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CAUCASO

La guerra invisibile. Escalation di scontri fra Armenia e Azerbaigian

Scontri a fuoco al confine fra l’Azerbaigian e l’Armenia hanno provocato almeno 150 morti in due giorni. Nel silenzio dei media, la guerra fra Armenia e Azerbaigian sta ricominciando dopo due anni di fragile tregua. Con un gradino di escalation in più: non si è trattato solo di scontri fra azeri e armeni dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), ma di una battaglia diretta fra gli eserciti regolari armeno e azero al confine internazionale riconosciuto fra i due Stati. Baku tasta la debolezza della Russia, protettrice dell'Armenia, e potrebbe sfruttare l'opportunità per un attacco.

- PAPA IN KAZAKISTAN: "NON SI USI IL SACRO PER LA GUERRA" di Nico Spuntoni

Attualità 15_09_2022
Funerale dei militari azeri caduti al confine con l'Armenia

Scontri a fuoco al confine fra l’Azerbaigian e l’Armenia hanno provocato almeno 150 morti in due giorni. Non è ancora possibile stabilire chi abbia sparato per primo. Il ministero della Difesa armeno, già il 5 settembre, aveva denunciato l’uccisione di un soldato di leva al confine orientale, per mano di soldati azeri in pattuglia. L’episodio pareva isolato, ma invece, mentre l’attenzione del mondo è ancora rivolta alla guerra in Ucraina, nel silenzio dei media, la guerra fra Armenia e Azerbaigian sta ricominciando dopo due anni di fragile tregua.

All’alba del 13 settembre e poi ancora nella giornata del 14 (ieri, per chi legge) ai confini instabili fra le due repubbliche, armeni e azeri si sono affrontati con scambi di artiglieria e razzi. Anche i droni turchi in dotazione dell’esercito azero, gli ormai celebri Bayraktar, sono entrati in azione per eliminare le batterie armene. Lo scontro è stato molto violento e ha coinvolto anche insediamenti civili. Il primo ministro armeno Nikol Pashinian, il 13 settembre aveva rivelato una prima stima di 49 caduti, poi portata a 105 il giorno successivo. Anche il ministero della Difesa azero ha stimato in “fino a 100” le vittime dell’esercito nemico. Gli azeri dichiarano di aver perso 50 soldati negli scontri del 13 settembre.

Il motivo del contendere è ancora lo status del Nagorno-Karabakh (per gli armeni: repubblica di Artsakh), strascico di una guerra scoppiata ancor prima della dissoluzione dell’Urss nel 1988, nata dalla volontà della popolazione locale armena (espressa in un referendum) di non far parte dell’Azerbaigian. Il problema è peggiorato quando, finito l’impero sovietico, sia Armenia che Azerbaigian sono diventate repubbliche indipendenti. Si intrecciano ragioni storiche, religiose, etniche e di terrore per gli eventi recenti che rendono impossibile una soluzione pacifica nel breve periodo. Causa soprattutto religiosa: i cristiani armeni ricordano molto lucidamente sia l’esperienza del genocidio del 1915 (proseguito proprio in queste aree del Caucaso nel 1918) sia quella molto più recente dei pogrom e della pulizia etnica del 1988-94, ad opera dei musulmani azeri. La comunità internazionale riconosce la sovranità dell’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh a maggioranza armena. Ma gli abitanti locali si amministrano da soli, come fossero una repubblica a sé (più democratica del resto dell’Azerbaigian), sono protetti dall’Armenia che a sua volta è protetta dalla Russia.

L’equilibrio è saltato più volte e i combattimenti sono ripresi frequentemente dopo la pace del 1994. La guerra vera e propria è ricominciata nel settembre 2020 per sei settimane, durante le quali gli azeri hanno inflitto pesanti perdite agli armeni e hanno conquistato vaste porzioni di territorio del Nagorno-Karabakh. Ora l’equilibrio rischia di saltare ancora, dopo due anni di tregua, con gli scontri del 13-14 settembre. Con un gradino di escalation in più: non si è trattato solo di scontri fra gli armeni dell’Artsakh e gli azeri, ma di una battaglia diretta fra gli eserciti regolari armeno e azero al confine internazionale (riconosciuto) fra i due Stati. Le due parti si accusano a vicenda. Per Baku, sono stati gli armeni a provocare lo scontro. Il ministero della Difesa dichiara che da almeno un mese stesse monitorando manovre militari nemiche al confine, con intenti ostili. Per il ministero della Difesa di Erevan, al contrario, gli armeni si sono limitati a rispondere al fuoco, dopo due settimane di continue provocazioni. Fatto sta che il bilancio delle perdite continua a salire e si rischia veramente lo scoppio di una guerra fra le due repubbliche ex sovietiche.

Tutte le grandi potenze stanno tentando una mediazione. Il rappresentante speciale dell’Ue, Toivo Klaar, si è incontrato con il presidente azero Ilham Aliyev. Il presidente francese Macron ha contattato telefonicamente sia il premier armeno Pashinian che Aliyev. Anche il segretario di Stato statunitense Antony Blinken ha dialogato al telefono con entrambi i leader delle parti in causa, mentre il negoziatore Philip Reeker si è imbarcato per Baku, per tentare una mediazione in loco. Tutti puntano ad una tregua e ad evitare ulteriori escalation. Quanto è importante la pace nel Caucaso per le democrazie occidentali? A giudicare dalla scarsissima copertura mediatica dei fatti (pur gravi) alla frontiera armena-azera, non è considerata una priorità.

Se c’è però una mediazione internazionale invocata dal premier armeno, questa è solo la Csto (Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva) il braccio armato della Csi, la Comunità degli Stati Indipendenti erede dell’Urss, guidata dalla Russia, ma di cui l'Azerbaigian non fa parte. Il premier Pashinian ha dichiarato, all’indomani dello scontro di frontiera: «I nostri alleati sono la Russia e la Csto (…) Non pensiamo all’intervento militare come l’unica opzione possibile, perché ci sono alternative politiche e diplomatiche». La Russia, che non può permettersi un’altra guerra, sta però seguendo una linea più prudente. Il 15 settembre (oggi per chi legge) arriverà al confine armeno-azero una prima squadra di ufficiali della Csto. Il 16 Putin incontrerà Aliyev a Samarcanda, al vertice dell’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione.

Ma perché proprio ora si riaccendono i combattimenti? Secondo Richard Giragosian, direttore del Centro Studi Regionale di Erevan, intervistato dal Wall Street Journal: «Ciò che lo provoca è sia la percezione sia la realtà di una Russia debole, soprattutto alla luce degli sviluppi più recenti della guerra in Ucraina. L’Azerbaigian sente di avere un’opportunità unica, ma anche breve. Per questo sta cercando di agire rapidamente». Debolezza russa che è testimoniata anche dalla ripresa di altre tensioni nelle repubbliche ex sovietiche, come gli scontri di frontiera fra Tagikistan e Kirghizistan: 1 morto e due feriti nell’ultimo incidente militare avvenuto proprio il 13 settembre. Anche questo caso sarà affrontato al vertice di Samarcanda. Ma basterà la diplomazia, se la Russia sta perdendo il suo potere deterrente?