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(PRESUNTI) COMPLOTTI

La "mafia" di San Gallo? Era già nota

In questi giorni ha fatto discutere l’uscita di una biografia sulla figura del cardinale belga Godfried Danneels, ex primate del Belgio e prossimo padre sinodale di nomina diretta del Pontefice. Si è parlato anche di complotto per fare eleggere papa Bergoglio. In realtà composizione e linea del gruppo si conoscevano già da anni.

Ecclesia 28_09_2015
Il libro della biografia del cardinale belga Godfried Danneels,

In questi giorni ha fatto discutere l’uscita di una biografia sulla figura del cardinale belga Danneels, per lungo tempo primate del Belgio e prossimo padre sinodale di nomina diretta del Pontefice. Alcune ricostruzione giornalistiche hanno apertamente parlato di una specie di complotto tra porpore organizzato in quel di San Gallo (Svizzera) per arrivare fino all’elezione al soglio di Pietro di Jorge Mario Bergoglio. Ad onor del vero le ricostruzioni sono state ben alimentate dallo stesso Danneels che, in una video-intervista concessa al giornalista Christian Laporte, ha detto che parlare di “gruppo di San Gallo” non è corretto, perché «per descrivere noi stessi e questo gruppo, noi dicevamo “mafia”». 

Tutti hanno sorriso, compreso il cardinale, ma diciamo che questa battuta non ha favorito ricostruzioni equilibrate. Anche perché, nella stessa intervista, uno degli autori della biografia dell’ex primate del Belgio ha rincarato la dose. Jürgen Mettepenningen ha dichiarato, infatti, che, dopo la rinuncia di Benedetto XVI nel 2013, «questo gruppo ha veramente ottenuto il suo obiettivo con l’elezione di Francesco», aggiungendo che il cardinale Daneels è stato «uno degli artefici dell’elezione di Papa Francesco». Queste citazioni hanno aperte le speculazioni sulla presunta lobby, così che gli autori della biografia si sono affrettati a buttare un po' di acqua sul fuoco, specificando che il gruppo di San Gallo era un gruppo informale come ce ne sono tanti. Nessuna lobby. Inoltre, dopo il 2006 non si sarebbe più auto-convocato.

Complotti e dietrologie sono pane che si vende alla grande, specialmente se riguardano la Chiesa. Il problema è che non c’è nulla di strano, perché l’esistenza del gruppo di San Gallo è cosa nota da tempo. Circa dal 1996 diversi vescovi e cardinali, tra cui spiccava l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, si recavano ospiti dal vescovo di San Gallo, monsignor Ivo Furer, per tenere riunioni private in cui manifestare le proprie idee e orientamenti rispetto alla realtà ecclesiale. Inutile aggiungere che generalmente aleggiava un certo dissenso rispetto alla “gestione” Giovanni Paolo II (e del cardinale Ratzinger in quanto prefetto della Dottrina della Fede). Oltre a Danneels e Martini il gruppo era costituito da altri sei, sette, tra vescovi e cardinali, provenienti soprattutto dal centro-nord Europa. Dal 2001 si aggiungono altri tre cardinali nominati nel febbraio di quell’anno: due tedeschi, Walter Kasper e Karl Lehmann, e un anglossassone, Murphy-O’Connor.

Un punto che ha sempre unito il gruppo di San Gallo riguarda la richiesta di una maggiore autonomia alle Chiese locali nell’applicare le norme della Chiesa universale. Detto in altri termini si auspicava una maggiore collegialità, sulle ali di uno spirito del Concilio da attuare fino in fondo, soprattutto per quelle che venivano considerate questioni di mera disciplina ecclesiastica, ma non solo. Un riferimento preciso riguardava, ad esempio, la questione del possibile accesso alla eucaristia dei divorziati risposati, oppure la questione del celibato sacerdotale da abolire. Il gruppo di San Gallo era anche animato da una certa volontà di riforma del governo della Chiesa.

D’altra parte il dibattito tra il gruppo di San Gallo e la Curia romana era anche pubblico, basti pensare al famoso articolo che nell’anno 2000 il cardinale Kasper scrisse contestando apertamente il documento della Congregazione della Dottrina della Fede sulla «Chiesa intesa come comunione». Il porporato tedesco si opponeva al documento firmato dall’allora cardinale Ratzinger perché, a suo dire, era un «tentativo di ripristinare il centralismo romano», mentre era da lui auspicata una «unica Chiesa in riconciliata diversità». Una splendida formula quest’ultima, ben fornita di una certa dose di ambiguità.

Proprio il cardinale Danneels nel Concistoro straordinario del 2001 esprimeva bene la linea del gruppo di San Gallo: «Quanto alcuni confratelli cardinali hanno proposto circa un certo decentramento verso le Chiese locali della procedura della nomina dei vescovi e dell’amministrazione della giustizia nella Chiesa, così come anche delle relazioni tra la curia e le Chiese locali, merita un esame serio e benevolo, per quanto sia chiaro che tutto questo non è immediatamente realizzabile». Come ha scritto Austen Ivereigh nel suo celebre Tempo di misericordia, monumentale e articolata biografia di papa Francesco, fu in quel Concistoro che il cardinale Martini presentò al gruppo di San Gallo il cardinale Jorge Mario Bergoglio. Ma i contatti dell’allora cardinale Bergoglio con il gruppo di Danneels & C. non andarono molto oltre quella presentazione. 

Tuttavia il gruppo si ricordò di lui specialmente nel Conclave del 2005, quello che elesse Ratzinger Papa, ma, in un certo senso, anche nel 2013. Non perché Bergoglio fosse parte integrante del gruppo, ma perché era da loro ritenuto “omogeneo” alla linea che la “mafia” di San Gallo portava avanti dal lontano 1996.