La Francia ci tratta male perché siamo instabili
Il presidente Macron, nonostante le aspettative dei suoi fans europeisti italiani, sta facendo gli interessi della Francia contro quelli dell'Italia. Ci tratta male, però, perché sul nostro versante vede solo debolezza, una leadership fragile, nessuna chiara investitura popolare e previsioni di una instabilità politica ancora più grave.
All’epoca della Brexit si diffuse un’ondata di sdegno nei confronti dell’egoismo nazionalista inglese, colpevole di aver scelto l’interesse nazionale sacrificando l’ideale europeista. Le recenti scelte di Macron ci dicono che anche i francesi, messi di fronte a un bivio, scelgono gli interessi nazionali, senza preoccuparsi più di tanto dei riflessi diplomatici e dell’armonia dell’Unione.
La nazionalizzazione dei cantieri Stx decisa dal presidente francese e benedetta perfino dalla sua acerrima rivale Marine Le Pen, che solo tre mesi fa le ha conteso l’Eliseo, è indicativa della disinvoltura con la quale a Parigi si concepiscono e si curano gli interessi nazionali e si trascurano i rapporti con gli alleati. Se a ciò si aggiunge l’attacco francese, neppure troppo elegante, alla certosina opera di tessitura italiana in Libia, ce n’è abbastanza per tirare alcune amare conclusioni.
La prima, come detto, è che Macron, anziché rivelarsi il rianimatore di un’Europa moribonda e malconcia, tramortita dalla Brexit e dalle incertezze economico-finanziarie, sta già mostrando tutto il suo temuto cinismo, che ricorda per certi aspetti quello di Matteo Renzi, se non fosse però che quest’ultimo non ha anteposto, come il neopresidente francese, gli interessi del proprio Stato a quelli europei, bensì quelli propri e del suo cerchio magico a quelli dell’Italia. Per di più il francese ha ricevuto un’investitura popolare solenne mentre il Matteo italiano è arrivato alla guida dell’Italia con un’operazione di palazzo e, dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre, pur avendo annunciato che avrebbe abbandonato la politica, ha preteso e pretende ancora di orientare il corso della politica nazionale con l’obiettivo di tornare a qualunque costo a Palazzo Chigi.
Questa differenza tra i due introduce anche un’altra amara conclusione. La scarsa credibilità dell’Italia agli occhi dei partner europei discende anche da questo. Nella legislatura che si avvia alla conclusione si sono succeduti vari governi, tutti contrassegnati dalla precarietà e dall’esasperata conflittualità tra gli alleati, col risultato che anche all’estero il nostro Paese è stato considerato inaffidabile e meritevole di essere trattato come semplice spettatore di decisioni prese altrove. In molte circostanze, francesi e tedeschi ci hanno trattato come alleati di serie B, mettendoci di fronte a fatti compiuti, senza coinvolgerci nei processi decisionali. Forse perché già pensano che faremo la fine di Belgio e Spagna e che la solidità dei governi italiani non è affatto assicurata.
Ora la tentazione del governo Gentiloni potrebbe essere quella di rendere pan per focaccia ai francesi, boicottando alcune loro operazioni commerciali e finanziarie, a cominciare dalla questione Telecom-Mediaset. Ma c’è da scommettere che Gentiloni non si lascerà trascinare nel vortice delle ritorsioni e proverà a giocare di sponda con i tedeschi per riequilibrare i rapporti di forza all’interno dell’Europa, facendo leva sul consistente livello di scambi commerciali italo-tedeschi. Se, dunque, l’accordo tradito dai francesi per quanto riguarda Fincantieri, con la nazionalizzazione decisa qualche giorno fa, risale ad un patto Renzi-Hollande ormai superato, e già segnato dalla debolezza incarnata dai due al momento di quella firma, oggi il governo italiano mira a far pesare di più i suoi interessi al tavolo negoziale, puntando sulla compattezza della squadra (Gentiloni, Padoan e Calenda ragionano e si muovono all’unisono, mentre tra Renzi e i due ministri spesso si registravano tensioni sulla linea da tenere a Bruxelles) e sul convinto supporto del Quirinale.
Pare che Mattarella stia incoraggiando molto nelle ultime ore il premier e i suoi ministri affinchè mantengano la barra dritta e preservino la loro autorevolezza nella partita diplomatica con Parigi. Che questo porti i frutti sperati è tutto da dimostrare. Anche perché la Merkel più di tanto non potrà darci una mano, essendo impegnata in una difficile campagna elettorale, che la farà molto concentrare sugli affari interni. E poi perché siamo noi ad andare incontro a una fase di instabilità. In prossimità della scadenza naturale della legislatura, i partiti di governo marcheranno le differenze tra di loro e gli scricchiolii che già si percepiscono su temi sensibili come lo ius soli sono destinati a indebolire progressivamente la posizione italiana in Europa.
A tutto questo va sommato il fatto che le previsioni per la prossima legislatura sono pessime in materia di governabilità, visto che il sistema proporzionale ci consegnerebbe, secondo i sondaggi, un Parlamento frammentato e rissoso. Per questo, oltre che per tante altre ragioni, dalla paralizzante burocrazia al devastante debito pubblico, in Europa siamo deboli, contiamo poco e conteremo ancora meno, sia per colpe di chi ci ha governato negli ultimi anni, sia perchè, nonostante la premurosa attenzione di Mattarella, la classe dirigente italiana non appare in grado di affrontare le sfide, anche internazionali, che l’attendono. E pensare che solo tre mesi fa, tutti i principali attori politici, da Matteo Renzi ai Presidenti delle Camere, brindavano all’elezione di Macron.