La giustizia ad orologeria distrugge la politica
Con puntualità svizzera, nell’approssimarsi di importantissimi appuntamenti elettorali, arriva la nuova valanga giudiziaria. Ma l'assoluzione, dopo nove anni, di Mastella e Del Turco dovrebbe indurre a massima prudenza nell'esprimere giudizi prima del tempo. Si può essere assolti, ma intanto la reputazione e la carriera sono distrutte.
Con puntualità svizzera, nell’approssimarsi di importantissimi appuntamenti elettorali, referendari, regionali e nazionali, sembra intravvedersi una nuova valanga giudiziaria. Sono solo segnali, indizi, nulla di certo, ma si ha l’impressione che alcune procure si stiano svegliando con inchieste eclatanti, destinate a condizionare l’esito delle urne.
E’ forse scontato che le forze politiche coinvolte gridino alla giustizia a orologeria, ma un dubbio sull’autenticità e la genuinità di certe inchieste bisogna quanto meno porselo. Nel nostro ordinamento esiste la presunzione di innocenza, per cui tutte le persone interessate agli arresti e ai rinvii a giudizio degli ultimi giorni non possono in alcun modo essere considerate colpevoli fino a condanna definitiva. Il problema, però, è l’inevitabile onda mediatica, che ha già sbandierato ai quattro venti l’identità e i volti di amministratori locali finiti in manette con accuse gravi ma ancora tutte da provare. La loro carriera politica è comunque compromessa, a prescidere dal fatto che possano uscire puliti dalle inchieste. Il giustizialismo mediatico è difficile da contrastare, soprattutto nell’era di internet e dei social, e quindi certe procure dovrebbero davvero utilizzare la massima cautela nel diffondere informazioni la cui diffusione diventa poi incontrollata.
Questo vuol dire che va preservato l’equilibrio democratico tra i poteri, la distinzione tra di essi e che la magistratura non deve debordare dai confini delle sue funzioni e non deve svolgere impropri ruoli suppletivi di selezione della classe politica. Questo significa altresì che l’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria dovrebbe rispondere a criteri deontologici ancora più vincolanti, soprattutto per ciò che riguarda la pubblicazione di intercettazioni.
Tutto ciò non equivale, però, ad assolvere i partiti. La corruzione è un dato di fatto innegabile, ad ogni livello decisionale e istituzionale, e nè la destra nè la sinistra hanno dimostrato sufficiente sensibilità nell’emarginare quei soggetti cosiddetti recidivi, che vengono spesso presi “con le mani nella marmellata” e che, nonostante tutto, continuano a pretendere di fare politica e a condizionare la vita interna ai rispettivi partiti.
Le ultime due inchieste a far discutere sono molto diverse tra loro e riguardano due regioni che saranno chiamate al voto per il rinnovo degli organi di governo regionali nella prossima primavera: Lombardia e Lazio.
Quella lombarda è certamente più grave e riguarda le presunte infiltrazioni mafiose nelle istituzioni, con imprenditori e politici in odore di ‘ndrangheta, pronti a scambiarsi favori, soldi e voti. Edoardo Mazza, sindaco di Seregno eletto nel 2015 con Forza Italia, è agli arresti domiciliari per aver aiutato Lugarà, un imprenditore edile legato alle cosche, che voleva ottenere una convenzione per realizzare un centro commerciale nel centro brianzolo. Lui è uno dei 24 arrestati nell’operazione dei carabinieri per reati che vanno dall’associazione di tipo mafioso all’estorsione. Tra gli indagati per corruzione c’è peraltro una ormai vecchia conoscenza delle procure, il consigliere regionale di Forza Italia, Mario Mantovani, già arrestato due anni fa in un’altra inchiesta. Sarebbe lui il collegamento tra l’imprenditore Lugarà e il sindaco di Seregno.
Quella romana riguarda invece le “spese pazze” di 16 ex consiglieri regionali del Pd del Lazio, ora rinviati a giudizio. Le accuse si riferiscono al periodo 2010-2013 e riguardano l’utilizzo dei fondi regionali anche per l’acquisto di servizi in realtà mai erogati dalle società coinvolte. I reati contestati a vario titolo vanno dal peculato all’abuso d’ufficio, dalla corruzione alla truffa. Anche in questo caso ci sarà un processo e bisognerà appurare le effettive responsabilità. Nel frattempo, però, considerata l’imminente campagna elettorale, andrebbe coltivata un po’ di cautela da parte di chi indaga e fornisce le notizie ai giornalisti.
Oltre alla vicenda di Clemente Mastella, assolto dopo nove anni, ci sono stati, infatti, nelle ultime ore, altri due verdetti sorprendenti, che ribaltano convinzioni “colpevoliste” alimentate per anni dai media. La prima riguarda Ottaviano Del Turco, assolto dalla Corte d’Appello di Perugia “perché il fatto non sussiste”, dopo essere stato arrestato nove anni fa mentre era governatore della Regione Abruzzo con l’accusa di associazione a delinquere. In quella circostanza la volontà popolare fu sovvertita perché la giunta fu sciolta e si tornò a votare. La seconda riguarda Filippo Penati, ex sindaco di Sesto, ex Presidente della Provincia di Milano ed ex capo della segreteria politica di Bersani, assolto dalla Corte d’Appello di Milano dopo essere stato accusato di corruzione e finanziamento illecito dei partiti. Anche per lui, nel 2010, carriera politica stroncata per volontà di una Procura. Siamo proprio sicuri che non ci sia un modo per punire in modo giusto e implacabile i colpevoli di reati gravi senza cedere alla tentazione del massacro giudiziario e mediatico degli indagati?