POLITICA
La Lega e la Chiesa: un discorso complesso
Il dibattito attorno a un libro è l'occasione per il partito di Bossi di approfondire il legame con le radici cattoliche delle comunità locali.
Attualità
06_05_2011
Specialista dell’islam, il sociologo padovano e opinionista di Repubblica Renzo Guolo ha pubblicato con il suo Chi impugna la Croce. Lega e Chiesa (Laterza, Roma - Bari 2011), un saggio con il quale, a proposito dei rapporti fra Chiesa Cattolica e Lega Nord, si dovranno d’ora in poi fare i conti, come dimostra il vivace dibattito che sta suscitando in questi giorni.
Anzitutto, un’avvertenza. Guolo non fa mistero della sua scarsa simpatia per la Lega e l’opera oscilla spesso fra lo stile descrittivo e quello prescrittivo. A volte, cioè, non si capisce se l’autore descriva un conflitto tra Chiesa e Lega ovvero auspichi che questo conflitto ci sia. Il duplice registro spiega i due aspetti che, da un punto di vista sia dottrinale sia metodologico, appaiono nel volume più deboli.
Il primo è la mancanza di una gerarchia all’interno delle opinioni di ecclesiastici riportate nel volume. Sembra che le voci del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, del presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, l’arcivescovo Rino Fisichella, o dell’ex-presidente della Conferenza Episcopale Italiana e vicario del papa per Roma, cardinale Camillo Ruini, stiano sullo stesso piano rispetto a sacerdoti marginali, spesso apertamente ostili al Magistero del Papa e qualche volta da anni noti su Internet e sulla stampa per posizioni estreme che lasciano veramente perplessi. Ovviamente non è così, a prescindere dai contrasti con la Lega – puntualmente annotati nel volume – di esponenti (o ex esponenti) del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e dell’arcivescovo di Milano cardinale Dionigi Tettamanzi. Questi ultimi – proprio nell’attenta ricostruzione di Guolo – appaiono però qualche volta alimentati, più che dal porporato, da esponenti locali della Lega, i quali evidentemente ritengono di trarre dagli scontri visibilità e consenso elettorale. Gli elementi descrittivi alla fine portano a concludere che in Italia, se esiste un piccolo numero di sacerdoti – sostenuto da qualche vescovo in pensione – che auspica una severa ma improbabile condanna della Lega da parte della gerarchia ecclesiastica, ai livelli più alti di questa stessa gerarchia è invece in corso da anni una strategia dell’attenzione e del dialogo.
Il secondo punto debole del discorso di Guolo è la mancanza di gerarchia, all’interno della dottrina sociale della Chiesa, tra temi diversi che non sono tutti sullo stesso piano. Il cardinale Joseph Ratzinger prima e Benedetto XVI poi hanno dato un significato molto tecnico all’espressione «principi non negoziabili», che si riferisce alla vita, alla famiglia e alla libertà di educazione. Gli altri temi non sono certamente irrilevanti, ma vengono dopo i principi non negoziabili. Non è dunque sorprendente che autorità ecclesiastiche – nel giudicare quali rapporti debbano intrattenere con un movimento politico – esaminino prima le sue posizioni sull’aborto, sulla pillola abortiva, sull’eutanasia, sul riconoscimento delle unioni omosessuali e sulla libertà di educazione, passando solo in seconda battuta alla valutazione delle proposte di quel movimento sulla legalità, l’immigrazione o l’economia: temi, è bene precisarlo, importanti e tutt’altro che secondari, ma che non fanno parte della sfera primaria dei tre principi non negoziabili, su cui negli ultimi anni la Lega ha manifestato particolare vicinanza alla posizione sostenuta dalla Chiesa.
Guolo, a dire il vero, si rende conto di questo problema. Cita sia la lettera del cardinale Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ai vescovi americani in occasione delle elezioni del 2004, dove distingueva tra temi come la guerra in Iraq, dove un cattolico, scriveva, poteva legittimamente dissentire dal Papa, e altri come l’aborto su cui nessun dissenso era ammissibile, sia le prese di posizioni di Benedetto XVI sui principi non negoziabili. Cerca però di dare voce a chi – e fra questi qualche vescovo italiano – ha cercato di definire «non negoziabili» anche gli imperativi dell’accoglienza in materia d’immigrazione. Ma così si ritorna alla prima delle due debolezze dell’opera: all’interno della Chiesa le voci non sono tutte uguali, e definire quali siano i principi non negoziabili è un problema dottrinale, la cui soluzione spetta in prima battuta al Magistero pontificio.
L’opera di Guolo non ha però soltanto debolezze. La ricostruzione delle posizioni del movimento di Umberto Bossi in materia di religione è condotta senza simpatia, ma con uno schema ingegnoso. Questo parte da una prima fase in cui la Lega e lo stesso Bossi facevano volentieri riferimento a una religiosità pagana incarnata nel mito dei Celti, talora opponendola esplicitamente al cristianesimo. In una seconda fase, la Lega ha recuperato un rapporto organico con le radici cristiane dell’Europa e dell’Italia – specie, come hanno fatto altri movimenti europei, dopo l’11 settembre 2001 di fronte alla sfida islamica –, ma ha incontrato come primi interlocutori sacerdoti «anticonciliaristi» – l’espressione è di Benedetto XVI – come quelli della Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991) e altri che hanno lasciato la stessa Fraternità per assumere posizioni di ostilità al Concilio Ecumenico Vaticano II ancora più radicali. Guolo ha così buon gioco nel collezionare citazioni di esponenti della Lega e del quotidiano leghista La Padania critiche del Vaticano II con accenti in effetti «lefebvriani».
Solo con il pontificato di Benedetto XVI è emersa una terza posizione, che cerca di rimanere in sintonia con le posizioni del Papa e d’interpretare il Concilio secondo quella che Guolo chiama in modo impreciso «ermeneutica della continuità»: un errore, peraltro diffuso, perché il Papa nel suo celebre discorso del 22 dicembre 2005 ha parlato in realtà di «ermeneutica della riforma nella continuità», e la differenza non è irrilevante.
A proposito di questa terza posizione Guolo cita – evidentemente – il governatore cattolico e leghista del Piemonte Roberto Cota e il suo «Patto per la vita e per la famiglia» stipulato prima delle elezioni regionali del 2010. Il sociologo ha anche ragione quando afferma che i tre atteggiamenti leghisti nei confronti della Chiesa – neopagano, «lefebvriano» e fedele al Magistero di Benedetto XVI – non sono semplicemente cronologici, ma rimangono tutti compresenti nella Lega di oggi. Guolo però, che ha lavorato sulle dichiarazioni dei dirigenti e su qualche articolo de La Padania, sottovaluta la presenza della terza posizione nella Lega di oggi. Per esempio, i testi tratti dal quotidiano leghista – dove certamente appaiono testi anche di segno diverso – e raccolti nel volume appena uscito di Emanuele Pozzolo La sfida federalista (Italian University Press, Genova 2011) mostrano un accostamento al cattolicesimo che certo non ha gli accenti del cardinale Tettamanzi, ma è coltivato con un riferimento costante alla dottrina sociale della Chiesa.
Manca poi nel testo di Guolo, come ha notato nella sua recensione su La Stampa del 30 aprile il sociologo torinese Franco Garelli, uno sforzo d’indagine quantitativa sui quadri intermedi della Lega, per non parlare degli elettori, dove la terza posizione – quella fedele al Pontefice – emergerebbe probabilmente con un peso assai maggiore delle altre due, e l’accusa centrale del volume alla Lega, quella dell’uso strumentale di un «cristianesimo senza Cristo», apparirebbe senz’altro più ingiusta.
La stessa interazione fra le tre identità della Lega – che è il punto più interessante del libro di Guolo – può forse essere letta anche in una chiave diversa. Mentre l’Italia, come ha ricordato Benedetto XVI in occasione dei centocinquant’anni dall’unità politica, era unita già molto prima del 1861 dal suo ethos cattolico, i leghisti all’inizio della loro avventura politica affermavano apertamente di voler fondare il loro nuovo progetto politico non su un ethos ma su un ethnos, sulle presunte caratteristiche etniche tradizionali dei popoli della Padania.
Certamente la Lega è cambiata rispetto a queste origini, ma qui è importante riflettere su un elemento importante. Anche un certo fascismo aveva cercato di sostituire l’ethos con l’ethnos, ma il progetto della Lega delle origini non può essere paragonato a quello fascista, come fanno un po’ troppo frettolosamente alcuni dei sacerdoti anti-leghisti cui Guolo dà voce. Anzi, la Lega si è sempre detta antifascista, perché identifica il fascismo con il centralismo e l’anti-federalismo. Il fascismo cercava d’inventare un ethnos «italiano», mentre la Lega anche dei primi anni andava a cercare i tanti ethnos locali «padani» nelle tradizioni locali di Varese, di Bergamo, delle valli del Cuneese e così via. La ricerca procedeva talora in modo incerto, ma dove non vi erano – o si superavano – pregiudizi ideologici cercando gli ethnos locali non si poteva che ritrovare l’ethos. Perché le caratteristiche che avevano dato vita al popolo varesino, cuneese o bergamasco – per poco che si scavasse nelle tradizioni locali – non potevano che fare riferimento all’eredità cattolica, alle parrocchie, ai santi, ai santuari mariani: presenze ben più forti rispetto a più antiche eredità precristiane o «celtiche» che del resto, ove esistevano, erano state incorporate e reinterpretate dal cristianesimo. L’incontro fra ricerca leghista dell’ethnos e riscoperta dell’ethos cattolico era dunque in un certo senso inevitabile, ed è di fatto in molti luoghi avvenuto, in modo naturale e non semplicemente strumentale.
Sbaglierebbe però la Lega se rispondesse al libro di Guolo – che certo ha un tono spesso polemico – in chiave meramente difensiva. Il saggio del sociologo di Padova può essere uno stimolo a ripensare il legame necessario fra ricerca dell’ethnos locale e riscoperta dell’ethos delle radici cristiane. E a far prevalere consapevolmente il terzo modello, quello del rapporto di ascolto con il Magistero in cui parla la Tradizione viva della Chiesa, rispetto al secondo – quello dei legami con ambienti «anticonciliaristi» marginali, che esponenti della Lega coltivano talora in pura perdita – e ai residui più o meno folkloristici del primo, neopagano. Un ascolto che coincide con le più autentiche tradizioni delle nostre terre, che potrebbe smussare certi angoli con la Chiesa Cattolica su temi «difficili» per la Lega, e che molti leghisti già oggi si mostrano interessati a coltivare.