La guerra tra poveri del Sud Sudan
Ci si ammazza per qualche capo
di bestiame o per un sorso d'acqua. Colpa della crisi endemica delle economie di sussistenza africane.
È di oltre 600 morti e di quasi mille feriti il bilancio degli scontri avvenuti nei giorni scorsi in Sud Sudan, lo Stato africano indipendente da meno di due mesi. Lo scenario in questo caso non sono le regioni di confine con il Sudan - Sud Kordofan, Abyei, Unity, Blue Nile - contese per le loro ricchezze petrolifere e ora presidiate dai caschi blu della missione ONU di peace-keeping Unmis per evitare il ripetersi dei gravissimi episodi di violenza ai danni della popolazione civile verificatisi nelle scorse settimane.
Non si tratta neanche di un nuovo conflitto tra l’esercito e una delle bande - in certi casi dei veri e propri eserciti - guidate da ex comandanti Spla (il movimento che ha condotto per 20 anni la lotta contro Khartoum) ora divenuti leader dell’opposizione armata al governo sud-sudanese.
Questa volta a scontrarsi sono due etnie, i Merle e i Lou Nuer, e, come avviene quasi sempre in questi casi, a scatenare la guerra è stato un furto di bestiame. Il 18 agosto dei giovani Merle hanno attaccato diversi insediamenti Lou Nuer, attorno alla città di Pieri, nello stato orientale di Jonglei, li hanno incendiati, distruggendoli in gran parte, e poi se ne sono andati portando con sé quasi 40.000 capi di bestiame. Sembra che l’azione sia stata la risposta a un recente furto di bestiame Merle compiuto dai Lou Nuer: ultimi episodi di una catena infinita di aggressioni.
Gli scontri etnici a scopo di razzia in effetti sono così frequenti - in tutto il continente africano, non solo in Sud Sudan - da non fare notizia, se non quando assumono proporzioni enormi come è successo in questi giorni nel Jonglei.
In alternativa, la causa del contendere può essere il controllo di un punto d’acqua, di un pascolo, di un terreno coltivabile.
Un tempo succedeva ovunque. Adesso accade soprattutto nei territori aridi e semi-aridi popolati da tribù di pastori nomadi e specialmente durante la stagione secca, quando scarseggiano risorse, acqua e pascoli.
La ragione è che le economie di sussistenza africane, tuttora praticate da gran parte della popolazione rurale, hanno una produttività bassissima e irregolare e questo da sempre rende la guerra di conquista e di rapina un fattore economico strutturale, vale a dire necessario, funzionale.
Il bestiame è il mezzo di sussistenza essenziale per le comunità tradizionali dedite alla pastorizia. Inoltre rappresenta un indispensabile e irrinunciabile elemento di status. Disporre di centinaia e migliaia di capi, seppure macilenti, dalla scarsissima resa, consente a una famiglia non soltanto di sopravvivere, ma anche di sposare i figli maschi con tante donne e tra le migliori, pagando per loro un esorbitante prezzo della sposa in capi di bestiame.
Così muoiono ogni anno centinaia di persone nel Jonglei e altrettante in tanti altri Stati africani, dalla Nigeria al Kenya. In quest’ultimo Paese, e in tutto il Corno d’Africa, la conflittualità etnica endemica, stagionale, si è intensificata da mesi in seguito a una grave carestia provocata da due stagioni delle piogge mancate e che sta minacciando la sopravvivenza di quasi 13 milioni di persone.
Per questa carestia si incolpa la comunità internazionale sostenendo che non sta facendo abbastanza per ovviare alle carenze alimentari e la strage nello stato di Jonglei si attribuisce all’incapacità di controllare il proprio territorio da parte dello governo del Sud Sudan, a capo di uno stato appena nato e soprattutto reduce da una rovinosa guerra pluridecennale in seguito alla quale è priva di infrastrutture, incluse strade e ferrovie per collegare alla capitale gli stati federali e consentire alle forze dell’ordine di intervenire dappertutto.
Gli aiuti internazionali rimediano nei limiti del possibile alle crisi alimentari. Potrebbero prevenirle solo con una permanente, colossale opera di assistenza. La repressione tramite il dispiegamento di esercito e polizia può contenere la conflittualità etnica e impedire che dilaghi e che degeneri. Ma solo la rimozione delle cause della scarsità cronica di risorse vitali può mettere fine al fenomeno rendendo superflui razzie ed espropri di pascoli, sorgenti e terre coltivabili. Dice a ragione il governatore dello stato di Jonglei, Kuol Manyang: “le gente ha bisogno di bestiame per sopravvivere, per la propria sicurezza alimentare e per i matrimoni ed è in competizione per la terra e per l’acqua: tutto questo a causa del sottosviluppo”.
I Merle, oltre al bestiame, rapiscono i bambini. Ne hanno pochi e nelle comunità tradizionali i bambini, insieme alle donne, sono la manodopera su cui grava la maggior parte delle attività lavorative.