La Messa "ecumenica" e quel malinteso sui sacramenti
Cattedrale protestante di Saint-Pierre: si avvicina il 29 febbraio, data della Messa “ecumenica” con riformati e cattolici. Le dichiarazioni del vicario di Ginevra, mons. Desthieux, sull’“ospitalità eucaristica” aggravano il quadro. Perché dimostrano una malintesa idea dei sacramenti, in contrasto con la Redemptionis Sacramentum. Serve che il vescovo intervenga a chiarire.
Lo scorso 12 febbraio, avevamo dato notizia dell’evento che si realizzerà a Ginevra alla fine di questo mese, ovvero della celebrazione della Messa, dopo circa 500 anni di assenza, nella cattedrale protestante ginevrina di Saint-Pierre. Il problema è però che, per l’occasione, il presidente del consiglio della cattedrale, Daniel Pilly, ha invitato i protestanti non solo ad essere presenti, ma anche a comunicarsi, facendo presente che questa “ospitalità eucaristica” è evento piuttosto consueto, dal momento che «viene già fatto localmente in molte parrocchie durante celebrazioni ecumeniche dove i protestanti e i cattolici si invitano reciprocamente alla Cena del Signore e alla Comunione».
L’affermazione è doppiamente problematica, perché rivela sia una situazione permanente di abuso, sia la sua “ufficializzazione” con la celebrazione del 29 febbraio. È chiaro che questi inviti reciproci tra protestanti e cattolici finiscono di fatto per mettere sullo stesso piano la Cena protestante e la Messa cattolica e, a maggior ragione, ad equiparare il modo di intendere la presenza reale dei primi con l’insegnamento cattolico.
Il silenzio del vescovo di Ginevra, Charles Morerod, e quello del presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, il cardinale Kurt Koch, viene ora aggravato dalle dichiarazioni di monsignor Pascal Desthieux, vicario episcopale della diocesi di Losanna-Ginevra-Friburgo, che celebrerà la Santa Messa “ecumenica”.
Intervenendo sul quotidiano svizzero Tribune de Généve, mons. Desthieux è sembrato dapprima frenare gli entusiasmi in casa protestante, richiamando l’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (25 marzo 2004), Redemptionis Sacramentum: «Ecco perché noi non possiamo dichiarare che tutti i riformati possono venire a comunicarsi». Ma subito dopo, lo stesso Desthieux ha anche fatto presente che «comunque, in queste circostanze particolari, noi pratichiamo quella che chiamiamo ospitalità eucaristica, accogliendo tutte le persone che vengono avanti per ricevere il Corpo di Cristo. E in ogni caso, tutti sono benvenuti a questa Messa». Traduzione dal gergo curialese: siccome noi non vi possiamo invitare esplicitamente, lasciamo che siano i vostri pastori a farlo; noi non ci opporremo né a parole né con i fatti.
Una dichiarazione del genere, come minimo, suona come una furbata. Per la serie: formalmente non trasgrediamo la legge, ma in pratica facciamo come ci pare. A ben vedere, però, la posizione di Desthieux è apertamente in contrasto anche formalmente con le indicazioni di Redemptionis Sacramentum.
L’Istruzione presenta infatti due articoli che non lasciano spazio ad ambiguità. Al n. 84, si afferma esplicitamente che «se si celebra la santa Messa per una grande folla o, per esempio, nelle grandi città, occorre che si faccia attenzione affinché per mancanza di consapevolezza non accedano alla santa Comunione anche i non cattolici o perfino i non cristiani, senza tener conto del Magistero della Chiesa in ambito dottrinale e disciplinare. Spetta ai pastori avvertire al momento opportuno i presenti sulla verità e sulla disciplina da osservare rigorosamente».
Sembra un articolo fatto apposta per la circostanza del 29 febbraio. Il contesto pubblico ed ecumenico, nel quale verrà celebrata quella Messa, obbliga dunque i pastori cattolici a rendere edotti i non cattolici delle ragioni per cui non possono ricevere la Comunione. Che da parte protestante si sia già fatto un appello perché tutti partecipino alla Celebrazione eucaristica, e ricevano il Corpo e il Sangue del Signore, è una circostanza che richiede che tale avvertimento sia dato con ancora più sollecitudine e chiarezza.
Il numero successivo dell’Istruzione richiama le norme previste dal Codice di Diritto Canonico (can. 844, §§ 2-4 e can. 861, § 2) e domanda che alle condizioni del can. 844 § 4 non si deroghi in alcun modo e che esse siano presenti tutte e simultaneamente. Quali sono queste condizioni per amministrare lecitamente i sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e dell’Unzione degli Infermi anche ai protestanti? Che «vi sia pericolo di morte», oppure, a giudizio del Vescovo diocesano o della conferenza episcopale, vi sia «altra grave necessità»; che tali cristiani «non possano accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti». Nella nostra situazione è presente solamente la richiesta spontanea.
È inoltre evidente che queste indicazioni restrittive possono essere verificate solo in circostanze singolari e non invece di fronte a numerosi fedeli; per questa ragione l’articolo precedente (n. 84) aveva escluso qualsiasi apertura in caso di celebrazioni con gran concorso di persone.
L’Istruzione, al n. 8, richiamando Giovanni Paolo II, dimostra inoltre di aver ben presenti pratiche identiche o affini all’“ospitalità eucaristica” a cui si appella mons. Desthieux e non pare proprio approvarla: «Si deve, inoltre, notare con grande amarezza la presenza di “iniziative ecumeniche che, pur generose nelle intenzioni, indulgono qua e là a prassi eucaristiche contrarie alla disciplina nella quale la Chiesa esprime la sua fede”. Il dono dell’Eucaristia, tuttavia, “è troppo grande per sopportare ambiguità e diminuzioni”. È, pertanto, opportuno correggere e definire con maggiore accuratezza alcuni elementi, di modo che anche in questo ambito “l’Eucaristia continui a risplendere in tutto il fulgore del suo mistero”»[1]. I suddetti elementi sono stati definiti nei paragrafi sopra indicati.
È dunque stretto dovere del vescovo di Ginevra spiegare pubblicamente per quale ragione i fratelli protestanti non potranno accostarsi alla Comunione. Si tratta di custodire la profonda unità tra comunione ecclesiale e comunione sacramentale e di testimoniare a questi fratelli la fede integrale della Chiesa. E non solo a loro, ma anzitutto ai nostri stessi fratelli cattolici, perché non ci siano ambiguità al riguardo.
I sacramenti non possono diventare lo strumento con il quale esprimiamo le nostre buone disposizioni verso i fratelli separati, né è accettabile una posizione, come quella di Desthieux, che separa radicalmente l’ortodossia dall’ortoprassi.
[1] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10