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L'ANALISI

La lezione svedese che l'Ue dei non eletti non vede

Si continua a perseguire la “politica dello struzzo” che da anni caratterizza i centri di potere comunitari e molti governi dell’Europa Occidentale. Il problema non è l’esplosione di consensi per i partiti contrari ai flussi migratori ma il fatto che sia proprio questa immigrazione di massa, selvaggia e quasi sempre islamica a determinare il crescente rifiuto delle forze politiche che hanno consentito tutto questo.

Editoriali 11_09_2018

"Gli svedesi hanno votato liberamente e democraticamente, e siamo fiduciosi che il Governo che emergerà continuerà nel forte impegno nei confronti dell'Ue".

Lo ha detto ieri il portavoce del presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, commentando l'esito delle elezioni in Svezia. Elezioni per le quali la Ue aveva nei giorni scorsi espresso forti preoccupazioni legate all’affermazione del partito dei Democratici Svedesi (DS) di Jimmie Akesson.

Al di là dei risultati elettorali, resta l’evidente contraddizione di una Commissione non eletta dai popoli europei ma determinata da alleanze e intese in seno ai gruppi parlamentari che esprime preoccupazioni ogni volta che negli Stati membri si tengono elezioni democratiche.

Un così elevato e costante timore della volontà popolare la dice lunga sul deficit di credibilità democratica di cui soffre la Ue.

A minarne la credibilità contribuisce anche la percezione che il suo obiettivo sia l’autoconservazione, mantenere il suo ruolo e autolegittimarsi nel perseguire politiche suicide verso gli europei (dalla finanza all’immigrazione), accentuando invece di risolverli i gravi problemi del Vecchio Continente.

I commenti di ieri, quando in Svezia ancora era da ultimare lo spoglio di tutte le schede, sono stati anche in Italia improntati generalmente al sollievo per lo scampato pericolo. Democratici Svedesi è il terzo partito, è cresciuto raggiungendo il 17,7 per cento ma non ha sfondato quota 20%. Anche in Italia, come presso molti ambienti politici europei, si finge entusiasmo per il mancato trionfo dei sovranisti.

Si continua a perseguire quindi la “politica dello struzzo” che da anni caratterizza i centri di potere comunitari e molti governi dell’Europa Occidentale. Si tende, anche per pigrizia mentale, a fingere di non vedere le cause dipingendo come tali gli effetti. Il problema non è infatti, in Svezia come altrove, l’esplosione di consensi per i partiti contrari ai flussi migratori ma il fatto che sia proprio questa immigrazione di massa, selvaggia e quasi sempre islamica, violenta e priva di ogni aspirazione all’integrazione a determinare il crescente rifiuto delle forze politiche che hanno consentito tutto questo.

Così come nell’Est Europa si assiste al consolidamento di quelle forze di governo che rifiutano di mutuare le fallimentari politiche immigrazioniste dei partner occidentali. I Democratici Svedesi crescono e cresceranno ancora influenzando anche altre forze politiche svedesi non perché dilaghi il razzismo ma perché la Svezia ha 62 aree urbane (lo ammette la polizia) fuori controllo, in mano a gang islamiche armate di kalashnikov e bombe a mano che impongono la sharia in interi quartieri delle più importanti città.

A Rinkeby, sobborgo a nord di Stoccolma è stato definito “zona di guerra” dalla responsabile delle unità anticrimine della polizia, Lise Tamm, come ha ricordato ieri il ministro italiano della famiglia, Lorenzo Fontana.

L’Islam rappresenta già oggi la più grave minaccia alla libertà, alla democrazia, ai diritti umani e alla sicurezza tout court e a quella sociale in Europa. Una sfida che prima o poi molti paesi dell’Europa Occidentale (a cominciare da Svezia, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Olanda….) dovranno affrontare indipendentemente dal colore politico del governo in carica.

Anzi, più tempo si attende e più ardua e sanguinosa sarà la “riconquista” delle no go area di cui i governi europei hanno perso controllo e sovranità.

Vale la pena sottolineare che le uniche espulsioni di massa di immigrati clandestini attuate in Italia sono state ordinate e gestite ai danni dei clandestini albanesi nell’agosto 1991 dal governo guidati da Giulio Andreotti (ministro dell’Interno era Vincenzo Scotti).

“Non siamo assolutamente in condizione di accogliere gli albanesi che premono sulle coste italiane e lo stesso governo di Tirana è d'accordo con noi che debbano essere rinviati nella loro nazione”, rese noto il presidente del consiglio varando un’operazione segreta di rimpatrio che riportò a Tirana con 11 aerei militari, 3 aerei civili e 3 motonavi oltre 20 mila albanesi convinti di venire smistati da Bari in altri centri d’Italia.

L’unico governo italiano a ordinare non solo il blocco dei porti ma, di fatto, un “blocco navale” davanti alle coste di un altro Stato, fu nel 1997 l’esecutivo di centrosinistra guidato da Romano Prodi, con Giorgio Napolitano ministro dell’Interno, per impedire lo sbarco di altri clandestini dall’Albania.

In buona parte d’Europa, quando la situazione sarà ancora più critica, di fronte all’emergenza non saranno le sfumature politiche a fare la differenza. Per questo fa specie notare che la lezione svedese (come quelle precedenti) non sia stata recepita nel suo significato più profondo.

I risultati elettorali vedono i Socialdemocratici restare primo partito nonostante un calo senza precedenti e anche unendosi con i Verdi non avrebbe i numeri per governare.

Al tempo stesso la coalizione dei tre partiti di centrodestra potrebbe formare un governo solo unendosi ai DS anche se prima del voto aveva escluso una simile alleanza.

Ulf Kristersson, che guida il centro-destra, ha detto che si attende un mandato per formare un nuovo governo e che il primo ministro uscente, il socialdemocratico Stefan Lofven, dovrebbe dimettersi. Il premier invece apre a un governo allargato al centrodestra.

I risultati definitivi delle elezioni non arriveranno prima di mercoledì, quando si conoscerà l'esito del voto dei circa 200mila svedesi all'estero. Il blocco "rosso-verde" al potere fino ad oggi è accreditato per il momento di un seggio in più (144, con il 40,1%) rispetto all'opposizione conservatrice (143). Nessuno dei due gruppi è comunque vicino a ottenere il 50% dei 349 seggi in ballo al Riksdag, il Parlamento svedese.

Tutti i giochi sono quindi aperti ma resta difficile dare torto ad Akkeson quando afferma che SD avrà un “peso enorme” nel futuro della Svezia. Proporzionale ai gravi problemi di sicurezza interna che Stoccolma dovrà affrontare.