La Moldova scende in piazza sognando l'Ue
Decine di migliaia di persone accampate in piazza a Chisinau per chiedere le dimissioni di governo e presidente. La causa è un gigantesco furto: 1 miliardo di dollari sparito dalle tre principali banche del paese. I manifestanti chiedono trasparenza e garanzia dei diritti. Sognano l'Ue, ancora vista come una terra di diritti e opportunità.
E’ mai possibile rubare l’equivalente di un miliardo di dollari da tre banche e scomparire col malloppo? E’ possibile ed è successo in Moldova. La repubblica ex sovietica, confinante con Romania e Ucraina, uno dei paesi più poveri d’Europa, ha subito questo furto un anno fa ed è entrata in ebollizione. Da una settimana, decine di migliaia di persone (attualmente sono 20mila) sono in piazza nella capitale Chisinau per chiedere le dimissioni di presidente, governo e vertici delle forze dell’ordine.
Il gigantesco furto alle banche Unibank, Banca Sociala e Banca de Economii, è avvenuto nel 2014. Non dobbiamo immaginarci ladri con passamontagna e chiave inglese, ma seri professionisti del mondo dell’informatica che hanno sottratto il denaro gradualmente, in modo del tutto indolore e senza farsi scoprire, senza neppure uscire di casa. Il colpevole è tuttora ignoto. I sospetti ricadono su un giovane oligarca, Ilan Shor, 28 anni. Ma si tratta di accuse ancora infondate e il diretto interessato, intervistato dalla Bbc, nega ogni coinvolgimento nel grande furto. Come spesso accade, quando manca un colpevole con nome e cognome, la colpa ricade sull’intero sistema. E non per nulla: benché il furto sia avvenuto a novembre 2014, la realtà è emersa solo nell’aprile del 2015, solo grazie a un rapporto di un’agenzia investigativa privata (la statunitense Kroll) fatto filtrare alla stampa dal presidente del Parlamento. Nel frattempo la Banca Centrale moldava ha dovuto iniettare l’equivalente 600 milioni di euro nelle banche depredate, anche emettendo valuta (il leu) e provocando un’improvvisa impennata dell’inflazione. Per renderci conto delle dimensioni del danno, dobbiamo pensare che l’intero Pil della Moldova è pari all’equivalente di 7,9 miliardi di dollari: il furto subito dalle tre banche è dunque più di un ottavo dell’intera produzione moldava.
Nell’aprile 2015, non appena è trapelata la notizia della truffa, l’élite della società civile moldava, formata da magistrati, giornalisti e accademici, si è riunita nel movimento Dignità e Giustizia (DA, l’acronimo locale). Il movimento DA chiede al governo, che si proclama liberale ed europeista, di promuovere riforme vere: liberare l’economia dallo strapotere degli oligarchi, garantire maggior trasparenza, proteggere i diritti di proprietà e introdurre criteri di responsabilità nella gestione della cosa pubblica. Il governo, retto dal liberale Valeriu Streleţ, imprenditore, promette che i colpevoli saranno puniti, ma esorta ad attendere i risultati dell’indagine. L’opinione pubblica ha atteso fino a questo mese, ma poi è scesa in piazza per chiedere le dimissioni di tutti i vertici, incluso il presidente Nicolae Timofti, anch’egli liberale ed europeista. Dopo che la manifestazione di piazza si è consolidata in una tendopoli permanente (che non verrà smantellata fino alle dimissioni di governo e presidente, stando agli intenti di DA), la protesta inizia ad assumere le caratteristiche ormai consuete della rivoluzione post-moderna, come quelle già note del Maidan (Ucraina) e di Piazza Tahrir (Egitto). Non è un episodio da trascurare, perché la Moldova è una delle più pericolose polveriere d’Europa.
Il paese è diviso dopo la guerra civile (1992): l’Est della Moldova, la Transnistria, è uno Stato ormai completamente autonomo dal governo e controllato da truppe russe e milizie irregolari locali. Per questo motivo, la Moldova è doppiamente un’area a rischio. Prima di tutto perché la Transnistria, al di fuori di ogni forma di controllo internazionale, è diventata la base operativa di trafficanti di armi e di droga destinate al mercato europeo. Ma, soprattutto, perché, dopo la separazione dell’Est, la Moldova è diventata una delle repubbliche ex sovietiche divise al suo interno da un “conflitto congelato”, come la Georgia, come l’Azerbaigian e come rischia di diventare anche l’Ucraina. La tensione con la Russia è sempre molto forte e lo è ancora di più da quest’anno, quando il governo di Chisinau ha firmato l’Accordo di Associazione con l’Ue. A complicare ulteriormente il quadro ci pensa anche una terza forza politica moldava, nazionalista, che preme per l’unificazione della Moldova con la Romania, di cui condivide la lingua e gran parte della storia. Letto nel quadro del nuovo confronto Est-Ovest, il “Maidan” di Chisinau appare come una mossa russa, o comunque negli interessi della Russia. Perché è una sfida a un governo europeista. Due episodi, in particolare, corroborano questa visione: autorità doganali hanno espulso almeno due troupe televisive russe (e sequestrato il loro equipaggiamento) che volevano coprire le proteste e l’unico scontro violento finora registrato a Chisinau è avvenuto fra i militanti di DA e i nazionalisti filo-rumeni (e dunque anti-russi). Vista dall’interno, tuttavia, la protesta appare in modo completamente differente. I suoi leader sono personaggi a stretto contatto con l’Europa occidentale, fra cui Stanislav Pavlovskiy, ex giudice della Corte Europea dei Diritti. Anche i simboli sono importanti e in piazza compaiono soprattutto bandiere europee, assieme a quelle nazionali moldave. Assenti le bandiere russe e quelle sovietiche, che solitamente caratterizzano le manifestazioni pro-Mosca.
La lotta in corso a Chisinau, dunque, avviene fra chi vuole un cambiamento reale del Paese (in vista del suo accesso all’Ue) e chi, invece, promette le riforme senza averle fatte. In sei anni di governi europeisti, l’economia moldava è ancora ultima in Europa, a pari merito con la Grecia, in fatto di libertà, rispetto del diritto di proprietà e trasparenza, secondo l’Index of Economic Freedom. I moldavi intervistati in piazza sono unanimi nell’affermare che la ragione della loro discesa in campo è l’esasperazione, contro l’inefficienza, la corruzione e l’abuso del potere. L’accesso all’Accordo di Associazione con l’Ue è evidentemente servito a incoraggiare questo risveglio delle coscienze. E le istituzioni europee, sinora, stanno incoraggiando il cambiamento anche con dure pressioni sul governo: dopo l’emergere di questo scandalo, i 40 milioni di euro in aiuti finanziari, promessi dall’Ue, sono stati congelati, così come i 45 milioni di dollari attesi dalla World Bank.
E proprio il caso moldavo, dove lo scontro è tutto interno agli occidentalisti e dove la Russia (almeno per ora) non c’entra, permette di comprendere meglio la natura dei grandi subbugli in corso nell’ex Urss. Si tratta infatti di movimenti spontanei, sorti dal basso, volti a eliminare la struttura mafiosa che domina tante realtà ex e post comuniste. Una struttura costituita dall’alleanza di oligarchi (coloro che hanno approfittato del crollo dell’Urss per accaparrarsi ricchezze di Stato), politici e burocrati, capace di ricorrere all’intimidazione e alla violenza per difendersi da qualunque sfidante esterno e propensa a mantenere il paese controllato in una zona grigia fra Ue ed ex Urss, dove è possibile far tutto senza esser visti da occhi “indiscreti”. Quando vediamo scoppiare rivolte come quelle in Ucraina (2004 e 2013) e in Georgia (2003), spesso tendiamo a inquadrarle nella nuova guerra fredda e a considerarle il frutto di cospirazioni delle grandi potenze. In realtà sono eventi molto più semplici, nati dalla volontà di cambiare. E nella voglia di cambiamento, l’Ue costituisce ancora un modello a cui tendere, un faro di civiltà, una “terra di opportunità”. La domanda che si pone per noi, è semmai: ce lo meritiamo ancora?