La Lega guarda al piano B. Come Berlusconi
Risulta assai problematico per i due alleati di governo riuscire a tirare dritto nella realizzazione delle promesse elettorali, che peraltro sembrano assai incompatibili tra loro. E allora è inevitabile che entrambe le forze dell’attuale maggioranza debbano avere un piano B. E quello di Salvini passa per forza da Berlusconi.
Si autodefinisce governo del cambiamento, anche perché composto da forze politiche in parte nuove, che dichiarano di voler cambiare radicalmente i meccanismi decisionali e liberare le istituzioni dai condizionamenti di lobby e interessi di parte. Il compromesso alla base del contratto di governo giallo-verde sta però dimostrando quanto sia difficile attuare tale rinnovamento di metodi e costumi, considerato che la Lega si è comunque presentata alle elezioni (e anche al Quirinale alle consultazioni post-4 marzo per la formazione dell’esecutivo) in delegazione con gli alleati Forza Italia e Fratelli d’Italia e che nei Cinque Stelle c’è un gruppo assai consistente che non vede di buon occhio l’alleanza di governo con Matteo Salvini.
Queste le ragioni per le quali risulta assai problematico per i due alleati di governo riuscire a tirare dritto nella realizzazione delle promesse elettorali, che peraltro sembrano assai incompatibili tra loro. Non è detto che Lega e Cinque Stelle riescano a trovare le risorse necessarie per finanziare flat tax, revisione della legge Fornero, reddito di cittadinanza. E allora è inevitabile che entrambe le forze dell’attuale maggioranza debbano avere un piano B.
Quello di Luigi Di Maio è di chiedere cento per ottenere almeno venti, e poter dire al suo elettorato che il massimo è stato fatto per compiacere la base pentastellata, anche se il bilanciamento con i contrapposti interessi leghisti ha di fatto costretto a pesanti rinunce rispetto al programma elettorale grillino. In questa strategia si inseriscono i continui attacchi al Ministro dell’Economia, Giovanni Tria e al suo staff (vedi anche il caso Casalino), colpevoli di remare contro le misure contenute nel contratto di governo. Di Maio sa che in caso di caduta del governo, a meno di modifiche statutarie, non gli verrebbe data un’altra possibilità da Beppe Grillo, e scoccherebbe l’ora di Alessandro Di Battista, il più adatto per rispolverare le vecchie battaglie del Movimento.
Il piano B di Matteo Salvini emerge nitidamente dalle sue scelte delle ultime settimane. Il costante riavvicinamento a Silvio Berlusconi (ma si erano mai allontanati?) e il consolidamento del rapporto con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, lascia intendere che il Carroccio sente come provvisoria l’intesa con i Cinque Stelle e intende egemonizzare definitivamente il centrodestra, puntando ad assorbire i voti azzurri. Questo disegno deve però fare i conti con i sempre determinanti interessi della galassia berlusconiana. Il Cavaliere è ridisceso in campo proprio nel week-end, annunciando che si candiderà alle elezioni europee del maggio 2019, e che dunque cederà alle richieste di Antonio Tajani e degli altri vertici del partito. Il nome Berlusconi, a quanto dicono i sondaggi, tira ancora nelle urne e può frenare l’emorragia di voti che sembra davvero irreversibile.
Non bisogna però fare l’errore di considerare irrilevante l’apporto berlusconiano alla coalizione soltanto perché i consensi di Forza Italia, stando ai sondaggi, sembrano attestarsi attorno al 10%. Le valutazioni tattiche vanno applicate all’attuale composizione del Parlamento, dove le pattuglie di senatori e deputati forzisti sono ancora molto folte. Al momento non servono perché Lega e Cinque Stelle votano compatti i disegni di legge presentati dalla maggioranza. Se però su temi come i tetti pubblicitari o il conflitto d’interessi, che toccano direttamente gli interessi berlusconiani, una parte del Movimento Cinque Stelle votasse contro il governo, il soccorso azzurro potrebbe risultare decisivo. Lo si capisce dalle parole di alcuni esponenti vicini al capo di Forza Italia, che rassicurano Salvini sul fatto che il loro partito non farà mancare il suo sostegno in aula a quei provvedimenti in linea con il programma di centrodestra, ad esempio la flat tax o la revisione della Fornero. Su alcune votazioni, quindi, il centrodestra potrebbe già ricompattarsi in questa legislatura, ma ciò metterebbe in evidenza le divisioni nei Cinque Stelle tra chi vuole continuare a governare con la Lega e chi non vede l’ora di riabbracciare quell’ideale di purezza antisistema che mal si concilia con un alleato come Salvini, nuovamente in sintonia, anche ufficialmente, con Berlusconi.
Per riassumere: il governo potrebbe paradossalmente andare avanti grazie a Berlusconi, che, se garantito nei suoi interessi personali e aziendali, ha tutto l’interesse a non tornare al voto, in quanto le urne gli restituirebbero forse la metà degli attuali parlamentari e un potere di veto decisamente inferiore a quello che può esercitare oggi.
Il fatto che il Cavaliere sbraiti contro questo esecutivo è solo un modo per tenere buona la base pentastellata ed evitare che si appalesi il vero patto di governo, quello tra Salvini, Berlusconi e Di Maio: i primi due ufficialmente alleati in periferia e alle elezioni regionali, il terzo costretto ad un equilibrio precario tra linea governativa e fedeltà alle posizioni più ortodosse del grillismo. Di fatto i parlamentari pentastellati vicini al Presidente della Camera, Roberto Fico sono già all’opposizione e le loro dichiarazioni contrastano sempre più spesso con la linea ufficiale del governo Conte. Ma quest’ultimo può dormire sonni tranquilli: la stampella berlusconiana, se determinante, arriverà sempre, anche se a caro prezzo.