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IL LIBRO

La fine del mondo

Che cosa succederà al termine dei giorni? Un romanzo fa riflettere sul paradosso cristiano di una vita che dura in eterno.

Tra le righe 14_01_2012
Dodici

Entrati nel 2012 vediamo lo scorrere del tempo sotto un’ottica particolare perché giornali e talk show ci hanno riempito la testa di avvertimenti sull’imminente fine del mondo prevista dai Maya per il prossimo dicembre. Che le profezie siano del tutto discutibili, molto è già stato scritto su questo giornale e non credo sia necessario ritornare. Cosa diversa, e invece necessaria, è ricordare che “non conoscete né il giorno né l’ora” ma prima o poi il mondo avrà una sua fine.

Fare memoria di questo serve a tenere alto il livello di vigilanza su noi stessi, a ricordarci che ogni nostra più piccola azione, ogni nostro più nascosto pensiero è noto a Dio e di tutto a Lui dovremo rendere conto. Allo stesso tempo la fine del mondo non è una perdita ma una continuazione dell’esistenza in un’altra modalità. Il nostro io non è cancellato dalla morte o dall’apocalisse ma semplicemente trasformato dalla gloria del Signore. L’io continua ad esistere ma in modo diverso.

«E proprio in quell’attimo, l’antica abazia più non sarà.
Eppure staranno ancora lì, tutti insieme, come dentro una abazia nuova, quasi senza essersi resi conto dell’accaduto. Edyta con il suo Zeb. Thérèse accanto a Leone. Benjamin e Clarence raggianti. E con loro, Dio sa quanti.
E con loro, Dio sa chi.
E gli sposi novelli e gli sposi antichi… Perchè, mentre sarà stato universalmente proclamato ogni giudizio già giudicato e pronunciato ogni ultimo “venite benedetti” e “lontano da Me, maledetti”
Colui che siede e trionfa alla destra del Padre compirà le parole di Zeb, rivolgendosi alla Chiesa tutta nella sua gloria: “Io accolgo te come mia sposa…” Finalmente.
E sarà come un’alba: un nuovo cielo, una terra nuova, tutto l’universo nuovo.
E ciascuno con il suo corpo, materia glorificata.
E tutti gli angeli.
E tutti i santi.
E uno sguardo trino, come un abbraccio…».

Questa bella pagina conclude il libro di Giovanni Donna, Dodici, edito da Marietti 1820 nello scorso ottobre.

Giovanni Donna
non è uno scrittore di professione, è un medico, sposo e padre di 9 bellissimi ragazzi, che ama raccontare grandi verità con la leggerezza e la delicatezza di un romanzo. Ha imparato con i figli che le cose più importanti devono essere insegnate con semplicità, non serve la grande teologia, pur benemerita, per far capire la verità perché l’Onnipotente unisce la grandezza delle Trinità nella semplicità dell’Unità. Leggere permette di riflettere. Contrariamente alla società dell’immagine in cui siamo immersi, alla società dell’immediato garantito dai sistemi sempre più avanzati di comunicazioni, un libro offre il regalo del tempo.

Per leggere ci vuole del tempo, leggere permette di pensare, leggere rende possibile far riemergere o confermare conoscenze antiche che però sono le più moderne perché riguardano ciò che è sempre attuale, il fine dell’uomo. Il romanzo Dodici crea un mondo fantastico, un mondo del futuro in cui l’umanità si è divisa in due grandi realtà sociali (come non pensare alla Città di Dio di Sant’Agostino): la Repubblica, amministrata da un Governo eccellente, che tutto controlla, tutto programma, tutto garantisce, che assicura progresso e benessere, protetta da frontiere invalicabili, e dall’altra parte i Territori, immense regioni quasi inselvatichite, in cui gli uomini sono chiamati con disprezzo Selvaggi ma vivono liberi e memori di un Dio che li ha tanto amati da dare Suo Figlio per loro, amorevolmente guidati da un uomo anziano, con gli occhi pieni di vita, ricco di quella saggezza che supera i limiti umani perché deriva da una Sapienza eterna. La trama è in certi punti contorta, quasi incomprensibile come tante volte sembra essere la nostra vita, ma in verità si sviluppa intorno ad un tema centrale che conduce alla conclusione, come la Provvidenza guida i nostri giorni verso l’eternità.

La fine del mondo
, un tema difficile da affrontare perché evoca subito scene paurose e disastri immani, ma anche un tema su cui è necessario riflettere come la Chiesa ha sempre insegnato.Tutto passerà, il mondo finirà, solo Dio e noi rimarremo. La grandezza dell’uomo si misura proprio su questo punto: tutto avrà una fine tranne noi, creati per l’eternità. Il paradosso del Cristianesimo, ricordare all’uomo che è polvere, e tutte le meravigliose tecnologie della nostra modernità non possono cambiare la sua natura, ma allo stesso tempo una polvere sublime perché brillerà più di qualsiasi stella e non avrà mai fine. Con questa prospettiva tutto può essere ricondotto nella sua giusta misura e può emergere con chiarezza l’importanza di quello che sant’Ignazio all’inizio dei suoi Esercizi Spirituali chiama “Principio e fondamento”, cioè quello da cui deve prendere il via ogni nostra azione e ciò su cui si deve basare ogni nostra scelta: «L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore e mediante questo salvare la sua anima. E le altre cose sulla terra sono create per l’uomo affinché lo aiutino nel conseguimento del fine per cui è creato. Di conseguenza tanto deve usare di quelle, quanto lo aiutano per il suo fine, e tanto deve astenersene quanto esse lo impediscono».

 


Giovanni Donna D'Oldenico

Dodici
Marietti, pagine 246, euro 16.