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La Montessori e quella fiction lontana dalla realtà

L’8 marzo la tv della Cei ha riproposto lo sceneggiato in due puntate "Maria Montessori. Una vita per i bambini", che fa della pedagogista un ritratto da eroina a tutto tondo, una specie di “santa laica” da consigliare. La realtà è molto diversa, come si evince dalle sue idee eugenetiche e dalla sua adesione alla Società Teosofica e alla massoneria.

Cultura 12_03_2019

L’8 marzo, festa della donna, alla tivù dei vescovi, Tv2000 (il cui logo, per l’occasione, era vezzosamente ornato di mimose), è parso appropriato riproporre lo sceneggiato in due puntate Maria Montessori. Una vita per i bambini, trasmesso per la prima volta nel 2007 su Canale 5. Interpretato da Paola Cortellesi e dalle anziane Giulia Lazzarini e Lisa Gastoni, ne risulta un ritratto femminista e antifascista, dunque politicamente corretto, della storica pedagogista (1870-1952).

Le generazioni pre-millennial si ricordano di lei più che altro per il suo volto campeggiante sul biglietto da mille lire. Ora, il vederla riproposta dalla televisione cattolica può far pensare, anche ai millennial, che si tratti di una figura «consigliata». E in effetti la fiction ne fa un ritratto da eroina a tutto tondo, una specie di santino laico, costringendosi però, nei titoli di coda, a un corposo distinguo: la miniserie, c’è scritto, è «liberamente tratta» dalla biografia della Montessori. Molto liberamente, tanto da tacere quanto poteva essere visto come scomodo e da inserire aggiunte mai esistite. Infatti, a suo tempo, la storica Lucetta Scaraffia dovette chiarire, sul quotidiano dei vescovi Avvenire del 30 maggio 2007, che la fiction «ha diffuso un’immagine agiografica e stereotipata: la scienziata buona e tutta dedita ai bambini, senza vita privata. Una sorta di santa laica».

Lo sceneggiato dedica tutta la prima puntata alla protagonista, sedotta e abbandonata dal suo capo, un vile psichiatra che la mette incinta e poi non solo non la sposa ma le impedisce di vedere il figlio. In realtà i due erano di idee «avanzate» (siamo alla fine dell’Ottocento) e molto probabilmente temevano che un  figlio tra i piedi potesse nuocere alle rispettive carriere. Il frutto della colpa dovette aspettare i 14 anni prima di venire presentato in pubblico dalla Montessori, ma come «nipote». Nello sceneggiato, quest’ultimo, cresciuto, aderisce al gruppo antifascista «Giustizia e libertà» e viene salvato da un commissario che era ex alunno della madre.

In realtà fu lui a sollecitare la madre nel 1923 perché si avvicinasse al Duce. E lei prese la tessera del partito. L’anno dopo, il Duce costituì come ente morale l’Associazione Opera Montessori, il cui presidente fu Giovanni Gentile. «Fino ai primi anni Trenta i rapporti fra Mussolini e la Montessori furono quasi idilliaci», scrive la Scaraffia. Ma erano ambedue troppo accentratori perché l’idillio potesse durare. Infatti, dopo dieci anni si arrivò alla rottura e lei emigrò in Olanda (dove era famosissima) per non più tornare, nemmeno dopo la fine della guerra.

Nel 1899 si era iscritta, a Londra, alla Società Teosofica della medium russa Helena Blavatsky. Nel 1913 tenne la sua prima conferenza americana nel Masonic Temple di Washington. Passò gli anni della seconda guerra mondiale in India, nel quartier generale della teosofia. Al primo convegno europeo delle rivendicazioni femminili (ancora non si chiamavano femministe), nel 1899, lei rappresentò l’Italia. Era tra le principali relatrici nel 1908, quando l’assise fu tutta italiana. Teneva conferenze sull’educazione sessuale in cui «proponeva un malthusianesimo eugenetico» (sempre Scaraffia), molto in voga, in quegli anni, tra i medici positivisti. Questa la storia, al di là della leggenda. Non sarebbe stato male, perciò, accompagnare la visione dello sceneggiato con un dibattito, magari un’intervista alla Scaraffia, che tra l’altro è una firma di punta dell’Osservatore Romano.