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TRA LE RIGHE

La fine del mondo storto

Che cosa succederà se un giorno il pianeta dovesse svegliarsi senza petrolio, carbone ed energia elettrica? Un romanzo di Mauro Corona per distinguere l'essenziale dal superfluo.

Tra le righe 05_02_2011
La fine del mondo storto

Siamo tutti viziati. Viziati e superbi, ci dice Mauro Corona. La fine del mondo storto, più che un romanzo, è un apologo che ricorda come il progresso sia una vernice sottile e il nostro benessere sia fragile: basterebbe poco per far implodere il nostro sistema di vita.

Immaginiamo che un giorno, improvvisamente, finiscano petrolio, carbone ed energia elettrica. In breve, la civiltà del moderno e del postmoderno andrebbe in crisi irrimediabile. Quel mondo che Lucrezio definiva vecchio e senescente, viene più rudemente chiamato da Corona un «mondo storto», storto come una pianta che, a un certo punto, ha iniziato a crescere male. Con la sua lingua volutamente semplicissima, che ricorda come Guareschi si vantasse di padroneggiare cinquecento parole per strigliare le troppo superficiali rese al peggio della modernità,

Corona bastona il consumismo e ci fa pensare: se fossimo ridotti all’essenziale, chi vivrebbe? Con la ferocia di chi guarda al sodo, l’autore delinea un quadro apocalittico, con una sola concessione: i sopravvissuti nell’ «inverno della morte bianca e nera», come viene chiamato, non praticano l’antropofagia, ma non per umanitarismo. Piuttosto, dovendo imparare nuovamente a seminare, zappare, sarchiare, comprendono di dover fare fronte comune contro la durezza della Natura.

Corona ha l’ironia feroce e aguzza di chi sa discernere l’essenziale dal superfluo: così, ecco la visione, fulminante, dei locali alla moda diventati stalle (pp. 78-79). E, in tale quadro desolato, non si salva nessuno, perché niente come il rischio di rimanere a pancia vuota e al freddo svela la vera natura dell’uomo. Quindi, i ricchi sopravvivono non perché possessori di oro, che non ha più valore, ma solo se muniti di cattiveria e forte fibra; ma ce n’è anche per i poveri, né teneri nè compassionevoli: abituati al peggio, resistono di più, perché si sono induriti «dentro e fuori. Hanno la scorza come croda»(p. 28).

La visione di Corona è apocalittica in senso etimologico, perché disvela le realtà sgradevoli che secondo l’autore amiamo dimenticare. E, rispetto al pur spietato La strada, qui non c’è nemmeno l’illusione, poetica e intima, del portatore di fuoco, come il padre ammoniva a essere il figlio, in quanto portatore d’una fiammella di bene e di speranza. Anzi, non c’è nemmeno un protagonista che ci guidi in mezzo agli orrori di questo inverno mortale: dominano immagini fredde e secche come i cadaveri rattrappiti più volte evocati, e similitudini brutali e pragmatiche. Il nostro mondo, il «mondo storto» del titolo, è «pieno di roba superflua» e «dài e dài, finisce per scoppiare. Un’anguria disfatta dalle scarpe dell’eccesso. Del di più».

Ci piacerebbe più ottimismo e un filo più di speranza nell’uomo, ma la riflessione di Corona, che contiene spunti veri e acuti, è pessimista e disincantata al massimo: presto, immagina, la grande paura finirà, i raccolti garantiranno cibo e benessere, e da quella massa forzatamente livellata da fame e disperazione emergeranno nuovi potenti, nuove bramosie di potere e nuove corse all’accumulo. L’uomo metterà ancora a rischio, in un’anaciclosi perversa, tutto quanto ha costruito, perché, pur con tutta la sua intelligenza, non gli riesce proprio di imparare quel che c’è di fondamentale. Per cui, per dirla con Corona stesso, presto o tardi l’umanità «si estinguerà. Ma sarà colpa sua. L’uomo sarà l’unico essere vivente ad autoestinguersi per la sua imbecillità» (p. 160).

 

Mauro Corona
La fine del mondo storto
Mondadori, pagine 160, euro 18.