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LA STORIA

«La grazia di aver avuto Stefano, figlio down»

«Quando l’ho preso fra le braccia dopo il parto era bellissimo, aveva perfino gli occhi blu, come la sua nonna». Comincia così il racconto di Laura Maiocchi, mamma di Stefano. Oggi il ragazzo ha 19 anni, ama sciare, nuotare, leggere, scrivere. Stefano è nato down e a Laura ha cambiato la vita.

Cronaca 29_05_2016
Laura Maiocchi

Stefano Maria, 19 anni ama sciare, nuotare, leggere, scrivere, dipingere soprattutto ad acquerello, servire a tavola con lo stile sobrio ed elegante dei camerieri cinque stelle. Stefano ama pregare con la sua mamma, andare a Messa la domenica, ma anche visitare il Louvres o una mostra di Picasso. Stefano ha la sindrome di Down, ma non ha alcuna delle patologie connesse alla Trisomia 21, neppure un soffio al cuore. 

«Quando l’ho preso fra le braccia dopo il parto era bellissimo, aveva perfino gli occhi blu, come la sua nonna; anche l’indice di Apgard che valuta l’efficienza delle funzioni vitali era perfetto. Ma, già il secondo giorno dopo la nascita, la profonda gioia che mi aveva travolto era “minacciata” da un primo sospetto clinico: la manina sinistra del mio bambino aveva una linea con una direzione diversa, molto simile a quella presente nella Trisomia 21 e la cute della nuca presentava una certa lassità, “forse” fuori dai parametri. Occorreva verificare con l’esame Cariotipo se c’era la presenza del terzo cromosoma», racconta Laura Maiocchi, professoressa di Lettere all’Istituto Santa Gemma di Milano e mamma di Stefano.

«In quel momento», continua, «mi sono resa conto che la frase che mi era stata detta “Signora, complimenti, tutto bene: è un bel bambino!”, stava dando alla mia vita un aspetto diverso. Mesi prima, all’inizio della gravidanza il ginecologo aveva avvertito delle irregolarità negli esiti dei primi esami che mi avevano “costretta” a pensare a una eventuale malattia del mio bambino. A quella ipotesi avevo reagito dicendomi che, comunque, avrei scelto per la vita e per la mia maternità. Poi in realtà si era trattato di un duplice errore di laboratorio. Incredibile. Ricordo perfettamente di aver concepito Stefano dopo un fantastico viaggio nel West degli Stati Uniti: avevo ancora dentro di me la grinta di Las Vegas, il calore della Death Valley, le scenografie dei parchi del Colorado. Ma soprattutto non posso dimenticare la felicità che ho provato quando ho visto comparire le due barrette blu indice di gravidanza sul test. Questa gioia che si mescolava alle immagini del viaggio, alla gratificazione di aver finalmente realizzato il sogno, diventare mamma, era inimmaginabile!». 

Una sonorità intensa ha accompagnato Laura per tutto il tempo della gestazione. Ora, però, quel dubbio clinico -  che non si doveva divulgare perché non c’era ancora una reale diagnosi, e non bisognava etichettare il bambino qualora il sospetto fosse stato smentito - aveva rotto l’incantesimo. Stefano era sempre bellissimo, ma c’era anche un’angoscia che non era stata messa in conto. Per due volte il test del cariotipo, l’analisi dei cromosomi ha dato esito positivo. Il dubbio era stato sciolto, la vita, inutile negarlo, aveva preso una direzione diversa rispetto a quella sognata. 

«Anche, se forse, i segni premonitori di una quotidianità non facile non erano mancati: la mia vita matrimoniale è sempre stata scandita dal limite: la malattia di mio suocero, la disabilità di mio cognato, la morte prematura della mamma di Fabio, mio marito. E io ho spesso dovuto mettere da parte un po’ me stessa per fare gioco di squadra familiare». Ma, nonostante la diagnosi Stefano per Laura continuava a essere il più bel bambino del mondo. «Ero e sono infinitamente grata della mia maternità che mi ha permesso di conoscere un mondo “altro”, quello di chi riesce a fare tante cose solo se accolto con un sorriso, quello di chi chiede regalando un bacio al suo interlocutore. Da mio figlio ho imparato a essere più paziente, ad avere maggior rispetto per i ritmi degli altri anche se meno accelerati, a entusiasmarmi per ogni piccolo traguardo raggiunto. Soprattutto ho imparato a guardare la realtà come a una presenza buona, anche se faticosa e che troppo spesso richiede forza per combattere contro un mondo che tende a far fuori la persona, soprattutto se “apparentemente diversa”», racconta Laura. 

Certo è faticoso confrontarsi con un figlio che, a volte, fatica ad allacciarsi le scarpe, che al mattino impiega dieci minuti per lavarsi i denti,  ma è anche sfidante riuscire a dar voce ai suoi talenti, alle sue potenzialità. «Una neuropsichiatra con tono piuttosto duro nel corso di una visita mi aveva chiesto se avevo guardato in faccia mio figlio, se avevo colto la sua diversità e quindi la sua incapacità di fare le cose che fanno gli altri. Certo, che ero consapevole». Ma essere diversi non significa lasciare inespresse le proprie inclinazioni, non provare a integrarsi, non misurarsi con la realtà. Stefano fin da piccolo di interessi ne aveva molti e ha sempre frequentato le scuole, già dall’asilo, con tanta gioia. Le difficoltà non sono mancate, ma anche le gratificazioni si sono moltiplicate nel corso degli anni. 

«Ha più volte prestato servizio nelle cene a tema organizzate dalla scuola e lo ha fatto, mi dicono i suoi prof, con un’attenzione e un garbo che sono difficili da incontrare. Ovvio che a lui bisogna proporre un metodo di studio diverso dove i concetti vengono espressi attraverso metafore, immagini, canzoni». Con Stefano bisogna sempre avere a disposizione evidenziatori, matite, pennarelli, ma questa semplificazione è appassionante. «Attraverso mio figlio ho cambiato il mio atteggiamento nell’insegnare: uso maggiormente gli input emozionali, la drammatizzazione dei racconti, ricorro spesso a quei formidabili sussidi didattici che sono i colori e i suoni. Lui mi ha regalato una nuova visione del tempo, più connessa al presente e meno proiettata su futuro e passato».

«Stefano non fa progetti, per lui esistono solo le cose che succedono qui e ora, non parla di filosofia, non conosce i passi importanti del catechismo, ma recita il Rosario e si commuove quando fa la Comunione e segue la mia preghiera dell’Angelus e se qualcuno sta male è il primo a stargli vicino. L’anno scorso durante un viaggio a Lourdes facendo il barelliere si è accorto che un anziano solo era spesso triste gli si è avvicinato e gli ha tenuto compagnia. I genitori dei miei allievi hanno tante aspettative per i loro figli; li capisco, ma capisco anche che diversa è la mia: io desidero solo che lui sia accettato e amato per quello che è; non lo immagino grande primario ospedaliero, mi auguro che stia bene e che sia contento». 

Questo per Laura non ha significato scegliere la direzione del rinunciare o del perdere, ma stabilire nuove priorità, riorganizzare i valori. L’imperfezione molte volte è uno stimolo, traccia nuovi percorsi di gratificazione mentre capita anche che la perfezione, la normalità sottraggano slancio vitale. In questa maternità speciale Laura Maiocchi vede una grazia, quella di aver imparato a cogliere l’essenziale della vita che è il voler bene in modo gratuito. «Quando sono in difficoltà chiedo aiuto alla Madonna. Prima di aver partorito Stefano, ero molto cristocentrica. Anche dell’amore verso la mamma di Gesù devo dire grazie a mio figlio».