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JIHAD

La fiaba di Obama ingannato dai generali

Sicché il comando statunitense per il Medio Oriente avrebbe mentito a Obama sui risultati della campagna contro l'Isis in Siria e Iraq? La tesi non regge. E', con tutta probabilità, l'ennesimo insabbiamento della sconfitta di Obama. E intanto Ahtisaari rivela un piano di pace russo, che venne ignorato...

Editoriali 17_09_2015
Barack Obama e il generale Austin

Barack Obama è stato raggirato dai suoi generali che per un anno gli hanno fatto pervenire rapporti falsi che illustravano vittorie inesistenti contro lo Stato Islamico e celebravano l’efficienza di scalcinati reparti iracheni addestrati dai consiglieri militari statunitensi. Un inganno portato avanti scientemente da alcuni ufficiali di punta del Central Command (Centcom) il comando regionale che gestisce le operazioni in Medio Oriente e Asia Centrale.

Questa è la storia anticipata in agosto dal New York Times, che un mese or sono rese noto l’avvio di un’inchiesta da parte del Pentagono, e confermata ieri con la rivelazione dei risultati delle indagini affidate all’intelligence. I vertici del Centcom avrebbero quindi “ritoccato” i rapporti per fornire un quadro positivo delle operazioni della Coalizione contro l’ISIS e mostrare alla Casa Bianca e al Congresso un quadro più roseo della campagna. Gli agenti dell'intelligence sarebbero in possesso di documenti ufficiali del Centcom che proverebbero le manipolazioni, sia circa l’esito dei raid aerei sia circa l'efficienza delle forze di sicurezza irachene. Bridget Serchak, portavoce del Pentagono citato dal quotidiano newyorkese , ha confermato che l'inchiesta si concentra sul Centcom per accertare se ci sono state "falsificazioni, distorsioni, ritardi, omissioni o modifiche impropri delle informazioni di intelligence", allo scopo di "accertare responsabilità personali".

Non è chiaro quale fosse l’obiettivo del raggiro, ma a rischio potrebbero essere le teste di molti generali e soprattutto di Lloyd Austin, alla testa del Centcom. Non si può inoltre escludere che lo scandalo possa coinvolgere anche i vertici della Difesa anche se, pur riconoscendo che il New York Times ha buone fonti nell’amministrazione, risulta difficile credere alla storia raccontata dal quotidiano e dal Pentagono.

A Obama e al Congresso sarebbe bastato leggere i giornali e accendere la televisione per sapere, al di là di ogni rapporto militare, che l’Isis stava vincendo la guerra in Siria come in Iraq. La caduta di Ramadi e Palmira, nel maggio scorso, hanno evidenziato al mondo intero e una volta per tutte l’inconsistenza delle operazioni aeree alleate, la debolezza delle truppe di Assad attaccate su più fronti dai ribelli jihadisti e l’inaffidabilità delle brigate irachene sbandate dopo l’esplosione delle prime autobomba.

Per questo la storia del povero Obama ingannato dai suoi generali non sta in piedi e sembra costituire l’ennesimo scaricabarile di un presidente che ha costellato i suoi due mandati di errori militari così madornali da sembrare quasi voluti per assicurare vantaggi alle forze jihadiste: dal ritiro anticipato dall’Iraq a quello preannunciato con quattro anni di anticipo dall’Afghanistan, dall’intervento militare contro Gheddafi a quello contro il regime siriano scongiurato all’ultimo momento nel 2013 dall’intervento di Mosca che portò alla consegna delle armi chimiche di Damasco.

Lo smacco subito dalle forze americane in Medio Oriente è umiliante e Obama potrebbe cercare un capro espiatorio con le stellette per scaricare le responsabilità dell’insuccesso contro l’Isis specie ora che l’inaffidabilità di Washington sta favorendo il protagonismo di Mosca nello scenario mediorientale.

Le dure critiche di Washington all’invio di truppe mezzi russi in Siria ha smascherato il sostegno di fatto assicurato dagli Usa a gruppi jihadisti appoggiati da Qatar, Arabia Saudita e Turchia. Non a caso ieri una nota del ministero degli esteri di Mosca ironizzava sulle prestazioni offerte dalla Coalizione a guida americana.

"Una domanda legittima sorge spontanea: quali risultati sono stati ottenuti inviando forze militari di questi Paesi nella regione? Sfortunatamente i risultati della Coalizione nella lotta all'Isis sembrano molto modesti", si legge in una nota mentre il primo vicecapo di stato maggiore, generale Nikolai Bogdanovsky, ha negato che i russi abbiano per il momento in programma di aprire una base aerea a Latakya, oltre a quella navale di Tartus, pur precisando però che "tutto può succedere".

Che Mosca abbia assunto l’iniziativa militare e diplomatica lo conferma lo stesso segretario di Stato, John Kerry, annunciando la proposta russa di un dialogo tra le due potenze per trovare un’intesa sulla crisi. Sempre il New York Times, ha rivelato che lo stesso Obama sta valutando la possibilità di incontrare Vladimnir Putin in occasione dell'Assemblea generale dell'Onu a New York. 

La settimana prossima sarà invece in visita al Cremlino anche il premier israeliano Benyamin Netanyahu, preoccupato per la fornitura di sofisticate armi russe a Damasco che teme possano finire nelle mani delle milizie sciite libanesi di Hezbollah. 

A peggiorare la posizione statunitense, e di tutti i Paesi europei che hanno affiancato in questi anni gli Usa nell’appoggio ai ribelli siriani, ha contribuito l’intervista rilasciata al Guardian dall’ex presidente finlandese  Martti Ahtisaari, Nobel per la pace e negoziatore di molte crisi, che ha rivelato come nel 2012 Mosca fosse pronta a concordare un piano che prevedeva la graduale uscita di scena di Bashar Assad in cambio della fine dell’insurrezione armata. 

Ahtisaari ha detto, finora non smentito, che l'Occidente ignorò l'offerta russa che avrebbe fermato la guerra quando i morti erano 40mila (non oltre 250mila come oggi) e i profughi meno di un milione (non più di 4 milioni). L'incontro più interessante fu sicuramente quello con Vitali Churkin", ambasciatore russo a Palazzo di Vetro, ha raccontato l'ex leader finlandese. "Lui mi disse: 'Martti, siediti e ascolta quello che dovremmo fare. Punto uno, non bisogna dare armi all'opposizione. Punto due, si deve imporre un dialogo immediato fra oppositori e Assad. Punto tre, dobbiamo trovare un'elegante via d'uscita perche' Assad si faccia da parte". 

Secondo Ahtisaari, non c'erano dubbi che la proposta provenisse dal Cremlino, poiché l'ambasciatore era "appena tornato da Mosca". Il premio Nobel trasmise subito il messaggio a Usa, Gran Bretagna e Francia, ma l'offerta cadde nel vuoto. La sua convinzione è che "questi tre Paesi, come molti altri, fossero convinti che Assad potesse essere rovesciato in poche settimane senza il bisogno di far nulla" ne' di trattare con lui o con la Russia. 

Del resto, nelle stesse settimane l'allora segretario di Stato americana, Hillary Clinton, escludeva nei fatti ogni ipotesi negoziale con Damasco, liquidando Assad come "un criminale". L’illusione di replicare il “successo disastroso” ottenuto l’anno prima contro Muammar Gheddafi in Libia però naufragò miseramente grazie anche all’intervento di Russia e Iran che in questi anni hanno sostenuto Damasco. "I profughi che oggi si riversano in Europa -  ha concluso Ahtisaari - sono il risultato di un disastro che noi stessi abbiamo causato. E non ci resta che pagarne il conto".