La May perde la maggioranza. Ma la Brexit continua
Scene di ordinaria sorpresa nel Regno Unito. La premier uscente Theresa May aveva optato per la via rischiosa delle elezioni anticipate per ottenere una maggioranza più solida. Ma al voto, appena un mese e mezzo dopo, è addirittura riuscita a perdere la maggioranza. Gli europeisti perdono ancora di più. La Brexit continua.
Scene di ordinaria sorpresa nel Regno Unito. La premier uscente Theresa May aveva optato per la via rischiosa delle elezioni anticipate per ottenere una maggioranza più solida e negoziare la Brexit da una posizione di forza. Ma al voto, appena un mese e mezzo dopo, è addirittura riuscita a perdere la maggioranza. Il partito Conservatore resta il più grande, in termini relativi, ma non può formare un governo da solo. Ma il Partito Laburista, comunque, perde. E sia il Sinn Fein irlandese che il Partito Liberaldemocratico escludono tassativamente l’ipotesi di governi di coalizione.
Prima di tutto bisogna chiedersi perché mai la premier conservatrice che già poteva contare su una solida maggioranza parlamentare, ha deciso di ricorrere al voto anticipato. Si trattava di un calcolo razionale, visto con gli occhi dell’aprile scorso. La May aveva ottenuto carta bianca dal Parlamento per chiedere l’uscita del Regno Unito dall’Ue alle sue condizioni ed entro la scadenza prevista del 20 marzo. Aveva visto che il Partito Laburista, specie dopo la Brexit, era in caduta libera. Soprattutto, il partito della sinistra britannica, dopo la batosta subita nelle elezioni del 2015, aveva selezionato quale suo leader Jeremy Corbyn, esponente della vecchia sinistra operaista, nemico interno di Blair e Brown, accusato dall’attuale ministro degli Esteri Boris Johnson di connivenza con l’Ira e con Hamas, in un periodo di recrudescenza del terrorismo in territorio inglese. In poche parole: un impresentabile che avrebbe portato il partito al disastro. La May, almeno, ci contava. E con il voto anticipato sperava di ottenere una vittoria netta, una chiara legittimazione popolare. La stampa d’opposizione già lamentava la sua aspirazione a fare il “partito unico”. I sondaggi di aprile e inizio maggio la davano addirittura in vantaggio di 20 punti rispetto a Corbyn. Col senno di poi, la May ha fatto invece una scelta azzardata.
La breve campagna della May sarà ricordata nella storia della comunicazione politica come un esempio di suicidio. Invece di ottenere una “maggioranza solida”, necessaria per negoziare in Europa senza temere l’opposizione in patria, ora si ritrova con un partito che controlla 318 seggi, che non raggiunge i 326 necessari a formare un governo. Visto in prospettiva, il partito Conservatore, lungi dal consolidare la propria maggioranza, ha addirittura perso 12 seggi rispetto al 2015. La composizione del nuovo governo sarà un processo lungo e difficile. Peggio ancora: la posizione negoziale del Regno Unito in Europa si fa ancora più fragile, non più solida.
Dall’altra parte della barricata, i Laburisti sono in netto recupero rispetto al voto di due anni fa, aumentando di più di 29 seggi e arrivando a conquistarne 261. Il vecchio operaismo di Corbyn, fatto di nazionalizzazioni, tasse alte, una politica ecologista, porte aperte all’immigrazione e dialogo con il mondo islamico, ha avuto più successo delle formule moderate dei suoi predecessori. E questa è una tendenza ormai stabile nel mondo della sinistra: l’estremismo paga. E’ lo stesso estremismo che ha permesso al candidato democratico americano di estrema sinistra Bernie Sanders di tener testa alla Clinton per tutte le primarie. E c’è chi dice, sondaggi alla mano, che, se le primarie le avesse vinte lui, avrebbe potuto battere Trump alle presidenziali. E’ la stessa tendenza che ha fatto vincere il verde Van Der Bellen alle presidenziali in Austria: nel primo turno ha superato il candidato della sinistra di sistema, il socialdemocratico Rudolf Hundstorfer. E’ lo stesso clima che, in Francia, ha fatto volare fino al 20% dei consensi (il doppio rispetto al socialista Hamon), il candidato presidenziale di estrema sinistra Jean Luc Mélenchon. Anche se la Grecia è una realtà poco comparabile agli Stati più benestanti dell’Europa occidentale, comunque Atene ha fatto da apri-pista di questo fenomeno, garantendo la vittoria dell’estrema sinistra di Tsipras. Insomma: una sinistra massimalista che non si vedeva più dal crollo del muro di Berlino. In una società esasperata e disorientata, questa sinistra, che parrebbe anacronistica, riesce ad avere più successo dei riformisti nati nel clima ottimista degli anni 90.
Ed è un’esasperazione più culturale che economica. L’economia britannica va bene, sotto ogni punto di vista. Stiamo parlando del paese con la crescita più rapida in tutta Europa. In cui il paventato contraccolpo della Brexit non si è quasi per nulla avvertito, almeno per ora. L’esasperazione, dunque, è data dalla mancanza di valori di riferimento, della paura che il futuro sia peggiore del presente. La May non ha saputo ispirare nessuno. Non ha trasmesso valori solidi. Non ha dato una convincente visione del futuro. Il terrorismo è solo uno dei tanti aspetti e il risultato di queste elezioni (giunte all’indomani delle stragi di Manchester e di Londra) dimostra che gli attentati non hanno spostato voti. Corbyn si presenta con le credenziali peggiori in assoluto per affrontare il problema jihadista. Dall’altra parte, suonano poco convincenti anche le dichiarazioni securitarie della May, che era ministro degli Interni prima di diventare premier, e ha tagliato le spese per le forze dell’ordine. Quel che ha preoccupato l’elettore britannico, a quanto risulta, è soprattutto il costo della sanità, dell’assistenza ai sempre più numerosi anziani non autosufficienti, il prezzo del riscaldamento nelle case dei pensionati. Su questi temi, la May ha detto cose che non sono piaciute e ha fatto marce indietro confuse.
Quanto alla Brexit, invece, gli inglesi non hanno affatto cambiato idea. E sono fuori luogo i primi commenti, in Italia soprattutto, che parlano di un generale “pentimento”. La scomparsa dell'Ukip (che di fatto si è defilato dopo che ha ottenuto il suo scopo) è numericamente irrilevante nel nuovo parlamento: passa da 1 a 0 seggi. La May era contraria alla Brexit e proprio per questa sua timidezza di premier convertita alla causa a referendum sull'Ue già vinto, ha convinto poco anche a destra. Corbyn, dall’altra parte, era il più euroscettico fra i laburisti e anche per questo sta consolidando la sua leadership della sinistra. I partiti più europeisti, i Liberaldemocratici e gli indipendentisti scozzesi dell’Snp non hanno gran risultati: gli scozzesi perdono 21 seggi, i Lib-Dem ne guadagnano 4, ma restano molto al di sotto di quel partito di maggioranza che erano prima del 2015. La May non vince, ma la Brexit continua.