"La guerra di Heisenberg": quando la storia diventa propaganda
Ascolta la versione audio dell'articolo
Con una recensione sul Corriere della Sera, il fisico Carlo Rovelli usa la nuova edizione di un libro di Thomas Powers sulla storia dell'atomica nazista per esprimere giudizi sommari sull'Occidente di oggi. Stravolgendo però i contenuti del libro.
Sul Corriere della Sera di mercoledì 17 luglio è apparso un lungo articolo del professor Carlo Rovelli. Si trattava di una presentazione del ponderoso lavoro di Thomas Powers dal titolo “La guerra di Heisenberg” (edizioni RCS Fuoriscena).
Il prof. Rovelli è, come tutti sanno, un eminente fisico e scienziato e, nei suoi confronti, chi si è fermato alle tabelline (come lo scrivente) prova sempre un opprimente senso di inferiorità. Il problema nasce quando matematici e scienziati si esprimono, sempre più spesso, su qualsiasi branca dello scibile umano, dalla filosofia al ragù di cinghiale. Nel caso del prof. Rovelli resta indimenticabile la sua intemerata nei confronti di Benedetto XVI, datata 23 ottobre 2006: «Questo papa - scriveva - sta facendo del male alla Chiesa cattolica, così come molti papi le hanno fatto male nel passato. Fermatelo, parlate». Una esortazione che trovò riscontro nel novembre del 2007 quando l’Università La Sapienza impedì a Benedetto XVI di tenere l’inaugurazione dell’anno accademico 2008.
Nella presentazione del libro di Powers, il prof. Rovelli riassume le tesi dell’autore affermando che gli scienziati tedeschi avevano boicottato il progetto hitleriano di costruire la bomba atomica. Da tale assunto Rovelli fa due considerazioni: 1) gli Stati Uniti avevano realizzato l’atomica in assenza di una reale minaccia; 2) gli scienziati del progetto Manhattan non avevano avuto gli stessi scrupoli dei tedeschi. «In altre parole - scrive Rovelli – siamo entrati nell’era nucleare dove il rischio di autodistruzione dell’umanità è tragicamente concreto e vicino … a causa di un equivoco». Dopo di che, passando all’attualità: «La piccola Italia partecipa alla follia con una sessantina di atomiche, a Pordenone e a Brescia, che non comanda neppure».
Sulla stessa linea l’autrice della prefazione, la giornalista investigativa Stefania Maurizi, secondo la quale «il solo suggerire che un Heisenberg, nonostante l’immenso potere di coercizione della Germania nazista avesse trovato un modo etico di comportarsi …. mentre un Oppenheimer, che viveva nel mondo libero, l’avesse consegnata al suo governo – che l’ha usata per sterminare trecentomila civili innocenti – innesca ancora oggi … emozioni difficili da capire».
Come spesso accade nel dibattito giornalistico è difficile rispondere adeguatamente a tante affermazioni espresse nella modalità oggi più corrente, dove la sintesi confina pericolosamente con la sommarietà.
Così, solo per esempio, si potrebbe rispondere che sarebbe necessario tornare con la macchina del tempo a ottant’anni fa e mettersi al posto dei responsabili statunitensi per sapere se il nazismo poteva essere in grado di costruire la bomba atomica. Tutto ciò considerando, ma Rovelli e Maurizi omettono di dirlo, che i nazisti avevano realizzato il missile da crociera V1 e l’ancora più pericoloso V2 fin dal 1943 con impiego operativo del primo a partire dall’estate del 1944. Mentre l’Inghilterra veniva bersagliata ogni giorno da questi ordigni sarebbe stata pura incoscienza non pensare che i nazisti avrebbero potuto dotare una V2 con una testata atomica, data la completa ignoranza, inevitabile in uno studio così sperimentale, delle difficoltà inerenti.
Porre l’equivalenza morale del dilemma sulla bomba tra gli scienziati nazisti e quelli americani porta a postulare l’equivalenza tra la Germania nazista e gli Stati Uniti, ossia tra Hitler e Roosevelt. Per quanto possa sembrare strano a molti, obbedire a un regime criminale (che, nei campi di sterminio, stava cancellando dalla faccia della terra diciassette milioni di persone in pochi anni), a una democrazia compiuta non è la stessa cosa, non è lo stesso dilemma.
Per quanto riguarda le testate atomiche in Italia (che secondo Rovelli, non “comandiamo”) è quasi banale osservare che ciò è dovuto alla teoria NATO della condivisione nucleare con testate presenti in Belgio, Germania e Turchia. Che le “chiavi” siano in mano americana serve a non violare il Trattato di Non Proliferazione (TNP) a meno che non si desideri che l’Italia “comandi” proprie bombe atomiche e aderisca al TNP.
Quanto poi all’utilizzo su Hiroshima e Nagasaki si rimanda al magnifico “L’eclisse del Sol Levante” di John Toland o al ponderoso “La Guerra del Pacifico” di Bernard Millot per esaminare l’enorme complessità del problema della resa del Giappone.
Resta, inoltre, incomprensibile la chiusura dell’articolo di Rovelli: «Heisenberg era rocambolescamente e rischiosamente andato a trovare Bohr in Danimarca durante la guerra senza arrivare a parlarci davvero. Perché la stupidità della guerra, allora come oggi, trasforma gli amici in nemici». E qui inizia il grande mistero: che libro ha letto Rovelli? Perché di rocambolesco ci fu solo la fuga di Niels Bohr in Svezia nel dicembre del 1943 mentre Heisenberg ebbe un lungo colloquio con Bohr nel settembre del 1941, in occasione di un convegno di studi a Copenaghen (vedi qui e qui).
La curiosità, a questo punto, è forte. Come andò questo famoso colloquio? Nella ricostruzione di Powers, in buona sostanza, Heisenberg fece numerosi passi falsi sostenendo la preferibilità del dominio nazista in alternativa a quello sovietico. Bohr, danese in una Danimarca occupata, non la prese bene (pag. 134-138). Poi Heisenberg fece questa proposta con queste parole testuali in “Physic and beyond”: «Bohr – affermava lo stesso Heisenberg - era così pieno di orrore che non colse la parte più importante del mio discorso e cioè la necessità di un enorme sforzo tecnico. Ora questo, per me, era importantissimo proprio perché dava ai fisici la possibilità di decidere se provare o no a costruire la bomba atomica. Stava a loro comunicare ai rispettivi governi che non ci sarebbe stato tempo per un impiego della bomba atomica nella guerra in corso e che lavorare sulla bomba avrebbe sottratto risorse allo sforzo bellico»; oppure con uno sforzo massimo riuscire nell’impresa. Bohr rispose che gli scienziati avrebbero lavorato per i rispettivi governi. In definitiva le ipotesi possono essere tre. Heisenberg poteva mirare a 1) impedire che nessuno dei governi in guerra costruisse la bomba; 2) impedire che gli Alleati la costruissero perché la Germania non poteva riuscirci; 3) impedire il progetto Manhattan mentre la Germania provvedeva a questo.
Secondo Powers, Heisenberg manovrò con astuzia per non realizzare la bomba, conscio che gli sforzi sarebbe stati enormi pur avendo risolto i problemi teorici. Una versione interessante che, tuttavia, lo stesso Powers non può definire con certezza data la «irriducibile reticenza di Heisenberg» (pag. 508). E allora viene da chiedersi da dove provengano le adamantine certezze di Rovelli per emettere giudizi storici come quelli sopra evidenziati.
Ultimo appunto. Nell’articolo del Corriere della sera si legge che il libro di Powers è del 1993 mentre questa sarebbe la prima traduzione italiana, come affermato dalla giornalista Stefania Maurizi in un suo tweet: «Finalmente un’edizione italiana del grande libro "La guerra di Heisenberg”».
Ci sarebbe da chiedersi come mai uno studio così importante abbia dovuto aspettare trentun anni per essere tradotto in italiano. La risposta è che Mondadori lo aveva già pubblicato nel 1994, con il titolo ”La storia segreta dell’atomica tedesca”, sempre con la traduzione di Paola Frezza, che figura come traduttrice della versione 2024. Da un controllo a campione sui primi capitoli si deduce che il testo è identico. Le citazioni in questo articolo, infatti, provengono dall’edizione del 1994.
Di fronte a una presentazione autorevole come quella del prof. Rovelli il lettore non controlla se, in una biblioteca esista un’altra edizione. Così, attualmente nel sistema bibliotecario di Monza e Brianza vi sono diciotto prenotazioni per leggere l’edizione del 2024 mentre altre quattro copie cartacee del 1994 giacciono neglette dall’utenza. Oppure si può comprare il libro del 2024 a € 20,90 ignorando che la vecchia edizione ti aspetta in biblioteca, tutta polverosa. Ora la domanda è: perché un libro vecchio di trent’anni viene ripubblicato come prima edizione senza far cenno a quelle precedenti? Ma, come per Heisenberg, anche questa è una domanda destinata a restare senza risposta.