La finta dell'addio di Morales, già pronto a tornare
Gridando al golpe il dittatore boliviano Morales ha lasciato il Paese con la minaccia di “resistere per tornare”. Il suo partito (MAS) ha ancora la maggioranza in Parlamento. E a sostenere il dittatore uscente sono arrivati tutti i capi di stato sudamericani di sinistra membri del foro di San Paolo.
-IN CILE CHIESE SACCHEGGIATE. MA NON FA NOTIZIA di Nico Spuntoni
Dopo le dimissioni di Evo Morales, la Bolivia vive momenti di caos e incertezza. Il “Presidente indigeno”, come si era autoproclamato dall’inizio del suo governo nell’anno 2006, si era dimesso durante una trasmissione televisiva, affermando che aveva deciso di lasciare l’incarico dopo aver ascoltato i suoi “compagni” e la “Chiesa cattolica”. Però ha anche sottolineato che “la Bolivia supererà presto questo attacco, il colpo di Stato è stato consumato, le forze oscure hanno distrutto la democrazia”.
Così è partita la regia del dittatore. Subito dopo si sono scatenate le dichiarazioni di sostegno da parte dei leader della sinistra latino-americana. Iniziando dai dittatori di Cuba Miguel Díaz-Canel e del Venezuela Nicolas Maduro; passando da Manuel López Obrador in Messico, Lula Da Silva in Brasile; e arrivando a Cristina Kirchner e al neoeletto presidente Alberto Fernandez in Argentina, tra gli altri. Tutti membri del “Foro di San Paolo”, come viene chiamato il gruppo che riunisce i partiti e i movimenti di sinistra ed estrema sinistra latinoamericani. E così, da un giorno all’altro, alcuni media internazionali hanno trasformato la notizia delle dimissioni di Morales in un “colpo di Stato”.
Non a caso la violenza ha invaso le strade della Bolivia. Dopo le dimissioni, migliaia di boliviani sono scesi in piazza per festeggiare, ma la felicità è durata poco. I gruppi legati al partito di Evo Morales, il Movimento al Socialismo (Mas), hanno scatenato numerosi atti di vandalismo che ancora oggi mantengono la nazione sudamericana in ginocchio. Sui social si trovano centinaia di immagini devastanti, negozi e uffici governativi saccheggiati, numerosi feriti, e persino le case di alcuni giornalisti hanno sofferto attacchi. “Guerra civile”, “guerra civile”, è il grido di battaglia delle orde “masistas” (militanti del Mas) che hanno seminato il terrore nelle strade di La Paz.
L’hashtag #BoliviaNoHayGolpe è diventato trending topic su Twitter. Infatti, non c’è un colpo di Stato in Bolivia: Evo Morales si è dimesso dopo 21 giorni di resistenza di un popolo, in piazza, che non ha accettato la frode elettorale. Ha ceduto alla pressione delle strade, dopo che il rapporto preliminare dell’Organizzazione di Stati Americani (Osa) aveva confermato che il 23% delle schede elettorali esaminate avevano mostrato “gravi irregolarità”.
Morales si è dichiarato vincitore unilateralmente, annullando il ballottaggio. E non solo, “Evo Morales era già un candidato illegale, abbiamo partecipato alle elezioni perché non c'era altro modo per sconfiggere il presidente autoritario”, ha dichiarato Carlos Mesa, ex presidente della Bolivia e candidato presidenziale di opposizione.
Da ricordare che il 21 febbraio 2016 i boliviani avevano votato “no” in un referendum costituzionale voluto dallo stesso Morales, che aveva cercato di modificare la Magna Carta per consentire la sua rielezione indefinita. L'articolo 168 della Costituzione della Bolivia, in vigore dall’anno 2009, stabilisce che il Presidente può “essere rieletto solo una volta ininterrottamente”. Ecco, non ha rispettato il risultato del referendum e si è fatto autorizzare dal Supremo Tribunale elettorale (di maggioranza masista) per un terzo mandato, giustificando la decisione per motivi di diritti umani. Così Morales pretendeva una quarta rielezione, scavalcando ogni regola.
Ora è il turno del Parlamento. Dopo le dimissioni a catena dei Presidenti di Senato e Camera e anche del primo vicepresidente della Camera Alta, la senatrice di opposizione Jeanine Añez Chávez ha assunto la presidenza dell’Assemblea Legislativa e ha convocato una sessione straordinaria oggi (martedì 12 novembre) alle 16 per confermare le dimissioni del capo dello Stato e convocare nuove elezioni tra 90 giorni. Un compito molto difficile considerando che il Mas ha il controllo della maggioranza del Parlamento.
Il dittatore boliviano sarà ricevuto dal presidente del Messico, ma ha lasciato la minaccia di “resistere per tornare” nella sua lettera di dimissione. E accanto alla sua firma lo slogan del defunto Hugo Chavez, “Patria o morte!”.