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GUERRA IN MEDIO ORIENTE

La guerra sospesa. La tregua a Gaza si allunga, fra rischi e liberazioni

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Si allunga di due giorni la tregua a Gaza, in cambio della liberazione di altri venti ostaggi israeliani. Hamas ha più tempo per riorganizzarsi. Israele accetta il rischio: l'opinione pubblica rivuole a casa i concittadini prigionieri.

Esteri 29_11_2023
Gerusalemme, le foto dei rapiti

L’estensione della tregua nella Striscia di Gaza per altri due giorni, caldeggiata da tutta la comunità internazionale, sembra poter resistere anche alla violazione, denunciata ieri da Israele, che ha lamentato l’esplosione di tre ordigni in due diverse località nel nord della Striscia. Secondo quanto riferisce un portavoce militare, i miliziani palestinesi hanno anche aperto il fuoco contro le truppe israeliane che hanno risposto sparando. Durante gli incidenti diversi soldati sono rimasti leggermente feriti.

La sospensione per sei giorni delle ostilità comporta vantaggi solo per Hamas e qualche svantaggio per Israele. Sul piano politico il movimento palestinese si libera degli ostaggi più imbarazzanti, cioè donne e bambini, la cui detenzione contribuisce all’immagine negativa della formazione jihadista che al tempo stesso ottiene in cambio la liberazione di donne e minori (non bambini, bensì giovanissimi miliziani accolti a Gaza come combattenti) incarcerati in Israele per aggressioni, attentati e violenze. Sul piano militare inoltre il cessate il fuoco temporaneo permette alle Brigate al-Qassam (braccio armato di Hamas) e alle Brigate al-Quds (braccio armato della Jihad Islamica Palestinese) di “leccarsi le ferite” dopo 7 settimane di bombardamenti aerei e di artiglieria e un mese di offensiva terrestre israeliana che hanno provocato seri danni alle forze palestinesi in termini di caduti, feriti, depositi di armi e munizioni distrutti negli oltre 400 tunnel fatti esplodere dalle truppe dello Stato ebraico. Inoltre sarebbe illusorio ritenere che viveri e carburante entrati nella Striscia di Gaza a bordo di oltre 2mila camion in questi giorni di tregua non siano finiti in parte consistente nelle mani delle milizie. 

Anche Israele incassa vantaggi dalla tregua, soprattutto in termini politici poiché il governo di Benjamin Netanyahu non poteva ignorare né le pressioni della comunità internazionale (Stati Uniti e paesi arabi in testa) per dare respiro alla popolazione di Gaza dopo quasi due mesi di guerra e all’opinione pubblica israeliana, determinata in larga misura a sostenere la campagna militare per la distruzione di Hamas, ma al tempo stesso favorevole a ogni iniziativa utile a portare alla liberazione degli ostaggi che Hamas aveva catturato nell’incursione del 7 e 8 ottobre in territorio israeliano: 240 ostaggi oggi ridottisi a 173 di cui 17 stranieri e sei minori israeliani.

Del resto i piani militari israeliani che prevedevano di liberare un numero rilevante di ostaggi, grazie a incursioni mirate delle forze speciali, in base a informazioni dì intelligence, non hanno prodotto i risultati sperati, costringendo anche molti “falchi” ad accettare il principio del cessate il fuoco temporaneo.

Netanyahu è però consapevole dei malumori dei militari che vedono in una tregua prolungata l’occasione per una riorganizzazione e rafforzamento della decina di milizie palestinesi presenti nella Striscia di Gaza (di cui 5 hanno reso noto di aver preso ostaggi in Israele) composte da combattenti esperti e ben armati tra cui ovviamente Hamas e Jihad Islamica ma anche Brigate Mujahideen, Brigate Al-Nasser Salah al-Deen e altre formazioni minori. In tutto forse 35/40mila miliziani di cui 30mila di Hamas: circa 3mila hanno partecipato all’incursione in territorio israeliano in cui almeno un migliaio sono morti in battaglia mentre in due mesi di guerra un numero imprecisato ma non certo irrisorio è rimasto ucciso o ferito.

BBC Arabic ha raccolto prove che mostrano come Hamas abbia riunito le fazioni di Gaza per integrarle in una forza da combattimento in vista del raid in Israele. Il 29 dicembre 2020 il leader di Hamas Ismail Haniyeh annunciò la prima delle quattro esercitazioni congiunte tra le varie fazioni armate di Gaza gestita da una sala operativa congiunta, peraltro istituita già nel 2018 per coordinare le operazioni sotto un comando centrale.

Le forze israeliane sono consapevoli che, pianificando l’attacco del 7 ottobre, le milizie palestinesi hanno di certo tenuto conto del prevedibile massiccio attacco israeliano alla Striscia e si sono preparate ad affrontarlo. Per questo Netanyahu, il 26 novembre, si è recato nella zona settentrionale di Gaza occupata in visita alle truppe per confermare che l’operazione militare tesa a sradicare e distruggere le milizie palestinesi andrà avanti.

Secondo fonti citate dal quotidiano Haaretz nei combattimenti dell’ultimo mese l’esercito israeliano ha registrato una novantina di morti e un migliaio di feriti (202 gravi, 320 medi e 470 leggeri) anche se i caduti militari dal 7 ottobre sono 392, per la gran parte uccisi durante l’attacco palestinese. Attualmente sono ancora ricoverati 29 feriti gravi e 183 che versano in condizioni medie.

Numeri che confermano capacità e buon armamento dei miliziani. Anche per questo le forze israeliane vorrebbero riprendere al più presto l’offensiva tenuto conto che già in passato le operazioni militari nella Striscia di Gaza sono state interrotte prima che Hamas venisse annientato, sull’onda delle pressioni politiche internazionali su Israele determinate dall’elevato numero di vittime civili.