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DA COMPANYS A PUIGDEMONT

La mezza giornata in cui la Catalogna fu indipendente

La Catalogna ha proclamato un'indipendenza sospesa. In attesa di sviluppi, è bene ricordare che la Catalogna fu già indipendente nel 1934, per 11 ore esatte, sotto la guida di  Lluís Companys. Un personaggio della Sinistra Repubblicana che è bene ricordare anche per le sue atrocità contro la Chiesa e tutti gli oppositori.

Cultura 12_10_2017
Lluis Companys

La Catalogna è indipendente, anzi no. Martedì 10 ottobre, il presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont, ha dichiarato l’indipendenza e contestualmente l’ha sospesa girando la patata bollente al primo ministro di Spagna, Mariano Rajoy, del quale non è necessario essere dei grandi fan per condividere la domanda affatto retorica che ha rivolto ai forse-secessionisti il giorno seguente: fate ancora parte dello Stato spagnolo oppure no?

Mentre le risposte, e le conseguenze, si fanno attendere, sull’intera faccenda aleggia inevitabilmente lo spettro di Lluís Companys i Jover (1882-1940), l’unico uomo politico ad avere dato l’indipendenza alla Catalogna. Per 11 ore.

Avvocato, attivista della Sinistra, finito in carcere durante la dittatura di Miguel Primo de Rivera y Orbaneja (1870-1930), membro eminente dell’Esquerra Republicana de Catalunya (ERC, cioè la Sinistra Repubblicana di Catalogna), il partito indipendentista fondato nel 1931 da Francesc Macià i Llussà (1859-1933), il 12 aprile 1931 Companys viene eletto sindaco di Barcellona. Passano due giorni e il 14 aprile, esiliato il re Alfonso XIII di Borbone (1886-1941), viene proclamata la Seconda Repubblica Spagnola, incubatrice delle violenze generalizzate e delle persecuzioni anticattoliche dispiegatesi in grande stile soprattutto a partire dal 1936, quando alle elezioni del 16 febbraio trionfa il Frente Popular, il cartello delle sinistre. Della repubblica Companys è un sostenitore entusiasta. A Barcellona s’insedia deponendo il predecessore armi in pugno. Poi viene eletto nel parlamento spagnolo, collabora alla stesura della Costituzione repubblicana, nel 1932 viene eletto nel “Parlament” catalano, l’anno seguente è ministro della Marina spagnola, quindi viene rieletto nel parlamento spagnolo e, sempre nel 1933, succedendo a Macià, morto improvvisamente, diviene sia leader dell’ERC sia presidente della “Generalitat di Catalunya”. È in questa veste che, in un clima di alta tensione con Madrid, matura lo strappo. Approfittando di uno sciopero generale nazionale inscenato dai sindacati di sinistra il 5 ottobre 1934 contro il nuovo governo (comunque cambiato il 4 ottobre) che il 1° del mese aveva affidato tre ministeri ad altrettanti rappresentati della Destra cattolica, Companys forza gli eventi. Il 6 ottobre dichiara l’indipendenza. Sono le 8 di sera. Alle 7 del mattino seguente Companys è in manette; a terra restano una ventina di persone cadute durante gli scontri fra poliziotti catalani e forze dell’ordine spagnole. Companys è condannato a trent’anni di carcere, ma nel 1936 il Frente Popular lo libera rimettendolo alla guida del governo regionale catalano appena prima che scoppi la rivolta militare da cui scaturisce la Guerra civile (1936-1939). Quando, nel 1939, i militari si avvicinano a Barcellona, Companys fugge in Francia. Nel 1940 la Gestapo nazionalsocialista tedesca lo cattura a Parigi e lo riconsegna a Madrid, dove il 15 ottobre è fucilato.

Un martire della libertà, dunque? Non esattamente. La figura ritratta da Javier Barraycoa Martínez, cattedratico della facoltà di Scienze Politiche dell’Universidad Abat Oliva CEU di Barcellona, nella monografia Los (des)controlados de Companys. El genocidio catalán, julio 1936-mayo 1937 (Libroslibres, Madrid 2016) rivela piuttosto il profilo di un macellaio, responsabile dell’eccidio, in meno di un anno, di circa 9mila suoi compatrioti catalani.

È infatti nella Catalogna governata da Companys che la “revolución social española” del 1936 mostra il volto più mostruoso. Le più belluine sono le formazioni anarchiche con cui il presidente della “Generalitat” ha stretto un patto di ferro. Come sottolinea e spiega Barraycoa, non si trattò infatti di eccessi sfuggiti di mano, ma di una mattanza voluta e orchestrata a partire da quel 21 luglio in cui Companys crea il Comitè Central de Milícies Antifeixistes de Catalunya accogliendo le richieste dei sindacalisti anarchici della Confederación Nacional del Trabajo. Squadre stragiste con la scusa dell’“antifascismo”.

Particolarmente grave è la persecuzione della Chiesa Cattolica: 2.441 ecclesiastici (1.538 sacerdoti, 824 religiosi e 76 suore) di cui tre vescovi vengono assassinati. L’apice si ha in agosto, quando vengono ammazzati 70 sacerdoti al giorno. A Lérida viene sterminato il 65% del clero, a Tortosa il 62, a Vic il 27, a Barcellona il 22, a Gerona il 20, nella contea di Urgell il 20 e a Solsona il 13. In totale, è in Catalogna che viene eliminato il 35% di tutto il clero spagnolo. Poi si bruciano chiese e conventi: a Barcellona 500; fra queste, anche la cripta della Sagrada Familia, compresi gli schizzi, i bozzetti e i progetti dell’architetto Antoni Gaudí (1852-1926). Del resto, nemmeno la sua tomba è stata risparmiata.

Tra gli oppositori politici delle Sinistre, vengono ammazzati 1.199 carlisti (i legittimisti monarchici cattolici), 281 membri della Lliga Regionalista (conservatori catalanisti), 117 dell’Acción Popular Catalana (monarchici conservatori cattolici), 110 del Sindicato Libre (il sindacato creato dai carlisti), 108 della Falange Española di José Antonio Primo de Rivera (1903-1930), figlio del dittatore Miguel, 213 della  Confederación Española de Derechas Autónomas (il partito che nel 1934 aveva dato tre ministri al governo repubblicano, scatenando lo sciopero generale del 5 ottobre), 70 di Renovación Española (monarchici conservatori) e 36 dell’Unión Patriótica (il partito fondato da Miguel Primo de Rivera). Quindi 54 giornalisti, 31 nobili, 52 membri del Círculo Ecuestre di Barcellona, l’antico e blasonato social club sportivo, colpevoli solo di non essere “proletari”, e almeno 17 fra poeti e scrittori (molti altri fuggono all’estero).

L’ERC contava quasi 50 centri di detenzione e alcuni centri di tortura. Ai sacerdoti spesso si gradiva riempire la bocca con i testicoli asportati e molte sono state le donne incinte sventrate. Companys, che non disdegnava le sedute spiritiche in compagnia di esponenti comunisti, supervisionava e governava tutto. Barraycoa, autore tra l’altro di Historias ocultadas del nacionalismo catalán (Libroslibres, 2011) e di Cataluña hispana (Librolibres, 2013), non è tenero con l’indipendentismo dei propri compatrioti catalani. Ma la minoranza secessionista della Catalogna di oggi, dove l’ERC di Companys fa parte della coalizione di governo, ha fatto i conti con questa storia censurata?