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IL CASO

La grande finanza all’assalto delle banche di tradizione solidale

Non è un periodo tranquillo quello che sta vivendo il sistema bancario italiano. Certo, ci sono i grandi istituti che ottengono, pur nell'odierna crisi,  buoni risultati, ma sono le banche di minor dimensione, quelle più vicine alla realtà territoriale e alle piccole e medie imprese, che si trovano alla prese con un difficile quanto controverso riassetto istituzionale.

Economia 25_11_2015
Il logo delle Banche di credito cooperativo

Non è un periodo tranquillo quello che sta vivendo il sistema bancario italiano. Certo, ci sono i grandi istituti che ottengono buoni risultati e che sembrano aver trovato una rotta all’interno di una congiuntura economica che mostra segnali positivi e sembra avviarsi ad una pur fragile crescita. Ma sono le banche di minor dimensione, quelle più vicine alla realtà territoriale e alle piccole e medie imprese, che si trovano alla prese con un difficile quanto controverso riassetto istituzionale.

In questa dimensione da una parte ci sono le maggiori Banche popolari che un decreto del governo dell’inizio dell’anno (clicca qui) ha obbligato a trasformarsi in società per azioni. Dall’altra c’è tutto il sistema delle banche di Credito cooperativo che per le pressioni congiunte di governo, Banca d’Italia e Banca centrale europea dovranno attuare una profonda riforma che farà perdere in gran parte ad ogni istituto la propria autonomia e che costringerà le singole banche ad entrare in un grande gruppo che le metterà in pratica sotto tutela. Sul fronte generale ci sono le difficoltà di singoli istituti di credito, difficoltà causate dai crediti incagliati a causa dalle difficoltà economiche che hanno accentuato gli errori di gestione che spesso si sono uniti a scelte imprudenti talvolta dettate da motivazioni politiche e di relazione. 

É stato così che nei giorni scorsi un decreto del governo ha in pratica chiuso e immediatamente riaperto quattro istituti di credito da tempo in amministrazione controllata. Si tratta di Banca Marche, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti, aziende che nel complesso hanno una quota di mercato significativa pari all’uno per cento dei depositi. Per ciascuna banca la parte “buona” è stata separata da quella in sofferenza con la ricostituzione del capitale sociale attraverso il Fondo interbancario di garanzia. 

Questa vicenda ha insegnato almeno tre cose: 1) la crisi delle quattro banche è stata risolta senza il ricorso ad alcun intervento finanziario dello Stato, al contrario di quanto avvenuto in Gran Bretagna o in Germania; 2) la crisi ha accomunato banche di diversa struttura giuridica: tre società per azioni e una Banca popolare, segno che i problemi di gestione prescindono dall’assetto istituzionale; 3) il sistema bancario nel suo complesso ha saputo offrire una soluzione interna allo stesso modo di quanto era avvenuto in passato con il passaggio del controllo di istituti in difficoltà ad altri istituti non necessariamente più grandi, ma comunque gestiti meglio. 

Questi elementi sono importanti perché ci troviamo di fronte ad uno scenario di profondi cambiamenti nel sistema delle banche in relazione alla progressiva creazione di quella che viene definita l’Unione bancaria europea. Ebbene questa evoluzione, sicuramente positiva perché mira a rafforzare la vigilanza e quindi la tutela dei risparmiatori e della trasparenza dei mercati finanziari, sta diventando anche l’occasione per smontare una delle parti fondamentali del sistema bancario italiano, appunto quello delle Banche popolari e delle Banche di credito cooperativo. Sarà un caso o una coincidenza, ma si tratta proprio dei modelli di banca nati alla fine dell’Ottocento secondo uno spirito di sussidiarietà, fortemente radicate sui territori, con una logica mutualistica e cooperativa. In molti casi si tratta di banche espressione del mondo cattolico, ma comunque nate dalle aggregazioni civili con la volontà di sostituire la solidarietà e la partecipazione ai meccanismi dell’usura.

Come afferma lo statuto di ogni Banca di credito cooperativo e delle Casse rurali: “La Banca ha lo scopo di favorire i soci e gli appartenenti alle comunità locali nelle operazioni e nei servizi di banca, perseguendo il miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche degli stessi e promuovendo lo sviluppo della cooperazione e l'educazione al risparmio e alla previdenza nonché la coesione sociale e la crescita responsabile e sostenibile del territorio nel quale opera. La Società si distingue per il proprio orientamento sociale e per la scelta di costruire il bene comune ”.

Le Bcc sono una realtà importante in Italia: si tratta di 371 istituti con 4500 sportelli in oltre 2500 Comuni e con oltre 1,2 milioni di soci. Si tratta di banche nate sulla fine dell’800 sul modello sviluppato in Germania da Friedrich Wilhelm Raiffeisen, da cui prendono il nome le banche di questo tipo sorte nei territori di lingua tedesca (Alto Adige compreso). La prima Cassa Rurale italiana viene costituita nel 1883 a Loreggia, in provincia di Padova, a opera di Leone Wollemborg, che prese a modello l'attività di Raiffeisen. Nel 1890 il giovane sacerdote don Luigi Cerutti fonda a Gambarare, in provincia di Venezia, la prima Cassa Rurale Cattolica. L’anno successivo l’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII diviene il manifesto del movimento delle Casse rurali. Ebbene questo sistema rischia di essere fortemente rivoluzionato secondo la logica della grande finanza, quella stessa finanza che ha dato origine alla grande crisi che stiamo vivendo da sette anni.

È la logica del capitale, e quindi della società per azioni al posto delle società cooperative; è la logica della contendibilità, e quindi dell’instabilità del controllo e della gestione; è la logica del rendimento finanziario, e quindi degli investimenti a breve termine rispetto ai finanziamenti all’economia reale e alle piccole e medie imprese; è la logica del “chi paga comanda” e non della partecipazione espressa dalla prassi connaturata allo spirito cooperativo del voto capitario, cioè ogni persona conta per uno indipendentemente dal numero di azioni che possiede. Le Bcc sono state quindi “invitate” dalla Banca d’Italia e dal governo a mettersi sotto l’ombrello di una grande holding che dovrà avere la forma della società per azioni, un invito abbastanza perentorio perché l’alternativa è drasticamente il ritiro della licenza bancario e quindi la chiusura della banca. 

Le prossime settimane saranno decisive. Le Bcc stanno tentando una difficile autoriforma cercando un compromesso tra la logica capitalistico-finanziaria delle autorità e lo spirito cooperativo-mutualistico che le ha sempre contraddistinte. Ma come avvenuto all’inizio dell’anno con le Popolari non si esclude un intervento a gamba tesa del governo, un intervento per imporre il pensiero unico del capitale a questi istituti che hanno continuato ad avere il brutto vizio di parlare di solidarietà, sussidiarietà, sostenibilità, partecipazione, cooperazione. Tutte parole, queste ultime, che sui mercati finanziari non hanno significato. Con i risultati che purtroppo abbiamo visto.