ma da un certo punto di vista sta qui invece una parte importante della soluzione ai loro problemi. In lingua romanes, Benedetto XVI ha salutato la folla di rom e sinti con l’augurio tradizionale: « O Del del tumén sastimós te baxht acén e Devlesa», «Rimanete con Dio. Il Signore vi doni salute e fortuna». Nelle loro difficoltà, sinti e rom ne hanno davvero bisogno.