La libertà di pensiero fra ideologie e buon costume
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Il monologo di Benigni sull'articolo 21 della Costituzione non ha contemplato il fatto che l'ultimo comma prevede le manifestazioni contrarie al buon costume. E proprio a Sanremo questo è stato più volte vilipeso in spettacoli volgari.
Uno dei pochi momenti degni di nota della trascorsa edizione del Festival di Sanremo è stato il monologo di Roberto Benigni, interamente dedicato ad esaltare la bellezza della Costituzione della Repubblica italiana. Benigni ha sottolineato l’importanza dell’art. 21 Cost., «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero…», ricordando come un tempo – nel ventennio fascista che ha preceduto la Repubblica italiana e l’entrata in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948) – non si poteva pensare liberamente, essendo permesso “cantare” la sola propaganda di regime. L’art. 21 Cost. ci avrebbe così «liberati dall’obbligo di avere paura…».
Se ciò è vero e condivisibile, dobbiamo tuttavia constatare che i tempi che stiamo vivendo sono molto lontani dalla realizzazione di quel sogno - di cui parla lo stesso Benigni - di attuare ed “amare” quei principi costituzionali che hanno “tracciato” i nostri costituenti. L’affermarsi della democrazia e di un ordinamento costituzionale a tutela della libertà di manifestazione del pensiero non sono stati in grado di garantire l’eliminazione di forme di intolleranza e di controllo della libertà di pensiero. Rispetto ai regimi totalitari del passato (ove il dissenso dalla propaganda di regime veniva soffocato con l’uso della forza) cambiano, si evolvono, si affinano gli strumenti diretti a reprimere o controllare la libertà di manifestazione del pensiero. Ad una parvenza di tutela del pluralismo dell’informazione, in realtà si impone una narrazione mainstream poco tollerante al dissenso e alla critica; alla libera formazione delle idee si contrappone il pensiero unico, affine alle ideologie che i pubblici poteri (sostenuti dalle élite finanziarie) intendono promuovere nel tessuto sociale.
L’azione di controllo, manipolazione e repressione della libertà di pensiero si è resa evidente nel corso della “pandemia” da coronavirus e a seguito della campagna vaccinale messa in atto dalle istituzioni pubbliche e sanitarie. Abbiamo vissuto due anni in regime di dittatura vaccinale. Ma la libertà di pensiero non è stata sacrificata soltanto sull’altare degli interessi legati al vaccino. C’è un livello differente (ma non meno pericoloso) di limitazione della libertà di pensiero che si estrinseca attraverso una mirata azione di indottrinamento ideologico e culturale. Si pensi alle ideologie dell’omosessualità e del gender promosse nei contesti dell’educazione, dell’istruzione, dell’arte e dello spettacolo ed i progetti di legge per limitare il diritto di critica di chi non si riconosce in tali modelli culturali.
La stessa creazione del concetto di “fake news”, così di moda nei tempi recenti, è strumentale all’azione di indottrinamento delle masse a favore della formazione di un pensiero unico, contro il pluralismo dell’informazione e la pluralità delle idee. Lo si è visto non solo per la sanità, ma in altre aree della scienza come la transizione ecologica ed il cambiamento climatico: la posizione di chi si dissocia dalla narrazione mainstream del surriscaldamento terrestre provocato dall’opera dell’uomo viene etichettata come antiscientifica. Ma chi decide cosa è fake news e cosa è verità?
Ma un’azione di indottrinamento ideologico e manipolazione della libertà di pensiero si svolge anche sul piano della narrazione e della interpretazione degli eventi della realtà. Vi è una retorica dominante a favore del sostegno alla legittima difesa del popolo ucraino contro l’invasione della Russia per legittimare l’invio di armi sempre più potenti e sofisticate. Vi è una narrazione a senso unico a favore della implementazione degli armamenti, senza il benché minimo accenno alle conseguenze di codeste decisioni. Manca una seria riflessione per definire i termini e porre le basi per un accordo che ponga fine al conflitto bellico. E soprattutto vi è un’insensata e sconcertante sottovalutazione del rischio di una terza guerra mondiale aggravata dall’uso massiccio di armi nucleari. È in atto una propaganda a favore della “guerra” «whatever it takes», e le voci contrarie, anche autorevoli, non trovano un adeguato spazio nel dibattito politico e nei principali canali dell’informazione pubblica.
Dare atto che il principio della libertà di manifestazione del pensiero non si è pienamente realizzato non implica sminuire il lavoro dei costituenti e l’importanza dell’art. 21 Cost., che è e rimane, nella sua formulazione attuale, un valore fondamentale per la vita della democrazia. Fra i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero lo stesso art. 21 Cost., ultimo comma prevede che “sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”. Il buon costume fa riferimento a quelle manifestazioni del pensiero che, secondo il sentimento medio della collettività, offendono il comune senso del pudore e la pubblica decenza.
Orbene, non si può non evidenziare che, proprio a seguito dell’elogio alla libertà di manifestazione del pensiero da parte di Roberto Benigni, il Festival di Sanremo si sia dimostrato (per la scelta delle canzoni e degli ospiti) una manifestazione di indottrinamento delle ideologie a favore della omosessualità, del gender e contro la famiglia tradizionale, ed insieme uno spettacolo di volgarità, squallore ed indecenza, lesivo di quel buon costume previsto dai costituenti come limite alla libertà di manifestazione del pensiero.
La libertà di manifestazione del pensiero è certamente «pietra angolare» della democrazia, presupposto del pluralismo e della libertà dell’informazione. Nonostante i buoni propositi dei costituenti, dobbiamo però ammettere e riconoscere che le autorità pubbliche, non solo non si preoccupano di garantire e preservare l’effettiva attuazione del principio della libertà di pensiero (e tanto meno di vigilare sul rispetto del buon costume), ma il più delle volte agiscono per imprimere un pensiero unico o dominante e sopprimere o controllare la libera formazione e circolazione delle idee.