La guerra che può far saltare il Medio Oriente
All'improvviso ci siamo ricordati che la guerra in Siria non è solo «una questione loro», ma un conflitto che può avere grosse ripercussioni sull'intero Medio Oriente. È successo dopo che l'altro giorno un raid dell'aviazione di Israele ha colpito alcuni mezzi all'interno dei confini siriani.
All'improvviso - nelle ultime ore - ci siamo ricordati che la guerra in Siria non è solo «una questione loro», ma un conflitto che può avere grosse ripercussioni sull'intero Medio Oriente. È successo dopo che l'altro giorno un raid dell'aviazione di Israele ha colpito alcuni mezzi all'interno dei confini siriani.
Secondo l'intelligence israeliana si trattava di un convoglio diretto in Libano per portare «al sicuro» nelle mani degli Hezbollah alcuni missili a lunga gittata. I dettagli sull'azione militare li abbiamo imparati da fonti esterne a Israele (non dimentichiamo che la stampa israeliana è sottoposta alla censura militare). Ma già nei giorni scorsi che qualcosa stesse succedendo si era capito quando erano state spostate sul fronte Nord - ad Haifa - due batterie dell'Iron Dome, il sistema di difesa antimissile sperimentato durante l'ultima guerra a Gaza.
A questa azione israeliana Assad ha risposto (come prevedibile) agitando la bandiera dell'«aggressione sionista», una delle ultime armi che gli sono rimaste. E Damasco ha addirittura aggiunto che ci sarebbe stato pure un secondo raid degli aerei con la stella di Davide che avrebbero colpito un'installazione militare alla periferia della capitale. È probabile, però, che in questo secondo caso sia stata mascherata come attacco israeliano un'azione dei ribelli siriani.
Sta di fatto - comunque - che ieri pomeriggio anche da Teheran si sono sentiti toni minacciosi, con il vice ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian che ha dichiarato che «ci saranno serie conseguenze per la città di Tel Aviv».
Ci troviamo, allora, sull'orlo di una pericolosa escalation che potrebbe allargare anche a Israele il conflitto siriano? In realtà si tratta di un'eventualità abbastanza improbabile: né Israele, né l'Iran, né la Siria oggi hanno alcuni interesse a far superare alla tensione una certa linea rossa. Sia il raid dell'altro giorno sia le minacce iraniane sembrano essere azioni dimostrative.
Tutto sotto controllo, allora? Non proprio. Perché il problema vero che sta sotto anche a queste scaramucce è un altro.
Da anni la questione iraniana ruota attorno al mantra del nucleare iraniano. Periodicamente si dà per certo che l'attacco israeliano agli impianti per l'arricchimento dell'uranio sia dietro l'angolo. E probabilmente Benjamin Netanyahu l'avrebbe anche già lanciato se - oltre a Washington - su questa prospettiva non fosse perplessa anche una parte consistente dell'establishment militare israeliano. Solo che intanto la guerra vera all'Iran è già iniziata da tempo.
Perché il conflitto siriano è diventato chiaramente questo: dietro al volto di Assad - e sulla pelle del popolo siriano - quella che si sta combattendo è la guerra dell'Arabia Saudita e degli emirati del Golfo Persico contro Teheran, che ha nel regime alawita un alleato fondamentale. E l'avanzata dei ribelli rappresenta un chiaro arretramento dell'Iran nella regione (senza dimenticare quanto sta accadendo nel vicino Iraq, dove guarda caso ha ripreso vigore il sanguinoso scontro tra sunniti e sciiti).
Per dirla in maniera chiara: mentre noi continuiamo a discutere del conto alla rovescia all'atomica degli ayatollah, delle sanzioni o dei raid aerei israeliani, il confronto con l'Iran lo stanno vincendo i sauditi. E lo stanno facendo attraverso i movimenti fondamentalisti che in Siria appaiono ogni giorno più forti. Il che non è affatto rassicurante: all'egemonia di Teheran si va sostituendo un estremismo islamico di matrice opposta, ma non per questo meno pericoloso.
Il problema degli arsenali militari di Damasco è emblematico del pasticcio di un Occidente senza una visione sul Medio Oriente: Israele è giustamente preoccupato che le armi di distruzione di massa non vadano a finire nelle mani di Hezbollah. Ma se rimangono in Siria e finiscono nelle mani dei gruppi qaedisti il suo futuro sarà più tranquillo?
A conferma di quanto il problema sia serio ci sono le notizie ormai praticamente quotidiane che arrivano dalla Siria sui volti dell'islamizzazione radicale delle zone controllate dai ribelli. L'altro giorno il quotidiano Hurriyet raccontava che in Turchia anche lo storico monastero di Dayr al Zafaran - per secoli la sede del patriarcato assiro - ha aperto le porte per ospitare i rifugiati.
Interessante però è la motivazione: ha dovuto farlo perché i cristiani fuggiti dalla Siria non ne vogliono sapere di andare nei campi profughi turchi, dove evidentemente non si sentono al sicuro. Ieri invece da Mayadin - una città di 54mila abitanti sull'Eufrate, nell'est della Siria - è arrivata la notizia che il Fronte al Nusra, una delle principali milizie radicali, ha vietato alle donne di indossare i pantaloni: d'ora in poi dovranno indossare un velo nero dalla testa ai piedi. Rischia molto seriamente di essere questa l'alternativa agli ayatollah. Grazie anche a un Occidente che queste contraddizioni continua a far finta di non vederle.