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IL CASO BUDRIO

La pastorale familiare contro la pastorale sociale

Accade che la pastorale familiare proponga percorsi di costruzione della famiglia cristiana e contemporaneamente collabori con chi vuole costruire una società anti-familiare o post-familiare. Riflessioni sul caso Budrio. 

Ecclesia 21_06_2022

La benedizione della coppia omosessuale avvenuta nella chiesa di san Lorenzo a Budrio (Bologna) è stata impartita da don Gabriele Davalli, che dirige anche l’ufficio della pastorale familiare della diocesi di Bologna. Egli ha rivenuto che l’atto della benedizione rientrasse nella pastorale familiare, cosa piuttosto impropria. Ha forse anche ritenuto che quella benedizione, essendo per lui un atto afferente alla pastorale familiare, non avesse nessun rapporto con la corretta pastorale sociale. Si è quindi sbagliato due volte: prima nel ritenere che la benedizione rientrasse nella pastorale sociale e poi che la benedizione non avesse alcun collegamento con la pastorale sociale.  Poiché questo punto, ossia la separazione tra pastorale familiare e pastorale sociale è oggi prevalente, vale la pena fare qualche considerazione.

Il riconoscimento, di qualsiasi genere esso sia - giuridico, politico o religioso – della dignità pubblica della convivenza omosessuale contrasta con i principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa che dovrebbe essere la guida della pastorale sociale, come dice, tra l’altro, il Direttorio CEI per la pastorale sociale “Evangelizzare il sociale”. Contrasta con la dottrina del matrimonio su cui si fonda la famiglia, con la dottrina sulla famiglia costituita da un uomo e una donna in un legame stabile e aperto alla vita, con la dottrina del significato generativo e quindi pubblico e non solo privato della sessualità, con il diritto del bambino a “crescere sotto il cuore della madre”, con il concetto di “ecologia umana”, con la visione della identità sessuata naturale come “vocazione”, con il dovere/diritto dei genitori (padre e madre) di educare i propri figli, con la unicità tipologica della famiglia naturale, con la concezione della famiglia naturale cellula della società e chiesa domestica, e così via. Benedire una coppia omosessuale non è quindi solo in contrasto con la pastorale familiare ma anche con la pastorale sociale.

Non si può certo generalizzare. Però, che nella diocesi di Bologna questa visione della pastorale familiare che deve procedere in combinata con la pastorale sociale non sia per nulla presente risulta di sponda dall’iniziativa di Budrio. Il sacerdote non si è nemmeno posto il problema se il suo intervento di pastorale familiare (sic!) fosse in armonia con i principi fondamentali della pastorale sociale.

A pensarci bene risulta strano che le attività di pastorale familiare – laddove ci sono, intendiamoci, perché in moltissime diocesi non c’è né la pastorale familiare né quella sociale – non tengano conto anche di come atteggiarsi verso le attuali leggi distruttive della famiglia, oppure che non tocchino mai il tema della famiglia come soggetto sociale e politico, che non allertino le famiglie a esaminare per bene i programmi politici dei partiti, o a porsi il problema del totalitarismo educativo statale o del fatto che dal nido all’università i figli sembrano essere più dello Stato che dei genitori, che non affrontino il tema del lavoro della donna in rapporto al suo ruolo dentro la famiglia, e così via. Se tutto questo fosse fatto, allora anche il tema della coppia omosessuale, e perfino quello della coppia di fatto eterosessuale, verrebbero affrontati correttamente anche nella pastorale familiare. Tutto questo a Budrio mancava, evidentemente.

Sembra assurdo pretendere di far passare alcuni principi e valori tramite la pastorale familiare, senza tenere conto che la società nelle sue strutture li contraddice e invita a non seguirli. Spesso addirittura impedisce di seguirli. Eppure, accade che la pastorale familiare proponga percorsi di costruzione della famiglia cristiana e contemporaneamente collabori con chi vuole costruire una società anti-familiare o post-familiare. Uno sguardo attento e coerente alla pastorale sociale potrebbe aiutare a non fare errori di questo genere.

Facendo queste osservazioni, si toccano diversi nodi ecclesiali oggi problematici. Chi guida la pastorale familiare in una diocesi cosa sa della pastorale sociale? E soprattutto: cosa sa della Dottrina sociale della Chiesa, che non gli è stata mai insegnata? Difficile affrontare un problema se non si hanno nemmeno le categorie per porselo.

Molto dipende poi dalla concezione ampiamente circolante oggi di pastorale, vista come qualcosa che nasce dall’esperienza e che non ha bisogno della dottrina. I sacerdoti che occupano posti nell’organigramma pastorale diocesano spesso sono stati formati nei seminari ad una teologia pastorale di questo genere. Sicché le diverse pastorali, quella familiare e quella sociale, ma anche quella della cultura o giovanile, non sentono il bisogno di condividere un quadro dottrinale coerente. Se a prevalere è l’urgenza pastorale, l’incontro esperienziale con l’altro per iniziare un cammino, l’indirizzo dottrinale che deve avere quel cammino viene dopo. Ecco perché le attività pastorali diocesane vanno una per contro proprio.

Capita così che chi vuol promuovere la famiglia cristiana benedica le coppie gay.