Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
KENYA, NIGERIA, UGANDA

La generazione Z africana che si ribella alla corruzione

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In Kenya, Uganda e Nigeria i giovani nati nel nuovo millennio si ribellano alla corruzione cronica. La fame e la disoccupazione li spingono in piazza. I vescovi stanno dalla loro parte.

Esteri 03_08_2024
Scontri a Nairobi (La Presse)

Sono ormai tre i paesi africani in cui i giovani, la generazione Z, protestano contro la corruzione e il malgoverno. Dopo il Kenya, dove le manifestazioni sono incominciate a giugno in seguito all’annuncio di nuove tasse, la protesta si è estesa all’Uganda, con una manifestazione indetta il 23 luglio, e alla Nigeria. Qui il 1° agosto, mobilitati con l’hashtag #EndBadGovernace, Stop al malgoverno, decine di migliaia di giovani si sono riversati nelle vie della capitale Abuja e delle  altre principali città. La manifestazione più imponente si è svolta a Kano dove adesso è stato imposto il coprifuoco. La polizia nega di aver usato proiettili veri, ma a Kaduna, capitale dell’omonimo Stato, sono stati già uccisi almeno tre manifestanti. A Lagos, il polo commerciale del paese, i giovani gridavano “ole” , che in lingua Yoruba vuol dire ladro, all’indirizzo del presidente Bola Tinubo e del suo governo. Secco ed eloquente, lo slogan che ha risuonato per tutto il giorno è stato “abbiamo fame”.

Benché sia il primo produttore africano di petrolio e la prima economia del continente, la Nigeria sta affrontando la peggiore crisi economica degli ultimi decenni, come il Kenya, ha accumulato un debito insostenibile, lo scorso anno ha evitato di dichiarare default solo grazie a nuovi prestiti di entità enorme. La svalutazione del naira, la valuta nazionale, e la rimozione di alcuni sussidi statali introdotti per contenere il prezzo al consumo di elettricità e benzina hanno fatto impennare il costo della vita. Molte famiglie ormai si possono permettere solo un pasto al giorno e sono sempre di più le persone che si procurano da mangiare frugando nella spazzatura.

Il presidente Tinubu, alla vigilia del “giorno della rabbia”, ha fatto appello alla pazienza, ha chiesto alla popolazione di dare tempo e fiducia al governo. La risposta è stata: “la fame è il motivo che ci unisce. Non puoi picchiare un bambino e chiedergli di non piangere”. Tinubu ha anche tentato di minimizzare e screditare gli organizzatori delle proteste dicendo che all’origine di tutto ci sono persone che cercano di mobilitare i giovani per i loro loschi motivi. Ma i vescovi nigeriani non sono di questo parere e ancora una volta coraggiosamente hanno deciso di scendere in campo contro il governo. Lo hanno già fatto in passato, e sempre più di frequente, per denunciare l’inefficienza, la corruzione, la cattiva amministrazione che hanno reso la Nigeria uno dei paesi più violenti e poveri del continente africano e inoltre quello al mondo in cui ogni anno muoiono più cristiani uccisi per la loro fede: 4.118 nel 2023, su un totale globale di 4.998.

Una dura posizione contro il governo era stata assunta dai vescovi cattolici lo scorso febbraio in occasione della loro prima assemblea plenaria dell’anno. «A causa delle riforme del governo, milioni di nigeriani sono stati ridotti a una vita di estrema povertà, di incredibile sofferenza e di indicibili difficoltà come mai prima nella storia della nostra nazione» si legge nella prolusione introduttiva all’Assemblea di monsignor Lucius Iwejuru Ugorji, arcivescovo di Owerri e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria.

Adesso, preoccupati per i possibili sviluppi della situazione se il governo continuerà su una linea di repressione e rifiuto di prendere il considerazione le richieste dei dimostranti, i vescovi nigeriani chiedono il rispetto del diritto di protestare “che non deve essere impedito con intimidazioni” e  delle risposte  sollecite e fattive alle richieste dei nigeriani. Ai giovani e all’intera popolazione si rivolgono con la preghiera di evitare che le proteste diventino violente, di impedire l’infiltrazione di gruppi criminali, di muoversi nel rispetto di tutti, anche di chi non intende partecipare alle manifestazioni, e di scongiurare il rischio di saccheggi e danneggiamenti a negozi e altre proprietà. In sostanza, i vescovi dicono ai giovani che hanno ragione e quindi di restare dalla parte della ragione.  

Anche i vescovi del Kenya sono schierati dalla parte dei giovani che in questo paese, per il coraggio di denunciare la corruzione di chi governa, hanno pagato un prezzo altissimo in termini di morti, feriti e arresti. Esponenti autorevoli della comunità ecclesiale hanno esplicitamente solidarizzato con loro, hanno approvato le proteste, i loro contenuti e il modo in cui le manifestazioni sono state gestite. La Conferenza Episcopale del Kenya ha esplicitamente detto di condividere la richiesta che si ponga fine alla corruzione generalizzata e al malgoverno, lo ha fatto in un documento pubblicato il 29 giugno e letto in tutte le parrocchie.

«La loro battaglia – ha detto in occasione di una delle ultime manifestazioni monsignor Philip Arnold Anyolo, arcivescovo della capitale Nairobi – ci ricorda che siamo uniti dalla lotta per il bene comune, ci chiedono di essere altruisti, di pensare all’altro come a noi stessi, ci chiedono di andare oltre i tanti confini e titoli che ci separano». Monsignor Anyolo si riferisce all’altra piaga che, insieme alla corruzione, devasta il continente africano: il tribalismo. Consapevole dei danni immensi che produce, per questo ha sottolineato ed esaltato la capacità dimostrata dai giovani di andare oltre le divisioni tribali, superarle e convergere nell’individuazione di chi e di che cosa deve cambiare.

Di loro monsignor John Oballa Owaa, vescovo di Ngong, dice in una intervista rilasciata all’agenzia di stampa Fides: «sono ragazzi che credono nei loro ideali e che portano avanti tematiche valide, fanno emergere i veri problemi della nostra società, i costi dei beni di consumo indispensabili, le tasse, la corruzione, l’alto tasso di disoccupazione anche tra quei giovani che hanno specializzazioni molto qualificate e che, nonostante anni e anni di studio, restano a casa, senza lavoro».

Anche in Kenya, dicono i vescovi cattolici, è essenziale che i giovani continuino a mostrare maturità e senso di responsabilità e che chi governa non ne tradisca le aspettative. La Chiesa da parte sua sta provando ad avviare un processo di dialogo tra i giovani e i leader politici. «Abbiamo mostrato ai ragazzi che le nostre chiese sono aperte – dice monsignor Owaa – li invitiamo a venire e mostrarci i loro problemi. Loro ci chiedono di non invitare i politici, di non farci strumentalizzare: le chiese sono e devono restare un luogo sacro ed evitare, come è successo, anche in alcune di quelle cattoliche, di venire politicizzate».

La prossima grande manifestazione si svolgerà l’8 agosto.