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MAGISTERO

La fede, medicina contro la stanchezza dell'Europa

Dubitando di Dio si finisce inevitabilmente per dubitare dell'uomo. Ma, dice il Papa, «la fede rende lieti a partire dal di dentro».

Attualità 27_12_2011
Benedetto XVI

 

È stato, come di consueto, molto interessante e profondo il tradizionale discorso di Benedetto XVI alla Curia per la presentazione degli auguri natalizi.

Il Papa ha per esempio sottolineato che in Africa la Chiesa vive un momento di slancio, mentre l’Europa è attanagliata da un grave crisi di fede: «Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme [della Chiesa] rimarranno inefficaci».

Viceversa, ha proseguito il Papa, durante il suo viaggio in Africa, pur «con tutti i problemi, tutte le sofferenze e pene che certamente proprio in Africa vi sono, si sperimentava tuttavia sempre la gioia di essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interiore di conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa». Ora, «incontrare questa fede pronta al sacrificio, e proprio in ciò gioiosa, è una grande medicina contro la stanchezza dell’essere cristiani che sperimentiamo in Europa».

Ma, in generale, da dove viene la gioia dell’essere cristiani? Il Papa (che qui fa sovvenire Dionigi l’Aereopagita - un autore del V secolo - per questo suo riflettere sull’amore umano  e su quello divino), ha risposto che le radici della gioia sono molte, ma quella principale risiede nel credere di essere voluti e amati da un Amore. Citando il filosofo Joseph Pieper (che a sua volta attingeva da Tommaso d’Aquino), Benedetto XVI ha sottolineato che «l’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un “tu”, l’“io” può trovare se stesso. Solo se è accettato, l’“io” può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso».

In quest’ottica viene in mente la celebre espressione di Fichte (fatte le debite differenze): «l’uomo diventa uomo solo fra uomini; […] se ci debbono essere uomini è necessario che ci siano più uomini». Infatti, «senza lo sguardo di un altro che ci accoglie quando veniamo al mondo (lo sguardo della madre è questo sguardo, o lo sguardo di chi svolge comunque funzioni materne), noi non riusciamo a sopravvivere […] siamo nutriti da questo sguardo accogliente ancor più che dal cibo» (Carmelo Vigna). Ci può aiutare ulteriormente una metafora di Francesco Botturi: «l’uomo viene alla luce in un altro uomo». Questa metafora, al di là del significato biologico, indica che l’uomo esige il riconoscimento del proprio valore per riuscire ad «attivare pienamente le proprie capacità affettive e intellettuali e per raggiungere il senso della propria identità: chi non si sente affettuosamente accolto, non riesce ad accogliersi; chi non sa accogliersi non ha la carica affettiva sufficiente per esplicare le sue capacità fondamentali». Anche Tommaso spiega che i genitori devono fornire ai figli non solo un grembo fisico, ma anche un «grembo spirituale». In altri termini, l’amore realizza una sorta di procreazione spirituale: fin dalla più tenera infanzia l’uomo ha bisogno della confermazione nell’essere veicolata nell’affetto altrui, ha bisogno di sentirsi «giustificato di esistere» (l’espressione è di Sartre, nichilista ma attento fenomenologo).

Ora, per tornare al Papa, «questo essere accolto viene anzitutto dall’altra persona». Ma «ogni accoglienza umana è fragile. In fin dei conti abbiamo bisogno di un’accoglienza incondizionata. Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia».

Il problema, però, come il Papa ha rilevato già nella Spe salvi, è che noi europei viviamo da venti secoli con il concetto cristiano di Dio e ci siamo assuefatti ad esso. Per questo, nella Spe salvi Benedetto XVI racconta la vicenda di Giuseppina Bakhita (che è stata canonizzata dal suo amato predecessore) per aiutare a capire che cosa significhi incontrare per la prima volta e realmente questo Dio. Bakhita era nata nel 1869 in Sudan, e a soli nove anni venne rapita da alcuni trafficanti di schiavi, picchiata a sangue e venduta per cinque volte sui mercati del Sudan. Passando da un padrone all’altro arrivò nella casa di un generale, dove ogni giorno veniva frustata a sangue; per questo motivo le restarono per tutta la vita 144 cicatrici. Infine, nel 1882 fu comprata dal console italiano Callisto Legnani che stava tornando in Italia. Presso questo console Bakhita scoprì il cristianesimo e il Dio di Gesù Cristo.

Così, scrive il Papa, «dopo “padroni” così terribili di cui fino a quel momento era stata proprietà, Bakhita venne a conoscere un “padrone” totalmente diverso – nel dialetto veneziano, che ora aveva imparato, chiamava “paron” il Dio vivente, il Dio di Gesù Cristo». Infatti, «Fino ad allora aveva conosciuto solo padroni che la disprezzavano e la maltrattavano o, nel caso migliore, la consideravano una schiava utile. Ora, però, sentiva dire che esiste un “paron” al di sopra di tutti i padroni, il Signore di tutti i signori, e che questo Signore è buono, la bontà in persona. Veniva a sapere che questo Signore conosceva anche lei, aveva creato anche lei – anzi che Egli la amava. Anche lei era amata, e proprio dal “Paron” supremo, davanti al quale tutti gli altri padroni sono essi stessi soltanto miseri servi. Lei era conosciuta e amata ed era attesa». Di più, «questo Padrone aveva affrontato in prima persona il destino di essere picchiato e ora la aspettava “alla destra di Dio Padre”». Ora Bakhita finalmente gioiva, perché sperimentava questo essere amata dall’Amore, perché pensava: «io sono definitivamente amata e qualunque cosa accada – io sono attesa da questo Amore. E così la mia vita è buona».

Similmente, nel discorso alla Curia romana, il Papa ha detto: «Dove viene meno la percezione dell’uomo di essere accolto da parte di Dio, di essere amato da Lui, la domanda se sia veramente bene esistere come persona umana non trova più alcuna risposta. […] Laddove diventa dominante il dubbio riguardo a Dio, segue inevitabilmente il dubbio circa lo stesso essere uomini. Vediamo oggi come questo dubbio si diffonde. Lo vediamo nella mancanza di gioia, nella tristezza interiore che si può leggere su tanti volti umani. Solo la fede mi dà la certezza: è bene che io ci sia. È bene esistere come persona umana, anche in tempi difficili. La fede rende lieti a partire dal di dentro».