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IL LIBRO

La natura secondo le voci dei poeti

Da Lucrezio a Keats, da Leopardi a Luzi, in “Cos’è la natura? Chiedetelo ai poeti” lo scrittore e giornalista Davide Rondoni indaga il rapporto dell’uomo con la natura, mettendosi in ascolto delle voci degli autori classici. E riflettendo sulle storture dell’ideologia “naturalistica” e l’atteggiamento fideistico verso la scienza in tempo di Covid.

Cultura 30_11_2021

«Non credo che bastino yogurt “bio” o altri cibi e bevande “biologici” a farci vivere una vita davvero naturale. E nemmeno le varie mode su materiali in fibra di caucciù, ginnastica e cose del genere. La natura non è solo un bel paesaggio da conservare o energia pulita o tisane diuretiche. Accanto al proliferare di cuccioli di gatto tenerissimi che vediamo su Instagram, ci sono virus, cataclismi, flagelli che falciano miriadi di innocenti». Dunque la concezione comunemente diffusa di una Natura “buona” deve conciliarsi con la consapevolezza che «il pianeta è anche un posto orrendo per un sacco di gente, e per un sacco di specie animali e vegetali».

Si snoda tra versi e narrazione, ironia e riflessioni, il saggio di Davide Rondoni Cos’è la natura? Chiedetelo ai poeti (Fazi Editore 2021, pp. 200) che indaga il tema della natura attraverso interrogativi antichi e sempre nuovi, affrontando diversi luoghi comuni senza pregiudizi anche in relazione alle sfide contemporanee. Quello di Rondoni è un taccuino di appunti, un itinerario personale nello stupore inquieto che si ridesta nell’animo di chi mira o riflette sulla Natura, sul mistero delle cose, condotto attraverso le voci di autori classici, da Lucrezio a Keats, da Leopardi a Luzi, perché i poeti «proseguono il primo atto del bambino che esce nel mondo e dell’uomo che esce dalla caverna e vede la Natura; parlano da dentro la Natura, da dentro lo “spazio del suo dono”».

Dopo aver osservato nella semioscurità due cervi mentre si accoppiavano, Lev Tolstoj «si chiese perché mai la vita in Natura, l’esistenza, fosse abitata da una strana necessità a proseguire, a generarsi dal proprio interno in una propulsione che pare insensata». Da questa considerazione, secondo tale aneddoto, nacque l’ispirazione per l’incipit di Anna Karenina.

Se dunque, come afferma Eraclito, «la natura ama nascondersi», i poeti l’inseguono, o almeno cercano a tentoni di carpirne il mistero. «La Natura in Dante è luogo del viaggio e co-protagonista, attraverso il suo ordine misterioso, del movimento del poeta come di ogni cammino umano». D’altra parte, «per vivere al giusto livello la ‘esperienza’ occorre sapere che la Natura non è uno scenario, né una madre trascendente, ma una co-protagonista della nostra vita. Sorella, fratello, diceva il poeta di Assisi».

Di qui l’uomo è natura e nel contempo intuizione di ciò che è al di là di essa, come ha ben compreso Leopardi, il quale ne L’infinito evidenzia come «nella comparazione tra il regno naturale (finito) e una visione del non naturale (l’infinito), l’io fa un dolce naufragio. Forse perché non sa come fare ad abitare i due territori insieme». In tal senso «il paradosso dell’io abita e osserva, per conoscerlo, il paradosso della Natura», come osserva acutamente Rondoni.

E in effetti il mistero dell’ulteriorità della natura rispetto alla sua comprensibilità da parte dell’uomo emerge nei versi di Emily Dickinson: «Natura è ciò che noi conosciamo / Ma non abbiamo arte per dirla / Così impotente la nostra saggezza / Al cospetto della sua chiarezza». Le fa eco Einstein quando afferma: «La cosa più bella della vita è il suo lato misterioso». Lo scienziato è dunque, in tal senso, come il poeta; se ne sta sulla soglia pronto a cogliere nuovi indizi che aprano scenari nuovi.

La natura richiede perciò un atteggiamento di umiltà, che non pare essere particolarmente diffuso tra gli intellettuali del nostro tempo. Infatti «in questo recente frangente della vita sociale e politica così condizionata dalla pandemia si è avuto da un lato un atteggiamento fideistico verso la scienza e dall’altro la netta sensazione che pur assumendosi anche con un certo cipiglio da educatori del popolo le responsabilità di indirizzo politico, gli scienziati brancolassero nella nebbia, quando non addirittura attirassero il sospetto di muoversi per altri interessi che non la tanto declamata “salute pubblica”. Di sicuro, il mondo esce dalla pandemia con una certezza più inquieta rispetto alla scienza che ha proposto se stessa come modo unico e certo di conoscere la vita umana in modo perentorio negli ultimi tre secoli». Allo stesso modo, osserva Rondoni, «la ideologia “naturalistica” che sta dominando in questi anni non fa rima con una visione più poetica della vita ma con l’economia. Basta prendere qualsiasi articolo che rivela come la nuova dottrina “verde” - o chiamiamola transizione ecologica - sia una parola d’ordine che ha trovato nel business il suo primo campo di applicazione». D’altra parte attualmente «la vita del pianeta, la sua durata, e non più il ‘senso’ della vita umana, è lo scopo ideale, la nuova ideologia a cui piegare tutto».

Al contrario, «per i poeti la Natura ha uno ‘scopo’ che non è biologicamente, chimicamente o matematicamente leggibile. Essa è, per così dire, interpretabile solo in rapporto dinamico con l’uomo». Perciò al grido leopardiano alla luna «Ed io che sono?» dà risposta con la propria vita un uomo santo, don Luigi Giussani: «Io sono Tu che mi fai».

D’altra parte, come testimonia Dante, «il parlar poetico sorge come obbedienza, come ascolto di “amor ch’e’ ditta dentro”». Un parlar poetico che rende Rondoni consapevole di un ultimo paradosso della Natura, il più significativo, quello per il quale «le leggi della Natura e della vita non si cancellano ma fioriscono quando le traversa (e le smentisce) l’amore. Che fiorisce nei perdoni».