La mostra che non rispetta la morte, né la vita
Anche a Bologna arriva la mostra "Body Worlds", cadaveri plastinizzati in mostra, trasformati in sculture. E non si risparmiano neppure i feti e una donna incinta col ventre aperto. Non c'è alcun rispetto, solo materialismo.
Si sono appena spenti i riflettori sul festival Gender Bender che a Bologna si riaccendono subito per la mostra del tedesco Gunther von Hagens, “Body worlds”. Si tratta di una esposizione di veri corpi umani mummificati tramite plastilinazione, una tecnica che permette di conservare tessuti ed organi, sostituendo ai liquidi corporei dei polimeri di silicone. In altre parole, cadaveri in esposizione.
In piena estate, alla notizia dell’arrivo della mostra, la curia bolognese fece sentire il suo dissenso, mentre il prete televisivo don Antonio Mazzi, “testimonial” della macabra esposizione, ha dichiarato: «Questa mostra deve essere fatta visitare per obbligo agli adolescenti affinché capiscano quale meraviglia è il loro corpo. Noi cattolici dobbiamo liberarci dal tabù del corpo e capire che anima e corpo non sono divisi».
Ammesso, e non concesso, che ci sia qualche tabù da cui doversi liberare, non si capisce perché si debba ricorrere alla “Body Worlds”, e meno che mai alla sua parte sul “ciclo della maternità”. In fondo ad un lungo corridoio con vetrine piene di feti plastinizzati nelle diverse fasi di sviluppo, troviamo il pezzo forte della mostra: la gravida distesa, una donna all’ottavo mese di gravidanza con il ventre aperto e contenente, fra gli organi, un bambino di 28 centimetri. A Milano, con molte polemiche, questa parte della “mostra” non era stata presentata, a Bologna c’è e fa il suo effetto.
Il curatore si affretta a ricordare che «qui c’è tutto tranne la morte, qui si celebra la vita». Uno strano modo di celebrarla quello di mostrare cadaveri, piuttosto sembra di assistere al solito show-business.
Il Cardinale Caffarra il 15 agosto ricordava che «non possiamo separare il corpo dalla persona, e considerarlo come fosse "qualcosa" e non "qualcuno": lo stesso rispetto che si deve alla persona, lo si deve al suo corpo». È rispetto quello di mettere in bella mostra feti plastificati, o il corpo di una donna incinta? Un po’ triste come inno alla vita.
La sensazione, di fronte ad una colossale operazione di marketing come questa, è quella di un utilizzo della morte – perché di cadaveri si tratta – per far soldi, mentre si contribuisce a rinfocolare la cultura materialista. Vedere feti plastinizzati nei vari stadi di sviluppo farà felice l’Assessore alla Cultura della Regione Lazio, Lidia Ravera, che recentemente ha definito i feti morti “grumi di materia”.
Siamo in novembre, un mese che la tradizione cristiana dedica ai defunti, e dobbiamo ricordare come la nascita del cristianesimo, in un momento in cui l’incenerimento dei cadaveri era prassi comune, determinò lo sviluppo della pratica dell’inumazione proprio perché esprimeva meglio la fede nella resurrezione dei corpi. Un grande rispetto quindi, teso ad esaltare la dignità umana come unità di anima e corpo alla luce del Cristo risorto.
Il Cardinale Ratzinger ricordava che oggi si assiste sempre più spesso ad «un’esibizione della morte che corrisponde alla demolizione della barriera del pudore» e parlava di «minimizzazione materialistica» della stessa. La “mostra” Body Worlds sembra appartenere proprio a questa categoria in cui viene cancellato ogni sguardo sull’al di là, per trasformare la morte in un fatto meramente materiale e comune così da non suscitare più alcun problema di ordine religioso, né metafisico.
«Con la scelta dell’atteggiamento verso la morte viene scelto insieme l’atteggiamento verso la vita», scriveva Ratzinger nel suo celebre saggio sull’escatologia, e, infatti, la parte della mostra bolognese dedicata al “ciclo della maternità” è un ottimo esempio in tal senso. Altroché utile a capire che “corpo e anima non sono divisi”.