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CIRCUITO MEDIATICO-GIUDIZIARIO

La giustizia perde credibilità con le faide dei magistrati

Chi aveva pensato che il caso Palamara potesse rivelarsi il peggio della storia della magistratura italiana dovrà ricredersi, alla luce di quanto sta accadendo nelle ultime settimane. Alcune toghe ed ex toghe continuano ad alimentare deplorevoli faide intestine, anche in televisione. Mattarella li riprende, il ministro Bonafede non si muove

Editoriali 19_06_2020
Nino Di Matteo

Chi aveva pensato (e sperato) che il caso Palamara potesse rivelarsi il capitolo più buio della storia della magistratura italiana dovrà forse ricredersi, alla luce di quanto sta accadendo nelle ultime settimane.

Nonostante la pandemia, l’emergenza sanitaria non ancora conclusa, la drammatica escalation socio-economica, alcune toghe ed ex toghe continuano ad alimentare deplorevoli faide intestine, approfittando del vuoto politico che si è creato da tempo nel nostro Paese e sfruttando al massimo le opportunità mediatiche a disposizione. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo ieri alla cerimonia per gli anniversari dell’uccisione di generosi magistrati come Guido Galli, Rosario Livatino e Girolamo Minervini, è tornato sul caso Palamara e ha evidenziato che quelle vicende «sono in amaro contrasto con l'alto livello morale delle figure che oggi ricordiamo».

Mattarella ha sottolineato ieri che sono emerse “gravi e vaste distorsioni” nelle decisioni del Consiglio superiore della magistratura (Csm) e ha aggiunto: «La documentazione raccolta dalla Procura della Repubblica di Perugia - la cui rilevanza va valutata nelle sedi proprie previste dalla legge - sembra presentare l'immagine di una magistratura china su se stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all'attribuzione di incarichi. Questo fenomeno si era disvelato nel momento in cui il Csm è stato chiamato, un anno addietro, ad affrontare quanto già allora emerso. Quel che è apparso ulteriormente fornisce la percezione della vastità del fenomeno allora denunziato; e fa intravedere un'ampia diffusione della grave distorsione sviluppatasi intorno ai criteri e alle decisioni di vari adempimenti nel governo autonomo della magistratura. Sono certo che queste logiche non appartengono alla magistratura nel suo insieme, che rappresenta un ordine impegnato nella quotidiana elaborazione della risposta di giustizia rispetto a una domanda che diventa sempre più pressante e complessa».

La dura requisitoria sul malcostume di certe toghe è anche servita al Capo dello Stato per ribadire i confini dei suoi poteri: «Si odono talvolta esortazioni, rivolte al Presidente della Repubblica, perché assuma questa o quell'altra iniziativa, senza riflettere sui limiti dei poteri assegnati dalla Carta ai diversi organi costituzionali. In questo modo si incoraggia una lettura della figura e delle funzioni del Presidente difforme da quanto previsto e indicato, con chiarezza, dalla Costituzione. Ho ritenuto, e ritengo, di avere il dovere di non pretendere di ampliare la sfera dei poteri costituzionali del presidente».

Dal punto di vista costituzionale Mattarella ha ragione. Dovrebbe essere eventualmente il Guardasigilli Alfonso Bonafede ad aprire un procedimento disciplinare, come già fatto per Palamara, nei confronti del Pm Nino Di Matteo, per le sue recenti dichiarazioni e insinuazioni. Titolare dell’azione disciplinare, oltre al Ministro della Giustizia, è il Procuratore generale della Cassazione. Il Consiglio superiore della magistratura, presieduto dal Capo dello Stato, è giudice, attraverso la sua sezione disciplinare. Ma in questa fase Bonafede sembra più preoccupato di disporre ispezioni a scopo propagandistico, come quella per la scarcerazione del boss di Mafia Capitale e della Banda della Magliana, Massimo Carminati, che peraltro aveva diritto alla scarcerazione sin da ottobre, quando la Cassazione si pronunciò su di lui.

Intanto, però, il clima nella magistratura diventa sempre più incandescente. Per misurare il termometro dello scontro tra correnti della magistratura basta seguire la domenica sera su La7 la trasmissione Non è l’Arena, condotta da Massimo Giletti. E’ stato sicuramente merito di questo talk show l’aver sollevato la questione della scarcerazione dei boss mafiosi a seguito del Covid-19, e l’aver costretto il Ministro della giustizia, Alfonso Bonafede a fare marcia indietro. Anche il cambio alla guida del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) è figlio di quella polemica divampata negli studi televisivi della Tv di Urbano Cairo. Domenica scorsa Giletti ha intervistato il Pm Nino Di Matteo, che ha il “dente avvelenato” con il Ministro Bonafede, che due anni fa non lo nominò alla guida del Dap, come invece lui avrebbe voluto. Di Matteo ha attaccato in modo pesantissimo Luca Palamara, raccontando una storia davvero inquietante: «Un anno fa, in un intervento ad Atlantide, trasmissione di Andrea Purgatori, visto che era l’anniversario della strage di Capaci, io mi limitai a riportare una serie di sentenze, senza fornire anticipazioni sulle indagini. Il lunedì mi informarono che ero stato estromesso dal pool che indagava sulle stragi ed entità esterne». Di fronte all’incredulità del conduttore, Di Matteo ha rincarato: «Sfogliando le carte dell'inchiesta di Perugia venni a sapere che Palamara si era molto lamentato per la mia inclusione nel pool, e quando fui estromesso accolse la notizia con grande soddisfazione».

Ma Di Matteo continua ad essere un fiume in piena anche dopo aver pronunciato quelle frasi gravissime in Tv, che gettano ulteriore discredito sulla credibilità della magistratura. Ieri, sulla nomina di Raffaele Cantone al vertice della Procura di Perugia, competente a coordinare l’indagine sul caso Palamara, ha espresso senza mezzi termini il suo dissenso, considerando Cantone espressione della politica, essendo stato nominato anni fa dal Consiglio dei Ministri dell’epoca a capo dell’Autorità Anti-corruzione. Di Matteo avrebbe preferito al posto di Cantone, al vertice della Procura di Perugia, l’attuale procuratore aggiunto di Salerno, Luca Masini, legato al suo giro, che è anche il giro di Piercamillo Davigo.

Dunque il Csm si conferma ostaggio dei bizantinismi e delle diatribe correntizie e la magistratura continua a perdere sempre più credibilità, non solo per la diffusa immoralità che emerge da alcune inchieste, ma anche per il permanente cortocircuito con il mondo dell’informazione e della politica, che compromette irreparabilmente il requisito dell’autonomia delle toghe, architrave del nostro ordinamento democratico.