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GIUSTIZIA E POLITICA

La nemesi di Grillo: indagato per una legge voluta da lui

La cultura del sospetto che è figlia del grillismo ora punisce proprio la galassia pentastellata con l'iscrizione di Grillo nel registro degli indagati per traffico di influenze illecite, reato reso più aspro proprio dai Cinque Stelle. Se il comico dovesse uscirne pulito sarebbe uno che l'ha fatta franca o un perseguitato? Così finisce la presunta superiorità dei Cinque Stelle. 

Politica 20_01_2022

Cade un altro mito della storia del grillismo, uno dei più sbandierati ai quattro venti: quello della lotta alla corruzione. Il Movimento Cinque Stelle è nato per combattere i favoritismi, le collusioni tra politica e altri poteri, i conflitti di interessi e tutte quelle situazioni ritenute patologiche nel funzionamento di una democrazia. Il giustizialismo grillino ha alimentato l'indignazione popolare nei confronti della vecchia classe politica considerata corrotta e da mandare a casa. Negli ultimi anni, i leader del Movimento hanno rinunciato a tutti i loro cavalli di battaglia, rivelando l'unico movente della loro esperienza politica: il poltronismo, l'attaccamento a un potere immeritato e conquistato con un "vaffa". Ma i nodi vengono al pettine e la sconfessione integrale di tutti gli impegni presi con gli elettori ha prodotto una prevedibile erosione dei consensi, della quale si avrà prova evidente alle prossime elezioni politiche. 

Nel frattempo Beppe Grillo, dopo le disavventure giudiziarie del figlio, si trova coinvolto in un'inchiesta per traffico di influenze illecite. E' indagato dalla Procura di Milano per una intermediazione che avrebbe favorito la Moby, la compagnia marittima dell'armatore Vincenzo Onorato, anch'egli indagato e suo amico da oltre 40 anni. L'inchiesta milanese si ricollega a un'altra inchiesta, aperta dalla Procura di Firenze, sui finanziamenti dati dalla Moby a diverse forze politiche e fondazioni, tra le quali la Open, vicina a Matteo Renzi. 

La Beppe Grillo s.p.a. avrebbe avuto 240.000 euro in 2 anni dalla Moby per alcune attività consulenziali nel settore della pubblicità, ma ora si sospetta che l'ex comico si sarebbe speso con i parlamentari pentastellati per aiutare l'azienda di Onorato sia con leggi ad hoc che con finanziamenti. Anche la Casaleggio Associati, che ha incassato lecitamente 600.000 euro all'anno per alcuni anni dalla Moby, sarebbe coinvolta in questi sospetti perchè il piano di comunicazione e i servizi resi al gruppo guidato dall'armatore si sarebbero poi tradotti in intermediazioni presso i gruppi parlamentari grillini e anche presso l'ex Ministro dei trasporti, Danilo Toninelli, per ottenere una qualche utilità. 

Tutte cose da appurare, ovviamente, ma nel frattempo alcune considerazioni sono doverose. La prima è che Beppe Grillo viene inchiodato alle sue presunte responsabilità e irregolarità in virtù di una legge anticorruzione del 2012 che è stata resa ancora più aspra, sempre in nome del giustizialismo, dall'ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Una sorta di nemesi, che punisce la presunzione e la ostentata diversità grillina, evidentemente smontata dalla realtà, e non solo in questa circostanza.  

La seconda considerazione è che il reato di traffico di influenze illecite è davvero difficile da provare ma è comunque altrettanto difficile da negare, per cui consente di tenere sulla graticola mediatico-giudiziaria per anni un sospettato, senza che poi emergano concrete prove contro di lui. La beffa è che la tribù giustizialista grillina, che ha sempre trovato nel Fatto Quotidiano un amplificatore fedele, si trova ora ad affrontare la grana Grillo-Procura di Milano con evidente imbarazzo, visto che il fondatore dei Cinque Stelle è accusato dello stesso reato, traffico di influenze illecite, di cui è accusato il babbo di Matteo Renzi. E allora una domanda bisogna farsela: ove Grillo uscisse indenne da questa inchiesta, si tratterebbe di un perseguitato o di un colpevole che l'ha fatta franca? 

Infine una nota sulla natura del reato di traffico di influenze illecite, che è figlio, appunto, di una denigrazione ideologica del concetto di lobbying. Negli Usa le attività di rappresentanza degli interessi, svolte dai lobbisti, sono disciplinate per legge e la cultura del lobbismo è considerata una ricchezza per la democrazia perché facilita la sintesi degli interessi particolari e la rispondenza ad essi delle decisioni politiche.

In Italia si persegue il reato di traffico di influenze illecite, che può essere contestato anche a chi, nell’esercizio di un’attività professionale di pubbliche relazioni, fa semplicemente una telefonata a un politico per segnalare un’esigenza di un’azienda o di una associazione di categoria o per chiedere un appuntamento a un decisore istituzionale. Una cultura del sospetto che è figlia del grillismo e che ora punisce proprio la galassia pentastellata.