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a cura di Andrea Zambrano

uno sguardo in alto

La giornata perfetta

Fuori schema 10_01_2023

Oggi è una di quelle giornate che io chiamo, un po' irenisticamente, "giornata perfetta". Mi basta vedere il profilo monumentale delle Alpi che si aprono a nord delle nostre plaghe argillose e subito mi prende un desiderio quasi compulsivo di poterle godere.

E' un desiderio che rimane strozzato nel pensiero e perciò frustrato: che cosa si può fare in una giornata perfetta come questa? Devo per forza fare qualcosa. Devo abbracciare, contenere, possedere questa maestosa estraneità. Ma una foto con un cellulare non riesce a contenere questo anelito. Ci vorrebbe almeno una mirrorless di nuova generazione, come quella del mio parroco, per provare anche solo timidamente a carpire un solo frammento di questo eterno massiccio che oggi si è svelato a me.

Immagino allora di sorvolare con un aliante tutto lo skyline e immergermi in silenzio nella neve che la tramontana rende luccicante e scolpita, o di poter sciare da parte a parte seguendo da ovest a est il filo tracciato alle scuole elementari del ma-con-gran-pena-le-reca-giù.

Poi mi rendo conto che non mi basterebbe e il desiderio si esaurirebbe in un'insoddisfazione che non è capace mai di riempire l'inquietudine che cerca la sua pace.

Deve essere per questo che i padani sono gente così concreta e poco sognatrice, che tiene gli occhi sulla terra, che è bassa. E da noi, dire che la terra è bassa equivale a dire che lavorarla è faticoso e spesso umliante. I nostri inverni si susseguono nella ripetitività di un grigio mono-tòno incapace di farci alzare lo sguardo. Testa bassa e lavorare che ad alzarla non si vede niente di interessante.

Anche il vento non è un elemento della natura che a noi viene dispensato generosamente dal Creatore. Ci è estraneo e fastidioso, quasi alieno. 

E così che, d'incanto, nelle pochissime giornate in cui l'inverno ci appare in tutta la sua razionale e scarna chiarezza, cominciamo ad alzare la testa verso nord e vediamo che di fronte a noi si staglia una barriera protettiva, ma allo stesso tempo avida di desideri. Che ci sembra pure di non meritare. 

Siamo uno scatolone chiuso tra gli Appennini, che a noi significano soprattutto il sogno del mare, della trasgressione, della fuga e le Alpi, che quando ci vengono mostrate con facilità, ci danno la protettiva sensazione dell'inquieta pace.

Forse è per questo che la montagna ci ricorda l'esperienza del divino: "Il mio cuore è inquieto finché non riposa in te". La stessa inquietudine, lo stesso senso di spaesata e insufficiente ammirazione che abbiamo di fronte alle catene che ci vengono offerte nella giornata perfetta.