La Madonna e l’Eucaristia, i segreti di santa Maria Crocifissa
Malati di colera e infermi vari, orfani, giovani, anziani, sordomuti, bisognosi di ogni tipo: in S. Maria Crocifissa Di Rosa, fondatrice delle Ancelle della Carità, l’amore per il prossimo si manifestò in molteplici forme. All’origine, il suo profondo rapporto con la Madonna e la centralità dell’adorazione eucaristica.
«Ringraziamo Gesù e Maria, e siano sempre gli unici oggetti del nostro amore». Così scriveva Paola Di Rosa, in religione suor Maria Crocifissa (1813-1855), di cui oggi ricorre la memoria liturgica. La fondatrice delle Ancelle della Carità, canonizzata da Pio XII nel 1954 (Anno mariano), ci ha lasciato tanti esempi di autentica dedizione al prossimo: la cura dei malati, fino all’eroismo di offrirsi volontaria a 22 anni per assistere i colerosi nel lazzaretto di Brescia; l’impiego dei propri beni per dare sollievo ai bisognosi di ogni sorta, l’educazione morale delle giovani, il recupero delle cosiddette “pericolanti”, le scuole per sordomuti, l’assistenza a orfani e anziani e altro ancora.
Ma tutta la carità di questa giovane donna, nata in seno a una delle famiglie più in vista della sua città, si fondava sui due summenzionati oggetti di amore: Gesù e Maria. Con loro coltivò un rapporto personale e costante, fin dall’infanzia, come attestano tanti fatti di quel periodo. A spiccare era innanzitutto la sua pietà eucaristica. Vedi per esempio la Comunione spirituale che Paolina prese a fare, anche più volte al giorno, per essere più vicina al Redentore, quando ancora non aveva l’età per riceverlo nelle Sacre Specie; o le visite a Gesù presente nel Tabernacolo, che «entrò subito - informa la sua Positio - come la cosa più cara nel regolamento di vita che si prefisse a 8 anni».
Tanto i suoi scritti quanto le testimonianze di chi la conobbe personalmente ci restituiscono, poi, la tenerezza filiale che Paola aveva verso la Madonna e che si accompagnava naturalmente alla sua fiducia illimitata in Lei. Quando, a 11 anni, subì la dolorosa perdita della mamma, Paola cercò subito consolazione in Maria. Avendo letto che santa Teresa d’Avila, rimasta orfana da piccola, si era votata alla Madre celeste, volle fare lo stesso. Andò perciò dinanzi a un’immagine della Madonna e le chiese di esserle Madre in tutto.
Il suo amore verso la Santa Vergine si manifestava in molteplici forme, come il prepararsi con delle novene piene di fervore alle feste mariane. Ma non si esauriva in queste, pur significative, forme di devozione. Paola guardava a Maria per imitarne le virtù e vivere la propria vita in piena aderenza alla volontà di Dio, a Sua maggior gloria. Lo stesso insegnava alle proprie figlie spirituali, che mirava a formare - come scrive una sua biografa della prima ora, Elisabetta Girelli - «sull’esempio di Maria, anime interiori, umili, mortificate, nascoste, fedeli a Dio fino nelle più piccole cose...». Pregava e faceva pregare la Madonna, come testimonia un’Ancella, perché «distacchi il cuor nostro da ogni cosa terrena, e ci ottenga d’unirlo strettamente a quello del Suo Divin Figliuolo e al Suo». A imitazione dell’Immacolata, com’è stato notato (vedi ad esempio il Papàsogli), santa Maria Crocifissa incarnò in modo straordinario il binomio purezza-dolore. Riguardo a quest’ultimo aspetto, non si trattava solo della rassegnata accettazione delle croci, piccole e grandi, che le toccarono nei suoi 42 anni di vita terrena, bensì di quel grado ancora più eroico che consiste nel desiderio di patire (un desiderio già espresso da adolescente in collegio) per essere sempre più unita a Gesù Crocifisso e collaborare al Suo mistero di redenzione, portando le anime a Lui.
La sua conformazione a Gesù era tale da farle amare i nemici, anche nelle avversità più dure. Un esempio tra tanti: a metà febbraio 1843 le Ancelle della Carità, fondate da nemmeno tre anni, erano sull’orlo - a causa di invidie, malintesi e vere e proprie persecuzioni - di dover abbandonare gli Spedali Civili di Brescia (dov’era iniziato il loro encomiabile servizio agli ammalati) e addirittura rischiavano lo scioglimento. Il 16 di quel mese, al culmine di una situazione che di giorno in giorno appariva sempre più umanamente disperata, Paola scriveva a Teresa Camplani (superiora nella casa di Cremona): «Rallegriamoci nel Signore, mia dilettissima Teresa! Le croci che ci pesano sulle spalle sono tesori che il nostro Dio ci favorisce. Le calunnie dalle quali siamo oppresse, tengono il nostro cuore in perfetta pace, perché dinanzi al nostro Dio siamo perfettamente innocenti. Il mio cuore non desidera altro di potere avere qualche occasione per fare del bene a chi tanto ci perseguita».
Al di là di quello che fu l’esito (trionfale) della vicenda, va sottolineato che questa pace interiore di Paola, unita alla sua risolutezza, non era frutto del caso, bensì della sua profonda vita di preghiera - sia vocale che mentale - e del tempo che dedicava alla contemplazione del Santissimo Sacramento. Nulla la distoglieva dal cercare questo riposo dell’anima, nessuna avversità, né di ordine esteriore né interiore: a proposito, come altri grandi santi e mistici, anche Paola visse la prova della “notte della fede” - fatta di aridità spirituali, senso di abbandono di Dio e scrupoli vari - ma la sua volontà fu sempre volta a cercare il Signore e ad esaltarne l’Amore.
In tutto questo, come accennato, santa Maria Crocifissa trovava il suo più grande sostegno nell’Eucaristia e nella sua adorazione. Alle sue figlie insegnava a fare altrettanto. Perciò il Tabernacolo è stato da subito l’elemento centrale nel carisma e nella vita delle Ancelle. Già il 13 maggio 1846, Paola aveva ottenuto il dono di custodire il Santissimo nella cappella interna di casa madre, a Brescia. E il 18 giugno 1852, giorno della presa d’abito conseguente all’erezione canonica dell’istituto, ebbe inizio, nella stessa cappella bresciana, l’adorazione eucaristica diurna perpetua. Che poi, parallelamente alla rapidissima espansione delle Ancelle, si diffuse nel noviziato e nelle case provincializie.
Basti qui, infine, ricordare un episodio emblematico, riguardante una delle fondazioni che suor Maria Crocifissa vide realizzata nel suo ultimo anno di vita terrena: quella di Spalato, in Croazia. La santa, dopo aver pregato e riflettuto a lungo, vi destinò come superiora suor Elena del Calvario. Prima, «con una carità veramente singolare» - testimoniava la stessa suor Elena, all’inizio affranta dal cambio di vita e dalle grandi responsabilità ad esso associate - «mi capacitò al sacrificio che io dovevo fare». Poi, le fece vedere tutti i bauli già preparati e in particolare gli oggetti necessari per allestire una cappella. «Tutto - affermava ancora suor Elena - vi era disposto con un’antiveggenza veramente ammirabile. […] Quando m’ebbe mostrato ogni cosa, con un accento proprio del suo zelo ardente, mi disse: “Quando sarai a Spalato procura di ottenere da quel monsignor vescovo il Santissimo Sacramento in casa; se arrivi ad avere tale grazia non temere più nulla, poiché da questa fonte scaturisce ogni bene”».