La nuova "spallata" della Corte europea
La Corte europea dei diritti dell'Uomo si è pronunciata nuovamente qualche giorno fa sul tema delle adozioni da parte di coppie omosessuali. Il caso attuale riguarda la richiesta da parte di una cittadina austriaca lesbica di adottare un figlio.
La Corte europea dei diritti dell'Uomo si è pronunciata in questi giorni nuovamente sul tema delle adozioni da parte di coppie omosessuali, chiudendo così il ricorso “X e altri contro Austria”, durato quasi 10 anni. Il caso attuale riguarda la richiesta da parte di una cittadina austriaca lesbica di adottare il figlio della propria partner, con la quale convive da anni: secondo la disciplina civile dell'Austria chi vuole riconoscere come proprio il figlio del partner (di sesso opposto) può farlo tramite l'adozione di minori nati fuori dal matrimonio, diventando a tutti gli effetti giuridici genitore. Questo avviene, però, estromettendo – per usare un termine non tecnico – l'altro genitore naturale del minore, che perde quindi la potestà genitoriale.
Nel caso oggetto del ricorso, infatti, la donna lamentava il fatto che, desiderando diventare madre adottiva del ragazzino, avrebbe automaticamente causato la perdita della potestà materna alla propria partner, madre biologica. Quindi, in forza degli artt. 8 e 14 della CEDU (Carta Europea dei Diritti dell'Uomo) la donna ha proposto ricorso contro lo Stato austriaco che, non permettendole di adottare il figlio della propria compagna, senza che quest'ultima rinunciasse alla parentela con il ragazzo, ledeva il diritto di due cittadini europei ad avere una famiglia e a non essere discriminati sulla base del proprio orientamento sessuale.
La Corte di Strasburgo ha sentenziato condannando l'Austria con una decisione che – sebbene non vincolante per gli altri Stati membri in maniera diretta – costituisce sicuramente un prezioso precedente giurisprudenziale per coloro che tenteranno la strada di ricorsi simili. Lo Stato austriaco dovrà pagare alle due donne e al ragazzo 10 mila euro per danni morali e quasi 29 mila di rimborso per le spese legali.
Le problematiche giuridiche che questa sentenza solleva sono di non poco conto: come già accaduto in passato per alcune istituzioni dell'UE – di cui la Corte di Strasburgo non fa formalmente parte, essendo un'istituzione propria del Consiglio d'Europa – si finisce col ritoccare ideologicamente la definizione di nucleo familiare e di matrimonio, sebbene il punto di partenza sia apparentemente ben diverso.
Al centro delle motivazioni della sentenza, infatti, parrebbe non esserci la ridefinizione più o meno larga di famiglia data dal legislatore austriaco, bensì solo le normative nazionali specifiche sulle adozioni, nelle quali – sempre secondo i Giudici di Strasburgo – non può farsi preferenza alcuna tra genitori adottivi omosessuali o eterosessuali. Stando alla Corte, quindi, non occorrerebbe modificare la definizione giuridica di famiglia, né è intenzione dei Giudici obbligare gli altri Stati membri del Consiglio d'Europa a rendere legali le adozioni di minori da parte di coppie omosessuali.
Queste affermazioni della Corte di Strasburgo, però, sanno di ipocrisia quando leggiamo nella sentenza che il ricorso viene così deciso poiché «non ci sono razionali e oggettive motivazioni» per sostenere che la crescita di un figlio da parte di una famiglia eterosessuale sia preferibile piuttosto che da parte di una coppia omosessuale. Sebbene, insomma, la Corte non intenda farlo, di fatto dà indiretti suggerimenti circa un ribaltamento della disciplina in materia di famiglia. Innanzitutto va osservato che, se di diritto alla vita privata e ai rapporti familiari si va discutendo, residua in questa vicenda un soggetto fortemente discriminato che è il padre naturale del ragazzino: ammettendo che un figlio possa essere legittimamente adottato da due persone dello stesso sesso, uno dei genitori biologici dell'adottato deve perdere la propria potestà.
Diversamente, infatti, si avrebbe un nucleo familiare composto da tre genitori. Questo, se è più comprensibile nel caso in cui – come ben potrebbe accadere – l'altro genitore biologico non sia reperibile, abbia rinunciato ai rapporti col figlio o, addirittura, non l'abbia riconosciuto alla nascita, non lo è certo nel caso in esame, in cui il padre è ben presente nella vita del figlio. Non costituisce forse una violazione dei medesimi articoli della CEDU, estrometterlo dal proprio legame di parentela col figlio per effetto della decisione delle due donne?
La Corte liquida la questione sostenendo che «il rapporto tra le due donne e il padre riguarda i rapporti interni di questo nucleo familiare» e che tali questioni debbono essere rimesse alla libertà dei privati in materia di vita familiare ex art. 8 della CEDU. Di fatto, però, a seguito dell'odierna sentenza questo “terzo genitore” dovrà pur ricevere una qualche qualificazione giuridica e questo non potrà che avvenire proprio tramite una ridefinizione dell'istituto austriaco della famiglia.
Ancora: ammettendo che la madre naturale del ragazzo non perda la propria potestà per effetto dell'adozione da parte della “nuova” madre, si ridisegna anche il concetto stesso di genitorialità: un figlio potrà avere nello specifico due madri giuridicamente equipollenti, il che equivale a dire che la famiglia deve cambiare.
Il passaggio è sottile e va ben oltre l'idea di permettere a una coppia omosessuale di adottare un figlio, riguardando bensì l'ipotesi pericolosa di riconsiderare la maternità stessa come qualifica accessoria, interscambiabile e perfino eventuale.
Anche sotto questo secondo profilo, le conseguenze della sentenza non sono innocue e portano all'esito di rendere necessaria una ridefinizione giuridica e sociale della famiglia, quanto meno in Austria. Molti erano in attesa di questa pronuncia della Corte, che chiude definitivamente le possibilità di appello avverso: è possibile prevedere una scia di probabili decisioni simili sulla scorta di questo precedente, forse anche in merito a ricorsi proposti da cittadini italiani.