La fine dell'emergenza è un pesce d'aprile
Non sarà un freedom day il primo di aprile, ma la beffa finale: finisce l'emergenza, ma rimane il green pass. Così si certifica che la nostra libertà è condizionata da un potere che fa uso di crediti sociali. La pandemia era una scusa. Sentir dire da Draghi che quanto «succede in Ucraina riguarda il nostro vivere da liberi» rende il tutto decisamente grottesco.
Non è il caso di imputare la colpa alle distrazioni del conflitto ucraino: la volontà di dimenticarsi di una fetta di italiani calpestati nei loro diritti è voluta e studiata. L’hanno chiamato freedom day, col provincialismo tipico di chi si affida all'inglese quando vuole camuffare gli intenti, ma il 1° aprile prossimo non sarà una Festa di liberazione 2.0, bensì una nuova tappa del processo di concessione condizionata di libertà per tutti i cittadini. Anche per quelli bi, tri, quadri - e chissà se penta - vaccinati i quali si illuderanno di essere tornati alla libertà per il solo fatto di avere un QR code sempre aperto tra le finestrelle del telefonino.
Invece per una fetta risicata, ma viva, pagante le tasse e votante della popolazione italiana, non ci sarà nemmeno quella illusione, tanto che la fine dello Stato d’emergenza annunciata da Draghi in pompa magna mercoledì a Firenze per loro significherà invece la certificazione della loro prolungata prigionia con la frustrazione che diventi eterna.
Dunque, lo Stato d’emergenza finirà il 31 marzo, ma con esso non finirà la pantomima della carta di circolazione che resterà ancora a lungo. Per quanto? Non si sa, «tempo indefinito» dice il decreto, che è peggio di eterno, proprio perché studiatamente assoggettante. Il fatto che la fine del Green pass non sia trainata dalla fine dell’emergenza mostra chiaramente, senza veli, senza scuse, che la carta verde non aveva nulla a che spartire con la sicurezza sanitaria. Ad agosto quando è stata introdotta ci credevano ancora tutti, ma ora dovrebbe essere palese: il Green pass non serve per proteggerci da una pandemia, perché con la fine dell’emergenza la pandemia, de facto, viene dichiarata debellata.
E quindi?
Quindi resta il cinismo di un premier, Mario Draghi, che annuncia in uno stabilimento industriale che il primo aprile sarà il giorno del ritorno alla libertà. E lo annuncia davanti a dei lavoratori che per poter lavorare e ascoltarlo devono essere greenpassati. Il messaggio pronunciato, dai toni goffamente rinascimentali in una delle eccellenze manifatturiere del Made in Italy, è questo: “l’Italia riparte dal lavoro”, peccato che per lavorare servirà un Green pass e chi non lo avrà sarà sospeso. Come accade adesso durante lo stato d’emergenza. Dunque, qual è la differenza?
La differenza è che la carta di circolazione smetterà di essere il pannicello caldo di chi si nasconde dietro un virus e diventerà il principale strumento di credito sociale di un Paese che non vuole vedere. Nel rinascimento di cui parla Draghi, il Green pass è strumento irrinunciabile e qualificante. I lavoratori che vanno bene per il rilancio del Paese sono dunque questi: quelli che si offrono al controllo pervasivo di un potere che calpesta così facilmente il primo articolo della Costituzione.
Dunque, «gradualmente» è la parola tranquillizzante. C’è un insostenibile cinismo in quel «gradualmente» accompagnato alla dismissione delle ultime restrizioni, che denota il disporre sine die della libertà degli italiani, come un Giucas Casella capace di svegliarci dall’incantesimo «solo quando lo dirò io». Però, fateci caso, nell’annuncio di Draghi la fine del Green pass non è mai adombrata.
Qualcuno ha provato a far finire l’incubo da subito, la Lega, ma ha fallito. Il fatto che oggi esulti per la fine dell’emergenza il 31 marzo non dicendo nulla sulle migliaia di lavoratori sospesi che continueranno a vivere senza stipendio e senza sapere mai quando tutto finirà, è la dimostrazione plastica dell’evanescenza del Carroccio.
È evidente che chi da oggi in avanti sosterrà politicamente l’obbrobrio del lasciapassare verde che porta con sé discriminazione, violazione di diritti e controllo generalizzato sganciato da qualunque scusa sanitaria, è complice di questo mostro. E per loro, intellettuali liberi come Carlo Lottieri, hanno usato parole decisive: «Quel QR segna il confine tra due mondi: o si sta da una parte, o dall’altra».
Sentir dire poi da Draghi che quanto «succede in Ucraina riguarda il nostro vivere da liberi» rende il tutto decisamente grottesco.