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medio oriente

La guerra degli ostaggi, scontro mediatico tra Israele e Hamas

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A rischio l’avvio della seconda fase dell’accordo, tra spettacolarizzazione e intimidazioni reciproche: Netanyahu risponde alle umiliazioni dei jihadisti sui prigionieri israeliani rilasciati bloccando il rilascio dei detenuti palestinesi. E mentre a Gaza si vive un apparente cessate il fuoco, in Cisgiordania la situazione sta per precipitare.

Esteri 24_02_2025
(AP Photo/Abdel Kareem Hana) Associated Press / LaPresse Only italy and Spain

Dovevano essere rilasciati contemporaneamente agli ostaggi detenuti a Gaza. Ma Israele ha, per ora, bloccato il rilascio di centinaia di detenuti, violando così l’accordo. L’Ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ieri, domenica mattina, ha diffuso una nota: «In seguito alle ripetute cerimonie che umiliano i nostri ostaggi e alla speculazione a fini propagandistici, è stato deciso di ritardare il rilascio dei terroristi, fino a quando non sarà assicurato il rilascio dei prossimi ostaggi senza le cerimonie umilianti». Decisione questa che mette a rischio l’avvio della seconda fase dell’accordo, oltre ad esporre ad ulteriore pericolo gli ostaggi ancora trattenuti nei tunnel di Gaza.
Le acque, dunque, tornano ad essere agitate non solo nell’enclave, ma in tutta la Palestina.

Mentre a Gaza si vive un cessate il fuoco apparente, lo scontro tra Israele e Hamas si è spostato ora sul fronte mediatico. Una guerra che non ha confini e che è entrata in tutte le case. Si tratta di quell’indecoroso e disumano spettacolo inscenato da Hamas per il rilascio degli ostaggi. In quest’ultimo caso, il settimo, il gruppo terrorista e i jihadisti hanno allestito la macabra messinscena su un palco allestito a Rafah, nel sud di Gaza. Altro spettacolo a Nuseirat, nel centro dell'enclave dove un ostaggio è stato costretto a baciare sulla fronte due miliziani, mentre uno dei prigionieri, Hisham al-Sayed, un beduino israeliano, è stato consegnato alla Croce Rossa lontano dal palco, ma con musica a tutto volume, bandiere e miliziani armati. Ad assistere a questa disdicevole commedia una grande folla, compresi i bambini.  La liberazione dei sei israeliani è avvenuta dopo che nella notte Hamas aveva restituito il corpo di Shiri Bibas, la madre dei due bambini Kfir e Ariel, la cui salma doveva essere restituita già giovedì scorso. Al suo posto, chiusi sottochiave in una bara, c'erano i resti di una donna palestinese. Anche da parte israeliana, in occasione della liberazione dei prigionieri, avvenuta la volta precedente, si è fatto ricorso alla spettacolarizzazione del rilascio; inginocchiati per terra, i palestinesi mostravano delle magliette su cui era riportata la scritta: «Non dimenticheremo, né perdoneremo».

Ma ora si è passati ad un’altra strategia: le minacce, le intimidazioni. Il primo ministro Benyamin Netanyahu usa la stessa frase riportata sulle magliette dei palestinesi rilasciati, ma promette che farà di tutto per riportare a casa gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, sia vivi che morti, e garantendo, allo stesso tempo, che Hamas pagherà un prezzo molto alto.

Ma cosa accadrà ora che la prima fase dell’intesa si è conclusa? Secondo la tabella di marcia ci dovrebbe essere un nuovo accordo che prevede il rilascio di tutti gli ostaggi ancora in vita – circa 24 –  in cambio della fine definitiva della guerra e del rilascio di altri detenuti palestinesi. Il Forum delle famiglie degli ostaggi rivolge al governo israeliano un’ennesima richiesta, di trovare cioè il modo più giusto, saggio e rapido per riportare a casa i loro cari. «Non lasciateli lì nelle mani di quegli assassini vili», hanno dichiarato.

Nel frattempo, in Cisgiordania la situazione sta per precipitare. L’ordine è radere al suolo tutto ciò che è rimasto ancora in piedi nei campi profughi, abbattendo anche gli scheletri degli edifici che hanno resistito alla devastazione degli attacchi. Anziani, donne e bambini non potranno più così ospitare terroristi o fiancheggiatori indomiti che non intendono rinunciare alle ostilità. Le ruspe sono entrate in azione nel campo profughi di Tulkaren e nel vicino accampamento di Nur Shams, nella Cisgiordania nord-occidentale. Ma anche a Jenin, dopo ventitré anni, una divisione di carri armati ha fatto il suo ingresso in città, pronta ad agire in tutta la Cisgiordania. Per il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che ha visitato la zona,  rendere i campi profughi luoghi invivibili è l’obiettivo primario del suo governo. Ha dato l’ordine al ministro della Difesa, Israel Katz, che lo accompagnava nel sopralluogo, di intensificare le azioni in tutta la Giudea e Samaria, quella parte della Palestina così denominata dagli ebrei, a “caccia” di terroristi. «Finora 40mila palestinesi sono stati evacuati dai campi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, che ora sono disabitati. Anche l’attività dell’Unrwa è stata interrotta», ha aggiunto il ministro Katz.

Se Netanyahu, da una parte ordina di intensificare le azioni militari, dall’altra i gruppi terroristici hanno reagito con un attacco, fortunatamente fallito, a Tel Aviv. Secondo le ricostruzioni, l’attentato rappresentava una rappresaglia per l’operazione militare denominata Muro di ferro, che dallo scorso 21 gennaio sta stringendo in una morsa la Cisgiordania. Ma anche in opposizione alla politica del presidente americano, Donald Trump, che si è pronunciato a favore della cacciata dei palestinesi da Gaza, con l’intento di ricostruire la Striscia senza di loro.
I tre autobus vuoti sono esplosi in rapida successione nei parcheggi dei sobborghi di Tel Aviv, di Bat Yam e Holon, e una o due bombe sono state scoperte su altri mezzi a Holon. Fortunatamente non si registrano vittime. Gli ordigni sarebbero dovuti esplodere quando i mezzi pubblici erano pieni di pendolari. L’attentato è fallito a causa di un errore nella programmazione dell’orologio annesso. Due ebrei e un palestinese sono stati arrestati. Sebbene il Battaglione Tulkarem di Hamas abbia elogiato le esplosioni non ne ha rivendicato l'attentato.
In risposta all’attacco i vertici dell’esercito hanno inviato tre battaglioni a Tulkarem e a Jenin, dando l’avvio a nuove operazioni militari. Dura anche la reazione di Netanyahu che ha minacciato rappresaglie non solo nei confronti dei combattenti della Palestina, ma anche di quelli di Hamas a Gaza.

Dalle parole ai fatti e la risposta non si è fatta attendere. Ben quattordici abitazioni sono state abbattute; la rete idrica, le fognature e l’elettricità sono state messe fuori uso. Oltre alle case e ai negozi, diverse automobili sono state schiacciate dalle ruspe e ridotte a lamiere. Una distruzione a tutto campo per costringere gli abitanti ad abbandonare quelle zone.
E ad imporre ai proprietari di case e terreni di “gettare la spugna” ci pensano anche gli ebrei ultraortodossi, che sotto lo sguardo attento e la protezione dei militari con la Stella di Davide, hanno attaccato il villaggio di Deir Dibwan, a est di Ramallah. I coloni si sono impossessati di 800 pecore, tre cavalli e due asini, nonché di cisterne d’acqua, caricate poi su un automezzo, mentre i militari, entrati nella casa del proprietario, si sono impossessati delle registrazioni, che avevano ripreso quanto accaduto dalle telecamere di sicurezza installate dallo stesso proprietario. La reazione non si è fatta attendere, sabato sera, un gruppo di abitanti della zona, con manganelli, coltelli e pietre, hanno attaccato civili israeliani nei pressi del villaggio e sono poi fuggiti.  Due ebrei sono rimasti feriti e sono stati trasportati in ospedale per le cure del caso.

Ma le provocazione si sono estese anche a Gerusalemme, dove un folto gruppo di coloni israeliani ha nuovamente preso d'assalto il complesso della moschea di Al-Aqsa per eseguire riti talmudici, sotto la protezione dei soldati.



Il punto

Dagli ostaggi al piano di Trump, ancora tensioni Israele-Hamas

17_02_2025 Nicola Scopelliti

Nuova disumana sceneggiata da parte di Hamas per la liberazione di tre ostaggi israeliani. E anche Israele cade in un errore simile. Rubio ha incontrato Netanyahu per discutere del piano di Trump sulla Striscia di Gaza. E intanto precipita la situazione in Cisgiordania.